Nato a Suardi, in provincia di Pavia, il 13 febbraio del 1951, Roberto Casone è crescuto calcisticamente nel vivaio del Milan. Dopo tutta la trafila nelle giovanili rossonere, è arrivato l’esordio in serie A nella stagione 1968-‘69. Tre anni al Milan prima di passare alla Sampdoria. Fugace ritorno in rossonero nel 1972, prima di iniziare un girovagare per lo Stivale che lo ha portato ad indossare le maglie di Como, Arezzo, Ternana, Casale e Vigevano. Con la Nazionale Under 21 ha giocato due gare (1971-‘72) segnando un gol. Nel suo personale palmarès, una Coppa delle Coppe ed una Coppa Italia vinte con il Milan ed una promozione in serie C con il Vigevano. Trentaquattro presenze ed un gol in serie A. Casone ce lo racconta Luca Meringolo attraverso una bella intrvista.
Come si è avvicinato al mondo del calcio ?
“Io abitavo in un piccolo paese in provincia di Pavia chiamato Suardi, abitato da circa 800 persone e non c’era una squadra locale dei bambini, per fortuna un mio parente andò ad abitare ad Alessandria e mi portò nella sua squadra, la Don Bosco. Facendo il campionato nel nostro girone c’era l’Alessandria ed essi mi prelevarono. Lì feci un anno con le giovanili e poi mi aggregarono alla prima squadra e all’età di 15 anni e mezzo, venni convocato in prima squadra, ma il destino mi giocò un brutto tiro mancino! Mio padre morì all’improvviso il giorno prima della partita del possibile esordio, ed io tornai a casa , perdendo così, oltre a mio padre, anche la possibilità di diventare il giocatore più giovane ad esordire nella massima serie. Record che era di Gianni Rivera, anche lui con l’Alessandria. Più tardi mi operarono al menisco ma questo non mi impedì di approdare al Milan”.
A proposito di Milan, che cosa ha provato ad essere un giovane di prospettiva in un Milan ricco di classe e campioni come quello di Rocco?
“Non me ne sono accorto perchè non partii con la prima squadra perchè c’era con la Primavera il torneo di preparazione di Sanremo. Successivamente mi aggregai a ottobre alla prima squadra e in quel periodo ci fu una nevicata fuori stagione e il fotografo della Panini mi fece la foto per la figurina in mezzo alla neve. Rocco mi fece subito giocare nel campionato De Martino in cui giocavano coloro che non scendevano in campo la domenica, possiamo chiamarlo un campionato riserve. L’allenatore della squadra riserve era una persona alla quale ho voluto molto bene, il grande Cesare Maldini che stravedeva per me. Mi misi in luce anche perchè ero un giocatore dinamico e a Rocco piaceva questa tipologia di calciatori. Debuttai in serie A in un Palermo Milan nel 1969”.
Che rapporti aveva con i suoi compagni?
“Bellissimi, io ero una persona generosa e mi trovai bene con loro. La sera stavi con loro delle ore perchè non c’erano distrazioni. Osservavo quello che facevano i calciatori della prima squadra, a Milanello c’erano una tv, un tavolo da ping pong e un tavolo da biliardo. Ascoltavo anche discorsi molto seri su argomenti importanti di compagni come Cudicini, Schnellinger, Malatrasi, Lodetti, Trapattoni e da queste persone di un’intelligenza unica ho imparato tanto”.
Quali sono state la più grande gioia e la più grande delusione al Milan?
“Aver giocato con Rocco che non faceva giocare tanto i giovani, ricordo che mi utilizzò in un Milan-Juventus a San Siro davanti ad 82.000 spettatori con l’arbitro Lo Bello che dovette cambiare il fischietto perchè dopo 2-3 minuti non si sentiva niente visto il calore dei tifosi. Prima della partita mi disse che il pubblico mi aveva scelto, ma solo un matto come lui poteva farmi giocare e mi disse che se volevamo vincere dovevo marcare e limitare Roberto Vieri (il padre di Christian), altrimenti avremmo perso la partita. Quando entrai in campo mi bloccai dalla tensione davanti a tutti quegli spettatori e Schnellinger mi incoraggiò. In quella partita venni preferito a Romano Fogli, centrocampista della Nazionale e quando uscii eravamo 0-0. Poi purtroppo perdemmo 0-2. La mia più grande delusione fu a causa di un mio errore: decidere di lasciare il Milan anche perchè non avevo una famiglia che poteva consigliarmi visto che purtroppo persi anche la mamma che ero molto giovane. Avevo grande considerazione da parte di Rocco anche se non giocavo. Dopo che venni mandato in prestito alla Sampdoria, dove giocai titolare con Heriberto Herrera, ritornai al Milan, ma ancora Rocco mi mandò in prestito al Como perchè voleva osservarmi nonostante io volessi andare via perchè al Milan non giocavo. Addirittura però avrei potuto giocare la partita di Verona quando perdemmo il campionato.
Il mercoledì vincemmo la Coppa delle Coppe contro il Leeds grazie al gol di Chiarugi e quella sera Romeo Benetti prese una dura botta, non si reggeva in piedi e Rocco mi disse che se non giocava Benetti avrei giocato io. La cosa non si fece perché Benetti si riprese e scese in campo lui. Rientrai dal prestito al Como e dopo 4 partite di campionato tra cui la vittoria a Roma (0-1). In aereo mi avvicinai a Giagnoni che era l’allenatore e parlai con lui dicendo che volevo andare in sede per chiedere la cessione. Lui non voleva perchè quell’anno puntava molto su tutti i calciatori della rosa e voleva puntare anche su di me, infatti giocarono tutti quel campionato. Io andai nelle ultime ore di mercato ad Arezzo e lì retrocedemmo subito dalla serie B e questo mi ammazzò moralmente. Poi andai alla Ternana dove sono stato benissimo per quattro anni. Decisi infine di avvicinarmi a casa e mi trasferii al Casale”.
Quali sono le più grandi differenze tra il calcio di oggi e quello in cui ha giocato lei degli anni ’60-’70 e ‘80 sia in positivo che in negativo?
“Di positivo c’era il rapporto umano con i compagni, adesso i giocatori parlano con la società tramite i procuratori. Io adesso non mi immedesimo in questo calcio anche perchè adesso si va a cento allora, però non si può dire per esempio che Rivera non giocherebbe. Oggi è soprattutto cambiata la preparazione e il modo di allenarsi anche se forse rispetto al passato viene tralasciata la tecnica”.
Per le foto si ringrazia “Magliarossonera.it”