Uno che la serie A l’ha respirata, insieme al tecnico Arturo Bertuccioli (mediano di Spal e Catanzaro) e al centrocampista Bruno Ranieri (Napoli), è stato Giuseppe “Pino” Avagliano, estremo difensore del Penne, scelto come chioccia di Romano D’Angelo nel lontano 1984. Avagliano era in panchina come vice di Felice Pulici quando in quella domenica di maggio del ’74 la Lazio di Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia, ma anche dei vari Wilson, Garlaschelli, del povero Re Cecconi, di D’Amico, piegando il Foggia su rigore conquistava lo scudetto all’Olimpico davanti alla sua folla. All’epoca ventunenne, Avagliano, originario di Capitello d’Ispani, con i colori biancoazzurri rimase dieci anni fra settore giovanile e prestiti in serie C a Como, Modena, Siracusa, Savoia, Ragusa e Marsala. Il suo esordio in A, per sostituire Garella, avvenne il 12 febbraio ’78 in un Lazio-Atalanta amaro per la formazione di Vinicio sconfitta per 2 a 0 in casa in una stagione di sofferenza.
Avagliano sulle figurine “Panini”
A trent’anni Avagliano chiuse col professionismo e nel 1984 si sposò con una ragazza di Loreto Aprutino. Una stagione in Promozione al Sulmona con Guido Colangelo in panchina, reduce da dieci tornei nel Penne, e il compianto Piero Di Pietro a scorrazzare sulla fascia; poi l’approdo alla corte di Bertuccioli nell’estate dell’84. “Di Penne e della squadra non posso che conservare ricordi simpaticissimi. Una formazione forte formata da giocatori che avrebbero potuto calcare comodamente i campi della C dell’epoca. E anche i ragazzi inseriti erano scelti con attenzione”, ricorda Avagliano. “I momenti più goliardici naturalmente si consumavano negli spogliatoi. L’obiettivo di Severo e di Di Federico era quello di stuzzicare Vincenzo Pilone, squisita persona oltre che calciatore di livello altissimo. Quando nessuno se lo filava, era lui stesso a indurre gli altri a provocarlo. Formavamo un gruppo solido che si tolse numerose soddisfazioni, meritate dalla tifoseria. La dirigenza era sempre vicina. Penne avrebbe potuto anche frequentare la C”.
Arturo Bertuccioli (a sinsitra) e Bruno Ranieri (ritratto nella Samb)
In particolare la stagione successiva, quella del 1985-‘86, fu caratterizzata da due momenti: l’avventura in Coppa Italia fermata ai quarti dal Mesagne, a sei anni dall’emozionante cammino interrotto a Cittadella, e la lotta per la promozione che vide un testa a testa fra Chieti e Lanciano in cui la squadra biancorossa fu coinvolta dal calendario a giocare un ruolo quasi decisivo. Giovanni Mincarini prese il posto di Arturo Bertuccioli il quale accettò la guida del Lanciano intenzionato a tornare fra i professionisti, ma che poi dovette lasciare a causa di qualche pareggio di troppo. Mincarini aveva ben impressionato come allenatore del settore giovanile dello Scalo River Chieti e a Penne anche lui, come il suo predecessore, operava un salto professionale non da poco.
Ricordi laziali
Per mesi la stagione del Penne si indirizzò grazie ad una navigazione tranquilla verso una salvezza senza patemi e nel contempo guadagnando strada in Coppa Italia. Scoppiettante il pari casalingo che la squadra del presidente Enrico De Fabritiis colse in extremis contro il Chieti di Feliciano Orazi il 5 gennaio ’86. Fu a pochi secondi dal triplice fischio che Vincenzo Pilone, con un’incornata sugli sviluppi di un calcio d’angolo, a trafiggere Massimo Di Carlo, annullando così il vantaggio ottenuto otto minuti prima da Mimmo Marangi.
Il Comunale esplose in un boato. Proprio prima della gara, giocata davanti a oltre duemila spettatori, alcuni tifosi di casa consegnarono un coniglio con la maglia neroverde numero 10 a Marangi il quale reagì col sorriso alla provocazione e lo restituì ai tifosi fra gli applausi di tutto lo stadio. Il campionato si concluse a quota 28 punti con un onorevole decimo posto in un girone di ferro fra squadre pugliesi, marchigiane e la nutrita pattuglia abruzzese in cui si fece vedere anche il Tollo che però retrocesse insieme alla Rosetana. Col Mesagne ai quarti di finale della Coppa, il Penne, che aveva eliminato proprio il Chieti ed anche il Castelfiorentino, non riuscì a superare il turno nonostante due ottime gare, specie in Puglia dove finì 0-0.
L’esordio nella Lazio contro l’Atalanta
In campionato accadde che la squadra di Mincarini si trovò nelle ultime domeniche a decidere la lotta promozione, dovendo affrontare dapprima il Lanciano di Carlo Florimbi alla quattordicesima gara e nel turno finale il Chieti nel suo stadio.
I rossoneri frentani presentavano Vittoriano Di Luzio e Guglielmo Macrini quali punti di forza. Alla dodicesima di ritorno il Lanciano con una bordata su punizione di Cassano aveva espugnato Chieti sotto la pioggia, arrivando a tallonare a una sola lunghezza il gruppo di Orazi.
Nella domenica in cui i neroverdi viaggiavano verso la Puglia per vedersela con un Canosa in piena bagarre per non retrocedere (i baresi comunque tornarono in promozione perdendo lo spareggio a Castel di Sangro con la Fermana), a Penne scesero i rossoneri di Carlo Florimbi in piena rimonta. Penne-Lanciano, diretta da Brasca di Busto Arsizio, divenne perciò decisiva. Vestini già salvi e passati in vantaggio, poi si infortunò Romano D’Angelo e fra i pali corse l’ex portiere della Lazio, Avagliano, la cui porta fu violata da una doppietta di Guglielmo Macrini, pennese.
“Fu una gara regolare nella maniera più assoluta. Il Lanciano vinse con un pizzico di fortuna, ma comunque ebbe ragione sul campo dove non ci risparmiammo nulla”, sostiene oggi Avagliano. Eppure foste pesantemente accusati dal Chieti di aver regalato i due punti agli ex di lusso. “Sono chiacchiere da bar che in effetti per tanto tempo si ascoltarono”, taglia corto l’ex portiere della Lazio scudettata, così come sottolinea dagli Stati Uniti anche Vittoriano Di Luzio.
Fatto sta che il Chieti pareggiò a Canosa (1-1) e il Lanciano con i due punti conquistati al Comunale raggiunse i neroverdi. Il Penne per l’ultima domenica della stagione dovette recarsi proprio a Chieti dove trovò un clima di massima contestazione. I teatini s’imposero senza storia. Il Lanciano vinse a sua volta. E così fu necessario darsi appuntamento per lo spareggio, a Latina: dopo lo 0-0 dei tempi regolamentari, Di Luzio segnò l’ultimo rigore, quello decisivo nella lotteria dei calci dagli undici metri consegnando la C al Lanciano. Per il Chieti tutto fu rinviato all’annata successiva.