Grandissimo calciatore, grandissimo uomo: e non si sa chi ammirare per primo. L’essere nato povero in Brasile è un imprinting genetico indelebile e beato chi, come lui, ha sempre sfuggito alla tentazione di farsene un alibi. In mezzo a gente che ossessivamente si scruta anche l’ultimo capello, Toninho ha vissuto come viene, forse perché ha conosciuto sulla pelle le ristrettezze di chi non riesce a comprarsi un paio di scarpe o salire su un autobus pagandosi il biglietto. In patria è stato un grandissimo: due targhe d’onore nello stadio dell’Atlético Mineiro a Belo Horizonte ne tramandano le gesta accanto a quelle del mitico Pelé. Mai una volta però che Cerezo abbia sbattuto in faccia il suo passato. Mai che abbia tirato in ballo l’alibi della pelle scura, neppure quando doveva tapparsi la lingua per non ascoltare gli insulti di qualche collega povero di spirito.
Visto in retrospettiva si può capire perché il presidente della Roma, Dino Viola, fece di tutto per aggirare i regolamenti federali e prenderlo con sé in quella calda estate del 1983. Meno chiaro risulta perché se lo sia fatto sfuggire, al culmine di una violenta quanto banalissima lite, nell’estate del 1986. Il suo segreto? Divertirsi col pallone, prendere a calci quello e non la vita. Sembra scontato, ma pochi ci riescono. Cominciamo dall’inizio, dal ragazzino Cerezo che sgambettava dietro a un pallone nelle strade di Belo Horizonte.
Il pallone, fatto con giornali infilati in un calzino cucito, è il giocattolo dei poveri. Si gioca dappertutto, nelle strade, schivando autobus e macchine. Che tornei tra le squadre delle diverse zone della città! Toninho abita in un posto chiamato Esplanada. Si va a scuola ma la testa è alle sfide col pallone. Battere i rivali è la gioia più grande. È anche, il calcio, l’unico sistema per fare amicizia con i ragazzi degli altri quartieri dove era pericoloso andare da soli. Il ragazzo ci sa fare, e anche parecchio. Piano piano comincia a giocare nella rappresentativa del quartiere. L’allenatore di una squadra avversaria lo invita a giocare una partita a Lourdes, la zona dove si allena l’Atlético Mineiro, la squadra di Belo Horizonte. Crede di giocare nell’ Atlético, invece lo mettono nella squadra che affronta i ragazzi dell’ Atlético. Ha 12 anni, l’allenatore è chiamato “Ze das Camisas”. Gli piace il suo gioco e lo invita a tornare.
Ma Toninho non riesce ad ambientarsi. Gli mancano i suoi amici dell’Esplanada e gli allenamenti sono un’avventura: deve farsela a piedi da casa al campo perchè non ha neanche i soldi dell’autobus… Rimane due mesi, poi torna all’ovile. Ma il calcio gli resta nel sangue. La Provvidenza si presenta a casa sua nei panni del cardinale di Belo Horizonte in persona. Grande appassionato di sport, don Serafìn conosceva molto bene suo padre, morto purtroppo presto nel ’64, quando Toninho aveva appena nove anni. Beh, al cardinale piace il calcio, segue i ragazzi dell’ Atlético Mineiro. Si ricordava di averlo visto giocare nei due mesi che aveva passato a Lourdes e lo viene a cercare, convincendolo a tornare nelle giovanili dell’ Atlético.
Questa volta però va a vivere nella pensione riservata alle giovanili del club. Gioca un campionato ragazzi, a 14 anni compiuti sarebbe passato nell’equivalente della nostra “primavera”. Lasciato “Ze das Camisas”, passa sotto l’ala di Barbatana, un omino piccolo, magrissimo. È bravissimo, Barbatana, e riuscirà a portare in prima squadra tutti i suoi ragazzi, dal portiere all’ala sinistra. Stravincono il campionato senza una sola sconfitta. Toninho è tra i migliori e già si parla di farlo passare in prima squadra. Ma l’ Atlético in quel periodo schiera un mucchio di grandissimi talenti, soprattutto a centrocampo: Vanderlei, Derival, Bibi, Umberto Ramos, Zé Maria, dei fenomeni.
Toninho è bravo ma con un fisico un po’ così, piccolo di statura e fragile. Lo vogliono dare in prestito per farlo crescere. Il caso vuole che Barbatana è appena passato ad allenare il Nacional di Manaus e lo porta con sé. A Manaus inizia la vera vita da calciatore professionista. Presto a dormire, due allenamenti al giorno, alimentazione corretta. Cresce rapidamente in statura e peso. Con il Nacional disputa un ottimo torneo. E quando a Manaus viene a giocare l‘Atlético Mineiro, Tel ê Santana non ci pensa un attimo: lo vuole riportare “a casa”.. Con la nuova squadra riesce a giocare solo qualche partita in prima squadra, è difficile sfondare in mezzo a quei campioni.
