Nel 2013 Gigi Mancini del “Resto del Carlino” volò in Brasile per incontrare Walter Casagrande. Anche se tante cose sono cambiate, soprattutto in Brasile, e ricordando che nel 2016 Casagrande è ritornato ad Ascoli, vi riproponiamo quell’articolo perchè ci sembra uno dei migliori ritratti di questo centravanti ancora molto amato ad Ascoli e diventato una sorta di leggenda per i tifosi del Toro dopo quella semifinale di Coppa Uefa vinta contro il Real Madrid.
Ad ogni auto che entrava nel cortile di Rede Globo, nel quartiere di Brooklin a San Paolo del Brasile, ci chiedevamo: “Sarà lui?”. Un furgoncino sgangherato: “A meno che non si è messo a fare l’imbianchino non può essere”. Una Fiat Siena (una specie di Punto a tre volumi che grazie al cielo vendono solo lì): “Difficile”. Qualche minuto dopo le 14, orario fissato per l’intervista, io e Mario vediamo arrivare un’elegante Jeep nera con i vetri oscurati: “Vedrai che è lui”.
Il suv si ferma, alla guida c’è una donna: “Non è lui”. Ma dopo aver posato per l’ennesima volta gli occhi sull’orologio con la coda dell’occhio vediamo muoversi la portiera del passeggero. Si apre. Scende un uomo robusto che non vediamo bene per via del sole riflesso sulle vetrate della reception. Si avvicina alla porta. I ricci sono inconfondibili: è Walter Junior Casagrande in persona.
Ha compiuto 50 anni ad aprile, ci viene incontro sorridendo e non appena capisce chi siamo esclama in un italiano perfetto: “Sapete che non parlo di persona con un ascolano da almeno una ventina di anni?”. Ci saluta con un abbraccio come fossimo parenti lontani mentre Sarita, la giornalista della tv brasiliana Rede Globo che ci ha aiutato a realizzare l’intervista, ci fa accomodare in giardino.
Walter, lei ha lasciato il Piceno nel ’91 ma sa che se mettesse piede in piazza del Popolo sarebbe acclamato dalla gente ascolana come quando giocava?
“Spesso nel calcio il reale valore delle gesta di un atleta emerge con il tempo ma sinceramente non mi rendo pienamente conto della mia popolarità ad Ascoli. So quello che ho fatto in quei meravigliosi anni della mia carriera, certo, ma non posso credere di essere ancora tanto amato”.
È così, mi creda.
“Allora è un ulteriore motivo per tornare. Ci ho pensato spesso in passato, ma non si è mai presentata l’occasione. Mi piacerebbe moltissimo riabbracciare i tifosi della curva Sud, gli amici, qualche vecchio compagno. Qualche volta mi sono sentito su internet con Giancarlo Cavaliere e Meco Agostini: rivedere loro e tutti gli altri sarebbe stupendo. Fare una passeggiata in piazza, tornare a mangiare le olive, mi manca tutto di lì. Anche Villa Pigna, dove ho abitato”.
Impossibile parlare di quegli anni e non pensare a Rozzi, non crede?
“Come dimenticare Costantino. Voleva sempre vincere. A lui non interessava l’avversario: c’era il Milan dei campioni? Bisognava vincere. E vincevamo! Quando retrocedemmo, nel ’90, mi disse ‘non posso tenerti con questo ingaggio’. Gli dissi ‘presidente non preoccuparti, troveremo un accordo: andrò via solo dopo aver riportato il Picchio in A’. Così facemmo un contratto a obiettivi, una novità assoluta per l’epoca: se avessi superato le 30 presenze, i 20 gol e se fossimo tornati in A. Feci 33 presenze, 22 gol e venimmo promossi”.
Dei tanti gol segnati qual è quello che ricorda con più orgoglio?
“Contro la Fiorentina: palleggio e gol dalla linea di fondo, spalle alla porta. Quasi impossibile”.
Lei e la Seleçao, qualche rimpianto?
“Solo quello di non aver vinto nessun titolo, ma le emozioni in verdeoro sono state tante. Nell’86 sono stato capocannoniere delle qualificazioni ai Mondiali del Messico dove però uscimmo ai quarti. A quel Brasile mancava qualcosa per essere vincente”.
Casagrande e il Brasile: come ha visto cambiare il suo paese?
“Quando giocavo nel Corinthians fondai ‘Democracia Corinthiana’ insieme a Socrates e altri calciatori. Qui c’era la dittatura militare e la parola Democrazia era vietata. Con quel movimento gridavamo al mondo la nostra voglia di un Brasile libero. Oggi abbiamo conquistato la libertà, ma è anche vero che c’è più violenza. C’è ancora molto da fare”.
Ha raccontato in un libro dei suoi problemi con la droga e l’alcool. Come ha superato quella crisi?
“Trovando in me stesso la voglia di vivere e stare con gli affetti più cari: gli amici, i famigliari, i miei figli. A quella roba ho detto basta, voglio emozioni sincere e autentiche. Ho due psicologhe che mi aiutano in questo percorso”.
Lei è caduto e si è rialzato tante volte nella vita: cosa sente di dire all’Ascoli?
“La retrocessione mi è dispiaciuta molto. Auguro al Picchio e a Rosario (Pergolizzi ndr), mio ex compagno di squadra, di tornare in B prima possibile”.