La mattina di domenica 10 maggio 1976, nella piccola comunità di Avigliano (PZ), si respira la storia. È un giorno atteso dal 1927, quando un nutrito gruppo di appassionati aveva dato vita all’Avigliano Calcio, mettendo sulla mappa della giovane cartina calcistica lucana anche il piccolo centro in provincia di Potenza famoso per aver dato i natali al giurista Emanuele Gianturco. Da quel momento la formazione aviglianese, che avrebbe adottato il granata come colore sociale a partire dal 1947, si era fatta valere nei principali tornei regionali, ma mai era arrivata così vicina alla storica promozione in Quarta Serie, l’odierna serie D.
La stagione ’75-’76, arrivata a culmine di un percorso di crescita e sviluppo del vivaio iniziato molti anni prima dal tecnico friulano Sergio Quaiattini, sembra finalmente quella buona per il grande salto tra i semiprofessionisti. L’ultimo ostacolo tra l’Avigliano e la Quarta Serie è il Bernalda. Con la formazione materana i granata hanno rivaleggiato a distanza dando luogo ad duello appassionante, emozionante e avvincente, lungo tutto un campionato. Prima del big match, quando mancano cinque giornate al termine del torneo, i granata inseguono a -1.
L’Avigliano è condannato a vincere, ma dalla sua ha il vantaggio di giocare in casa nella bolgia della “Fossa dei Leoni“. Uno stadio mitico. Con quel suo fascino un po’ decadente – regalatogli da quei scalcinati muraglioni fiondati a strapiombo sul terreno di gioco e usati come tribune improvvisate da tifosi sprezzanti di ogni pericolo – la “Fossa dei Leoni” dava l’impressione di essere un’antica arena romana, dove i gladiatori granata si sentivano semplicemente imbattibili.
Perché sapevano di non essere soli. Era tutto il paese a scendere in campo, a stringersi in un afflato comune con la squadra, soffiandogli sulle spalle come un fedele compagno di viaggio. È così anche quel giorno: l’Avigliano, allenato dal potentino Vincenzo Triani, batte 3-2 il Bernalda – con un fucilata di Leonardo Marsico a spezzare l’equilibrio ad un quarto d’ora dal termine, e compie il sorpasso decisivo in vetta alla classifica. Non la abbandonerà più, conquistando la tanto agognata promozione in D, certificata dall’aritmetica qualche settimana più tardi.
La prima volta in D: ’76-’77
L’estate del 1976 è una delle più elettrizzanti della storia aviglianese. Per il ritiro pre-stagionale la società sceglie la tranquillità di San Cataldo, la location ideale per allenarsi tra la natura e mettere benzina nelle gambe per una stagione che si preannuncia parecchio lunga e complicata. Intanto, decolla il mercato in entrata: si vestono di granata Ingrosso, Totaro e Cammarano (Potenza); il mancino moliternese Tonino Frezza, strappato alla Juve Stabia, e il futuro capitano Ezio Gaddi, ex bandiera del Potenza. Caldissimo è anche l’asse con la Pistoiese: dalla squadra toscana, infatti, arriva il trio Agostini-Gorzanelli-Velluti. Un portiere, un difensore e un mediano. A volerli fortemente, per comporre la spina dorsale della squadra a fianco agli eroi della promozione, è stato il nuovo allenatore Sergio Quaiattini.
Il condottiero scelto dalla società presieduta da Vincenzo Colonnese (papà di Ciccio, ex difensore tra le altre di Inter e Lazio) è un guru carismatico, ma soprattutto un uomo straordinario, arrivato dal Friuli per lasciare un’impronta indelebile sul calcio lucano. Il suo curriculum parla chiaro: centrocampista dal passo felpato, è stato capitano del Potenza nella memorabile stagione ’62-’63, quella della storica promozione in serie B della formazione rossoblù. Personaggio stimato da tutti, prima nelle vesti di collaboratore e poi di coach, Quaiattini porta in dote nell’ambiente aviglianese una ventata di novità ed esperienza, contribuendo a dare un forte impulso alla crescita del vivaio granata , che negli a venire avrebbe sfornato talenti come Tommaso Samela, Carmine Colangelo e Vito Gerardi, tre pilastri della squadra campione di Basilicata nel ’75-’76. La mano del tecnico friulano si inizia già ad intravedere nelle prime amichevoli prestagionali: l’Avigliano, infatti, batte prima il Pietragalla con un rotondo 2-0 e poi rifila addirittura una manita ai pugliesi dell’Altamura.
