Nessuno l’aveva più visto e sentito. Come se di lui si fossero perse le tracce dopo l’avventura calcistica. Ma eccolo spuntare come coniglio dal cilindro del prestigiatore. E spiegare che da tempo ha nascosto il pallone. Che con il calcio ha divorziato tanti anni fa, deluso e tradito. “Sergio Magistrelli, un fantasma”, scrisse nel 2011 Salvatore Geraci che lo aveva intervistato per Repubblica.
Che si occupa solo di trasporti, che non è mai stato esperto d’arte come riporta qualche sterile biografia, che non vive di ricordi ma di presente. Mistero dunque risolto. A farlo rintracciare a Geraci era stato Livio Prada (“I nonni erano parenti dei Prada della famosa casa di moda”), memoria storica del Como, dal 1945 accompagnatore della squadra, lucidissimo, personaggio di grande spessore umano che ha scoperto grandi talenti come appunto Sergio Magistrelli e Gigi Meroni.
Magistrelli a sedici anni debutta a Como, passa poi all’Atalanta e a ventuno anni viene acquistato dall’Inter. «Ero chiuso da Mazzolae Boninsegna– dice Magistrelli – E poi l’Inter voleva Mariani che a Palermo in B non si trovava a suo agio». Cominciò così l’avventura che lo avrebbe portato alla finale di Coppa. «Arrivai a novembre. Viciani mi rimproverava di essere più attratto dalla bellezza di mia moglie Grazia che dal sudore degli allenamenti. Poi i suoi giudizi cambiarono perché cominciai a fare gol». Nove, in campionato, e quello della finale col Bologna resta mitico.
«Cross di Favalli e il sottoscritto che si alza come un angelo e colpisce di testa. Sapete che quelle immagini in bianco e nero non le ho più riviste? Ne parlano tutti specialmente ora alla vigilia di Inter-Palermo, mi dicono che posso trovarle su Youtube ma per paradossale che possa sembrare non ho computer. E poi con il calcio non c’è più feeling».
Come se non avesse mai giocato. Possibile? «Pensavo di fare l’allenatore, ho preso il patentino di seconda, mi sono fermato alla prima tappa: Isernia. Se quello era il dopo, meglio smettere. I primi anni giravo per il calcio mercato ad Assago, mi trattavano come un illustre sconosciuto. Gli amici si erano tutti dileguati.
Così ho scelto di lavorare. Mio suocero aveva una ditta di trasporti, consegno pneumatici, girando per la Lombardia. Non ho più visto i miei compagni. A Crema ho letto che Favalli era morto, di Brignani non sapevo niente. Ho incontrato Vanello al centenario dell’Inter sempre un fighetto, ma senza puzza sotto il naso, l’architettopetroliere. Leggo di Vullo (rigore sbagliato contro il Bologna, NdR.) che fa bene, mi piacerebbe rivedere Trapani – ma è vero che ha aperto ristoranti a Parigi? – Cerantola, Barbana, Barlassina, Zanin, Pighin; so che Ballabio fa il missionario. Barbera era un signore, mi dispiace per Ferruccio. Una volta siamo stati ospiti del presidente nella sua villa che non dimenticherò mai. Questo mondo non mi appartiene più, non vado neppure allo stadio».
Una macchina da gol ormai lontana anni luce dalla ribalta del calcio. «Se non sei nell’ambiente scompari. E ti vengono le nostalgie. Penso a Palermo, a Mondello, alla casa vicino al Palace, al medico di mio figlio, che aveva due o tre mesi, Ludovico Ziino». Ormai Sergio non stacca più: «Nel calcio d’oggi starei proprio bene. Non dico che avrei una quotazione di 50 milioni, ma venti sicuro».
E la Coppa? «La prima cosa che mi viene in mente? Ce l’hanno rubata. Uno scippo. Per anni quelli del Bologna mi hanno preso in giro. Bulgarelli e Savoldi hanno ammesso la verità, quel rigore non c’era. Novellini che poi è stato compagno di squadra nel Palermo mi diceva: ‘Vedi questa macchina? L’ho comprata con il premio della finale’. E gli altri lo stesso: la pelliccia della moglie, il gioiello, la casa. Quella Coppa, obiettivamente l’abbiamo buttata via anche se quel rigore è stata una carognata. Dovevamo vincere per 3 a 0, eravamo in superiorità numerica, in contropiede non ci vedevano.Riuscimmo a sbagliare gol fatti.
Ad un certo punto, io e Barbana ci siamo involati da centrocampo in perfetta solitudine. Fatto fuori il portiere, all’ultimo passaggio, sbagliai lo stop col ginocchio e il difensore Cresci, che riuscì a respingere sulla linea bianca. Quel Palermo correva a ritmi sfrenati e adesso quando vedo il Barcellona sapete che penso? Che quel gioco lo facevamo noi».
Oggi Sergio Magistrelli ha a settant’ anni. «Non ho la barba, peso un decina di chili in più, ma non sono grasso, ho ancora i capelli anche se qualcuno è andato via. Da poco abbiamo cambiato casa.
Troppo grande per me e Grazia.Vivo a Lipomo a due chilometri da Como, la mia vita è diventata famiglia, amici e lavoro, non è più come un tempo che mi piacevano le BMW sportive». Tra Inter e Palermo per chi tifa Magistrelli? «Palermo, è ovvio. L’Inter è stata una chimera. A Palermo invece ho vissuto intensamente. E poi non riesco a digerire quella sconfitta».