Chi viene da fuori non ha spazio, però quando gioca, Cerezo fa scintille. È un calcio diverso da quello dei vecchi, Toninho corre dappertutto, va a prendersi il pallone che i compagni non gli passano mai. Tel ê deve arrendersi, lascia fuori Vanderlei e fa giocare Toninho. Apriti cielo, povero Tel ê. La stampa lo fa a pezzi, tanto da fargli rassegnare le dimensioni. E sapete chi arriva a sostituirlo? Il suo vecchio amico Barbatana. Vandelei viene venduto assieme a altri due-tre centrocampisti della vecchia guardia. E in Serie A arriva in blocco la sua vecchia “primavera”: Reinaldo, Marcelo, Paulo Isidoro, Eder, Eleno… L’ Atlético vince il campionato regionale e Toninho Cerezo spicca il volo. Si allena tantissimo, alle otto è già in campo, alla fine si ferma a fare altri dodici giri di campo. La sera va a correre. Crea così quella base atletica che gli ha permesso di arrivare a giocare fino a quarant’anni suonati. Con l’ Atlético perde due finali nazionali in Brasile, ma vince due volte la “Bola de oro” come miglior calciatore brasiliano e cinque volte viene eletto miglior centrocampista. Viene eletto anche come miglior calciatore del Mundialito. E dopo il Mondiale dell’82, splendidamente giocato, arrivano le sirene italiane.
Nell’estate del 1983 la Roma ha appena vinto il suo secondo scudetto. È la squadra di Conti e di Falcão, e il presidente Viola si innamora di questo centrocampista brasiliano che ha talento per creare gioco e ha dinamite nei bicipiti, instancabile motorino di centrocampo. Toninho sbarca in Italia in un club ben collaudato, un gruppo solido e forma con Falcão e Bruno Conti un centrocampo incontenibile per le squadre avversarie. Il primo anno italiano, Toninho registra 30 presenze in campionato mettendo a segno sei goal, che rimarrà il suo record di reti segnate in una singola stagione in Serie A. La Roma gioca un ottimo campionato, arrivando seconda e raggiungendo la finale di Coppa dei Campioni persa solo in finale ai rigori con il Liverpool. Cerezo gioca una buona finale, è una diga a centrocampo anche se verso la fine dell’incontro il talento verdeoro inizia a risentire della stanchezza e del gioco duro degli inglesi, spegnendosi alla distanza. La Roma rimane incompiuta, seconda in Italia ed in Europa ma la stagione del brasiliano è molto positiva, i giallorossi vincono anche una Coppa Italia dimostrando di essere, nonostante l’insuccesso in Europa, una delle squadre migliori del continente, giocando un calcio piacevole e altamente spettacolare. L’anno successivo la stagione è deludente: la Roma è solo settima, per Cerezo due reti in ventidue presenze e un passo indietro rispetto al primo anno molto convincente in Italia. Toninho non rende al massimo anche per alcuni problemi muscolari che lo limitano in campo. La stagione ’85-’86 è un anno particolare per i giallorossi che arrivano secondi perdendo uno scudetto ormai vinto dopo aver recuperato 9 punti alla capolista Juventus.
Alla penultima giornata la Roma perde con il Lecce 3-2 e lo scudetto andrà ai bianconeri di Torino. Una grande delusione, mitigata in parte dal successo in Coppa Italia: per Toninho una stagione di alti e bassi, solo 18 presenze e quattro reti. Nell’estate del 1986 dopo una furiosa litigata con il presidente Viola, lascia la Capitale e firma per la Sampdoria, una squadra ambiziosa che con il duo Vialli–Mancini vuole puntare in alto e il brasiliano è la chioccia perfetta per i due giovani talenti d’attacco. Il primo anno la Sampdoria ottiene un ottimo sesto posto, Cerezo è il padrone del centrocampo donano, i suoi lanci e assist sono una manna dal cielo per Vialli e compagni. Nel 1987-‘88 e ’88-’89 la Sampdoria vince per due volte consecutive la Coppa Italia e l’anno successivo nel 1990 conquista la Coppa delle Coppe battendo a Göteborg 2-0 i belgi dell’Anderlecht, grazie a due reti di Vialli.
Toninho Cerezo all’età di 35 anni riesce ad alzare il primo trofeo europeo, in una stagione per lui molto positiva soprattutto in campionato. Nel 1990-‘91 complici infortuni e problemi muscolari il brasiliano non gioca moltissimo, ma riesce anche lui a dare il suo apporto per lo storico scudetto doriano. La Sampdoria batte il Lecce e diventa campione d’Italia. Per festeggiare lo “storico” successo Cerezo, insieme ai suoi compagni, si tingerà i capelli di biondo. Toninho rimane in Italia fino al 1992, quando decide di spendere gli ultimi scampoli della sua meravigliosa carriera di nuovo a casa sua in Brasile. Firma per il São Paulo per poi terminare nel 1996 la sua carriera nella squadra della sua città l’ Atlético Mineiro alla “tenera” età di quarantuno anni.
Fonte: “Storie di Calcio”