È, però, solo un’illusione. L’impatto con la nuova dimensione è tremendo: inseriti nel girone H di serie D, i granata termineranno sul fondo della classifica, segnando solo sette reti e vincendo solamente tre partite in tutto il campionato. Le attenuanti, comunque, non mancano: l’Avigliano, infatti, è costretto a giocare le gare interne tra Potenza e Pietragalla, a causa dell’inagibilità della “Fossa dei Leoni”. Ma soprattutto per quasi tutto il torneo deve fare a meno di bomber Palmieri, il capocannoniere della promozione, costretto ai box da un infortunio rimediato durante una partita amichevole con il Lavello. Nonostante la retrocessione, però, non mancano alcune piccole soddisfazioni, come le vittorie con Rionero, Fasano e Martina, ma soprattutto il pareggio imposto nel derby al Potenza e ottenuto grazie ad un gol leggendario di Vito Gerardi. Lo ricorda molto bene Tommaso Samela, ala funambolica tra le più forti del calcio lucano dell’epoca, protagonista ad inizio stagione di un gesto esemplare quando, insieme al libero Ridolfi e alla punta Palmieri, aveva scelto di rinunciare al proprio ingaggio, dimostrando un grande senso di attaccamento alla maglia: “Ricordo lo stadio Viviani strapieno, con una folta presenza di aviglianesi, letteralmente esplosi dopo il gol di Vito Gerardi. Noi eravamo consapevoli di trovarci di fronte una squadra allestita per vincere il campionato, con l’innesto di calciatori che avevano militato in serie superiori. Ma la nostra forte volontà di dare una gioia agli aviglianesi, accorsi numerosi allo stadio, ci ha spinto a sfoderare una prestazione superlativa. È stata un’emozione unica“.
Dalla polvere all’altare: 1977-’79
La discesa in Promozione (odierna Eccellenza), per fortuna, dura poco. Con Ezio Gaddi nella doppia veste di allenatore-giocatore, e il mortifero Vito Vaccaro a trascinare i granata a suon di gol, l’Avigliano domina il torneo lucano, facendo immediato ritorno in serie D. Ma c’è un problema: il campo, che aveva costretto i granata a traslocare a Potenza nella stagione ’76-’77, non è stato ancora messo a norma per i canoni richiesti dalla lega di categoria. Tanto che, in luglio, il governo del calcio semiprofessionistico esclude l’Avigliano dal campionato, causando le ire di società e tifosi aviglianesi, convinti di aver subito una grave ingiustizia. Per sbloccare la situazione, allora, si muove addirittura il sindaco. L’indimenticato Gerardo Coviello, figura di spicco della Dc lucana, scrive di proprio pugno un telegramma di protesta e lo spedisce alla Lega dilettanti. Le rimostranze aviglianesi danno i loro i frutti nelle settimane successive: l’Avigliano viene riammesso al torneo, e il 5 ottobre disputano la loro prima gara ufficiale al “Comunale” di Contrada Cefalo, travolgendo di gol i pugliesi del Mola (3-0) in una giornata memorabile per lo sport aviglianese.
Forse scottata dalla prima avventura in D, stavolta la società ha allestito una squadra competitiva, manifestando la volontà di essere protagonista in campionato. Lo dimostra anche la faraonica campagna acquisti condotta in estate: sono arrivati, infatti, giocatori di categoria come Benedetto, Lategano, Ioca, Martino, Prestileo, Giuliano, Di Toma, Di Cuonzo, Di Gennaro, Di Modugno, e Mineccia. Un bel di mix di qualità e quantità, a cui si aggiunge il giovane Mario Petilli, attaccante prelevato dalla Murese, destinato a diventare negli anni ’90 il cannoniere più prolifico della storia granata in serie D. L’obiettivo è fare un campionato dignitosi, salvandosi il prima possibile, ma quello che accade va oltre le più rosee aspettative. Guidato in panchina dal mitico Giuseppe Di Pietro, l’Avigliano alloggia nei quartieri alti della classifica per tutto il torneo, terminando al secondo posto con 45 punti insieme a L’Aquila, ad una sola lunghezza dallo Squinzano, promossi direttamente in C2.
Per conoscere chi farà compagnia ai salentini serve uno spareggio tra l’Avigliano e gli abruzzesi: “Per raggiungere quello spareggio fu decisivo un mio gol segnato in trasferta al Nardò, nei minuti finali dell’ultima partita, che ci regalò la vittoria, ma soprattutto la possibilità di giocare lo spareggio per la C2“, ricorda un commosso Paolo Antonio Lategano, centrocampista arrivato in prestito dal Potenza. Il match più importante della gloriosa storia granata si gioca a Cassino, domenica 3 giugno 1979, davanti ad ottomila spettatori.
