Quella vittoria fu abbagliante, perché il Cagliari stava andando bene ma immaginarli e vederli campioni d’Italia è stata una cosa favolosa. Ed è stata una vittoria che non ha diviso l’Italia. A differenza di quando trionfano Napoli, Juve, Milan, Inter o Roma, quel successo fu accolto da tutti con grande entusiasmo.
In porta c’era una sicurezza come Albertosi. Una difesa con Martiradonna, Zignoli, Niccolai e Tomasini con cui si mettevano insieme qualità e quantità. A centrocampo giocavano Cera, Nené, Greatti e Domenghini a fare il tornante. Poi le due punte erano Gori e Riva, per cui Gianni Brera coniò il soprannome “Rombo di tuono” dopo le prodezze a San Siro contro l’Inter. L’allenatore era Manlio Scopigno, “il Filosofo”, che ha saputo costruire un collettivo perfettamente funzionante. Chiaramente, attorno ad un fuoriclasse quale era Gigi Riva.
Il Cagliari vinse quello Scudetto con 45 punti, davanti all’Inter con 41 e alla Juve a 38. Lo snodo cruciale fu lo scontro del 15 marzo al Comunale di Torino, tra Juventus, che aveva 32 punti, e Cagliari, a 34 punti. All’epoca, la vittoria valeva 2 punti, per cui il match era fondamentale. Io c’ero a quella partita, avevo 15 anni ed ero in Curva Filadelfia, con la mia bandiera bianconera e con il mio compagno di stadio, Giancarlo. In campo successe di tutto e di più, perché passò in vantaggio la Juventus con un autogol di Niccolai.
Vedete, Niccolai era un difensore fortissimo ma quando faceva gli autogol erano dei capolavori, da copertina. E c’è la leggenda di Scopigno che puntualmente ne veniva fuori con: “Però, che bel gol!”. Poi pareggiò Gigi Riva, che quella stagione fu capocannoniere con 21 reti.
Nella ripresa fu protagonista l’arbitro Concetto Lo Bello di Siracusa, che assegnò un rigore alla Juventus. Lo calciò Haller e Albertosi lo respinse. A quel punto, però, Lo Bello lo fece ripetere perché a suo dire il portiere cagliaritano si era mosso in anticipo. Dal dischetto allora si presentò Anastasi, che invece fece gol.
I sardi erano comprensibilmente furiosi. Poco dopo, e molti se lo aspettavano, Lo Bello concesse un rigore anche al Cagliari. Il sinistro di Riva decretò il 2-2. Fu una partita fondamentale perché il pareggio diede morale ai sardi, mentre affondò la Juve che iniziò a perdere punti fino ad essere scavalcata dall’Inter. Poi con il 2-0 sul Bari del 12 aprile, firmato da Riva e Gori, i sardi ebbero la certezza matematica dello Scudetto.
Scopigno era un personaggio particolare. Era un allenatore all’olandese, che lasciava molta libertà ai calciatori per quanto riguarda il ritiro o gli orari. Non aveva questo tipo di ossessione. Anzi, quando entrava in una camera e vedeva giocatori fumare e giocare a carte chiedeva se ci fosse posto anche per lui. Era un tipo fuori dagli schemi e molto ironico. Ad esempio, è passata alla storia la sua reazione alla convocazione per il Mondiale del ’70 in Messico di Niccolai. All’annuncio, Scopigno rispose: “Dalla vita mi sarei aspettato tutto tranne che vedere Niccolai in mondovisione”. Era così, aveva questa qualità di sdrammatizzare tutto, oltre a delle capacità tecnico-tattiche sorprendenti.
Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare Gigi Riva. Tra l’altro, mio figlio Santiago tifa Cagliari perché i nonni sardi gli raccontavano quando era piccolo questa favola di “Rombo di tuono”. Nato e cresciuto in Piemonte, ma tifa per i rossoblù. Pensate che Riva arrivò dal nord, da Leggiuno, con diffidenza. Poi, invece, è bastato poco per creare una forma di amore assoluto. Da quel momento lì non si è più mosso da Cagliari, è entrato in simbiosi con tutto l’ambiente. Pensate che la Juve arrivò ad offrire 8 giocatori, tra prestiti e cessioni, più qualche miliardo e Riva disse di no. Giampiero Boniperti conservò a lungo nel portafoglio le proposte avanzate per averlo, quasi come testimonianza del dispiacere.
Di quella squadra ricordo con un bene profondo e con tanta nostalgia anche Nené. È un’altra persona che ho conosciuto, un amico. E devo dire che Gigi Riva gli è stato vicino fino all’ultimo. Ricordo al funerale di Nené la scena bellissima di Riva che mette le due mani sulla bara del brasiliano, come a volergli dare l’ultima carezza, l’ultimo abbraccio.
Quello Scudetto del Cagliari fu una vittoria epica, poetica e romantica. Come scrisse Gianni Brera, “lo Scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia”. Quel successo è stato un fenomeno non soltanto calcistico, perché era la prima vittoria di una squadra del Mezzogiorno, ma ha avuto un valore sociale e anche letterario enorme. Dopo il Nobel per Grazia Deledda nel 1926 è arrivato quest’altro grande trionfo nello sport più popolare in Italia e nel mondo a dare lustro ad un’isola bella.
Quella vittoria fu la grande rivincita dell’isola e dei pastori sardi. Tra l’altro, leggenda narra che a veder le partite del Cagliari andassero anche i banditi e i latitanti coperti dalla folla. Portò la Sardegna su tutte le pagine, la fece scoprire al grande pubblico. Lo Scudetto fu il lasciapassare per l’integrazione, come a dire “guardate come è bella e come si vive bene in Sardegna”. E lo posso confermare personalmente. Puoi arrivare da qualsiasi parte del mondo ma a Cagliari ti sentirai sempre come a casa. Ripeto, fu qualcosa di meraviglioso. Quello Scudetto ha sempre avuto un fascino particolare. Nel rileggere e ripercorrere la storia sociale e calcistica dell’Italia, non si può fare a meno di citare quella vittoria.
Darwin Pastorin