Ospitaletto, vicino a Brescia. La squadra è guidata da Luigi Corioni come presidente e da Luigi Maifredi. Siamo nella stagione 1986-’87 e viene promosso in Serie C1. In precedenza, nel 1985 era stato secondo pari merito con il Trento, perdendo lo spareggio ai calci di rigore sul neutro di Mantova. Ancora secondo assieme al Mantova nel 1986, perdendo anche lo spareggio con i Virgiliani, giocato allo stadio di Piacenza, ancora ai rigori. Maifredi ad Ospitaletto, in una piazza esaltata che cercava di lasciarsi alle spalle le due forti delusioni, incomincia ad abbozzare quello che sarà poi il suo calcio champagne. Forse non compreso e apprezzato da tutti.
Sicuramente Maifredi è stato un allenatore fuori dagli schemi.
Ha da poco compiuto 70 anni. Su di lui ha scritto un interessante articolo Filippo Nassetti su Huffingtonpost, che vi riproponiamo.
Tutti ricordano il 1987 come l’anno della rivoluzione sacchiana con il primo scudetto conquistato dal Milan olandese di Ruud Gullit e Marco Van Basten (l’anno dopo si sarebbe aggiunto anche Frank Rijkaard).
Pochi ricordano però che il riferimento calcistico per Arrigo Sacchi non si trovava ad Amsterdam, inventori del calcio totale, ma solo duecento chilometri più a sud sulla A1. A Milanello l’allenatore romagnolo catechizzava i suoi giocatori a rivedere le partite di serie B del Bologna di Gigi Maifredi, quarantenne tecnico emergente, proveniente dall’Ospitaletto e fautore di una versione rivoluzionaria e gaudente della zona, da qualcuno chiamata anche “estetica”.
Salita alla storia poi come “calcio champagne” per via della precedente professione dell’allenatore, già rappresentante della Veuve-Clicquot. “Lo dicevano per prendermi in giro”, ha più volte ricordato Maifredi.
“Loro sì che sanno giocare a pallone” diceva Sacchi ai suoi giocatori, come ha poi ricordato il suo allievo Carlo Ancelotti nel libro “Preferisco la Coppa”. “Ragassi dovete cercare di imitarli. Il Bologna di Maifredi è la squadra più bella che esista”. Un mantra quotidiano, tanto che Van Basten, il cigno di Utrecht, chiedeva ai compagni di squadra “ma chi è questo Manfredo?”.
L’attuale allenatore del Napoli ricorda in particolare l’amichevole che fu organizzata il 26 dicembre 1987 proprio tra i due guru della zona. I rossoneri scesero in campo con la grinta da finale di Coppa dei Campioni, per liberarsi di questo continuo richiamo al calcio perfetto bolognese, tanto che all’uscita dagli spogliatoi dissero a Sacchi: “ora ti facciamo vedere chi sa giocare a calcio e chi no”. La partita terminò con un rotondo 5-0 e Van Basten commentò ironico al suo allenatore: “mister, forse è meglio il Milan di Sacchi”.
L’anno dopo le due squadre si affrontano in Serie A e a San Siro finisce in parità, 1-1, con un nuovo pubblico riconoscimento di Sacchi verso il collega: “Questo Bologna è la dimostrazione che si può attaccare e giocare bene anche senza disporre di grandi campioni. Sono ammirato”.
Maifredi ha sempre rivendicato di sentirsi un po’ l’ispiratore dell’allenatore del grande Milan, che anzi a volte sporcava la sua idea purista della difesa in linea: “Non avrei potuto copiarlo: lui nella Fiorentina giocava a 5 in difesa col libero, io già a 4 in linea. Fu lui a studiare me e Zeman, estrapolando il meglio”.
Gigi si ritiene un precursore: “Io e altri 2 o 3 allenatori abbiamo insegnato che Maradona deve essere marcato da tutta la squadra e non solo da un uomo”. Dove negli altri due mette Zeman e Galeone. Anche Corrado Orrico, altro sfortunato profeta della zona, riconosce in Maifredi un punto di riferimento:
“È una persona squisita, un personaggio straordinario, uno dei pochi uomini che mi affascinano nel calcio, ricco di intelligenza, spirito, qualità. Questo è un ambiente degradato da furbi, opportunisti e cialtroni. Non mi piace come si esprime la mia categoria, ci sono pochi idealisti”.
A Galeone, invece, Maifredi riservò una sconfitta fatale sul finire dell’89 che costò la retrocessione al Pescara.