L’Avigliano non è solo. Non può esserlo nel giorno più importante della sua storia. Una interminabile e colorata carovana di tifosi scorta la squadra durante il viaggio. Auto, pullman, furgoncini. È una processione laica, meravigliosa e indimenticabile. All’arrivo, però, i granata vengono accolti da una notizia scioccante: tre tifosi aquilani non sono riusciti a sopravvivere ad un incidente avvenuto all’altezza di Sulmona mentre si stavano dirigendo a Cassino per assistere allo spareggio. Forse sarebbe meglio rinviare la gara. C’è chi spinge per questa soluzione, ma alla fine si decide per giocare comunque, osservando un minuto di silenzio per commemorare i tre ragazzi aquilani. Il sole batte forte, esattamente come il cuore. Sono un migliaio mille, o forse più, i puntini granata disseminati sulle gradinate del “Gino Salveti”. Gli aquilani sono di più. Molti di più, forse il triplo, ma anche gli ultras granata reggono il confronto dei decibel.
Prima del fischio d’inizio, Carmine Colangelo con i suoi baffoni beat li va a caricare sotto lo spicchio di tribuna a loro riservato. D’improvviso si leva un boato. Adesso si: i granata sono pronti alla battaglia. D’un tratto la paura lascia spazio al coraggio. Nemmeno il tempo di cominciare che già i granata mettono alle corde i più blasonati avversari. Le urla di Di Pietro si levano al cielo copiosamente. Dopo tre giri di lancette Di Gennaro si inarca in area e colpisce la palla di testa. Gli aviglianesi sono pronti ad esplodere di gioia, ma è solo un’effimera scarica di adrenalina: il portiere Oddi con un colpo di reni incredibile riesce infatti a deviare la traiettoria dei sogni granata. Ma l’Avigliano insiste alla ricerca del vantaggio. Pochi minuti più tardi Lorenzino Mineccia, trequartista naif dalle movenze aristocratiche e con un piede di quelli in grando di scrivere meravigliose poesie, lascia partire un gran tiro al volo dal limite, ma anche questa volta le nostre speranze si infrangono su Oddi. Passano i minuti e pian piano l’Aquila esce dal suo torpore e comincia a tirar fuori gli artigli. Tarantelli con una violenta conclusione mancina fa vibrare il palo della porta difesa di Benedetto. Sono le prove generali del gol. Punizione per L’Aquila. Sul punto di battuta si presenta un ragazzo dai polpacci marmorei che solo a guardarli incutono terrore. Rocca, questo il suo cognome, lascia partire un tiro dinamitardo: Benedetto non trattiene e purtroppo per noi il più lesto di tutti in area è Militello, lesto come un avvoltoio nell’anticipare la difesa granata e insaccare il tap-in.
E’ una mazzata tremenda. Nella ripresa l’Avigliano crolla definitivamente. I lucani sono in balia degli avversari. L’Aquila fa di loro ciò che vuole: gli abruzzesi si divertono a giocare al tiro al bersaglio, ma tuttavia non riescono a chiudere la pratica. C’è ancora speranza, ma sarà così ancora per poco. Speranze che evaporano inesorabilmente quando, con l’Avigliano sbilanciato in avanti intento a trovare il goal del pari, Militello approfitta di un contropiede per cogliere imprepata la retroguardia aviglianese e infilare ancora una volta Benedetto. È la fine. Il triplice fischio finale risuona come una condanna. Il sogno granata è svanito. Ma quanto è stato bello poter sognare? La stagione seguente, ’79-’80, l’Avigliano tenterà nuovamente di ottenere la promozione in C2, ma due partite risulteranno fatali. Quella con il Martina, persa a tavolino per non aver liberato il campo dalla neve caduta più di un giorno prima della gara, ma soprattutto la gara interna con i pugliesi del Trani, rimasta nell’immaginario collettivo aviglianese come la “partita stregata” per eccellenza. Un incontro assurdo, “perso inopinatamente 0-1, con l’unico tiro verso la porta aviglianese su calcio da fermo quasi da metà campo, dopo un dominio territoriale pressoché assoluto, un ininterrotto possesso palla, venti angoli a favore, due rigori sbagliati, una quantità di occasioni da rete sciupate e una traversa colpita“, come racconta Franco Bochicchio nel suo libro “La testa nel pallone – Il calcio in Avigliano tra cronaca e storia”.
Vincenzo Lacerenza