E dire che nel 1987, Bologna non era piazza particolarmente ambita. La società aveva perso da tempo il blasone della “squadra che tremare il mondo fa” e da cinque anni mancava dalla massima serie. Il nuovo presidente Corioni ebbe così l’intuizione di provare a esortare sotto le Due Torri il calcio del suo Ospitaletto, portando in rossoblu allenatore e una manciata di giocatori. Un vero azzardo, Maifredi non aveva ancora allenato oltre la C2, al suo attivo un’esperienza anche al Crotone come secondo di Oronzo Pugliese, il tecnico che ha ispirato l’Oronzo Canà dell’Allenatore nel pallone di Lino Banfi.
L’esordio non fu certo dei migliori, sconfitta per 3-0 in trasferta a Lecce. Ma fu l’unica di tutto il torneo. Il Bologna dominò il campionato cadetto con un football spettacolare e divertente, riprendendosi il suo posto in Serie A. Calcio molto offensivo, squadra cortissima con il portiere Cusin – anche lui dall’Ospitaletto – che accorciava quasi come un libero, terzini o laterali trasformati in ali, due centrali outsider, sempre in linea, come il “mitico” Renato Villa e Marco De Marchi, ex Ospitaletto.
In mezzo, il centrocampo univa il fosforo della vecchia volpe Eraldo Pecci alla gamba di “Cicciobello” Giancarlo Marocchi, enfant prodige di Imola, messo in riga proprio dal suo compagno di reparto che in allenamento lo redarguì: “Mi dà l’impressione che a te non interessi vincere o perdere. Ti basta giocare. E invece no, si va in campo per vincere”. In attacco il tridente Loris Pradella, Lorenzo Marronaro e Fabio Poli che di quel periodo ha ricordato: “Era bello giocare contro gli altri perché nessuno ci capiva nulla e mettevamo tutti a disagio”.
Il calcio champagne proseguì ancora per due anni in Serie A con l’arrivo in squadra anche di vecchie glorie in cerca di riscatto come Antonio Cabrini, Massimo Bonini e Bruno Giordano (“sono riuscito a rivitalizzare un bisteccone scaduto”). A giugno ’90 Maifredi centrò così la qualificazione alla Coppa Uefa, riportando l’Europa del calcio al Dall’Ara. Non ne sarà però più lui il condottiero, nell’estate dei Mondiali delle “notti magiche” Maifredi approdò alla Juventus, dopo aver rifiutato le advances della Roma di Dino Viola. A Bologna lasciò un ambiente gioviale, dove aveva potere su tutto e tutto gli era permesso, pur rivendicato serietà e rigore in allenamento, non portava mai i compiti a casa, lasciandosi andare a una vita da bon vivant. “Nell’Osteria dei Poeti, cantavo fino alle 3 di notte con Dalla, Morandi, Guccini, Carboni”.
La rivoluzione sabauda – via Boniperti e Zoff, dentro Montezemolo e Maifredi – avrà vita breve, un campionato deludente con una squadra non di fenomeni riporterà ad una rapida restaurazione. Schillaci smarrì presto gli occhi spiritati di Italia ’90, Hassler non si adattò a fare da spalla a Baggio, Marocchi rinnegò il suo maestro, ostinandosi a voler giocare davanti alla difesa, Di Canio non mantenne le aspettative.
Quando si rievoca quella stagione terribile, Gigi fornisce una versione revisionista: “Alla Juve sono stato un fenomeno, ho fatto una prodezza, considerato la squadra che avevo e gli infortuni che ci sono stati”. Tiene poi sempre a precisare di non essere stato esonerato:
“Agnelli fece di tutto per trattenermi. Fui io ad andarmene e non loro a cacciarmi. In una squadra di transizione, non avevo tutori né padrini e altri lavoravano nell’ombra, con la stampa, per i loro obiettivi personali. Non potevo restare”.
Dall’uscita juventina poi solo campionati anonimi per Maifredi, masticato e rigettato in fretta dal sistema calcio. Anche il ritorno a Bologna, dove Dalla lo aveva paragonato ad Aiace, “guerriero indistruttibile, costruito con l’acciaio”, non fu felice.
A concedere l’onore delle armi a quella sfortunata stagione bianconera, da cui tutto precipitò, ci pensò il Barone, Niels Liedholm:
“Maifredi è l’unico in Italia a fare la zona pura, la Juve la squadra che ha espresso il calcio più piacevole. Hanno alternato grandissime partite a prove meno convincenti, ma nel conto finale hanno ottenuto meno di quanto meritasse”. Gigi comunque non si è ancora arreso e attende una nuova occasione per rilanciarsi e proporre un calcio innovativo. Niente anticipazioni sulle idee da mettere in campo, “altrimenti me le rubano come accaduto dopo Bologna”.