Giuseppe Sabadini, detto Tato, è cresciuto nelle giovanili della Sampdoria Debutta in A appena 17enne a metà maggio ’66 nel successo interno per 1-0 sul Napoli, per poi far parte in pianta stabile quale terzino titolare della difesa blucerchiata nel triennio 1968-’71, periodo in cui salta una sola gara di campionato, così da meritarsi le attenzioni del Milan, che lo acquista nell’estate ’71.
Coi rossoneri, Sabadini vive il periodo migliore della sua attività agonistica, conquistando nei suoi primi due anni due Coppe Italia consecutive, a seguito delle quali dispute altrettanti finali di Coppa delle Coppe – vincendo l’edizione ’73 per 1-0 a spese del Leeds e venendo sconfitto l’anno successivo 0-2 dai tedeschi orientali del Magdeburgo – con però l’amara delusione di vedersi sfuggire lo scudetto, per due volte beffato sul filo di lana per un solo punto di distacco a favore della Juventus, con la curiosità di essere l’ultimo ad arrendersi nel 1973, stagione in cui, oltre a sbloccare il risultato nel derby di ritorno, va a segno in ciascuna delle ultime tre giornate di campionato, fatto quanto mai insolito per lui.
Dopo aver vestito anche in quattro occasioni la maglia azzurra ed aver concluso l’esperienza al Milan con una terza Coppa Italia nel ’77 a spese dell’Inter, Sabadini si trasferisce al Catanzaro nell’estate ’78 per disputarvi altri cinque tornei di Serie A – ottenendo curiosamente la permanenza nella massima serie nel 1980 proprio grazie alla retrocessione in B del Milan e della Lazio per il primo calcioscommesse – prima di approdare al Catania ed all’Ascoli e quindi concludere, nel 1987 a 38 anni, una carriera da 438 presenze (di cui 401 nella massima serie) e 19 reti in sole gare di campionato, con un’ultima stagione al Corigliano, in Interregionale.
Arrivò al Milan nell’estate del 1971 assieme ad Albertino Bigon e Riccardo Sogliano proveniente dalla Sampdoria allenata da Fulvio Bernardini e con la quale esordì in Serie A all’età di diciassette anni; per uno che da bambino collezionava le figurine dei giocatori rossoneri, indossare la gloriosa casacca del Diavolo rappresentava un sogno.
Quelle sue scorribande sulla fascia con i lunghi capelli svolazzanti – come racconta Colombo Labae – oltre a valergli il soprannome di Tarzan, fecero ben presto innamorare i tifosi rossoneri che lo elessero a loro idolo. Gradiva particolarmente infatti frequentare i clubs rossoneri ove intratteneva volentieri i tifosi con la sua chitarra (due per tutti, il “Settembre Rossonero” di Rho ed il “Milan Club Moncalieri” (To), oltre ad allietare i ritiri con la squadra strimpellando (si fa per dire, ma chi lo ha sentito ha detto che è molto bravo) qualche canzone, con l’amico Lino Golin a fare da solista.
Inizialmente però ebbe delle incomprensioni con Nereo Rocco, grazie anche ad un Milan-Juventus in cui a Tato fu affidato l’astro nascente Roberto Bettega che in quella occasione mise a segno una doppietta, tra cui il famoso gol di tacco per il quale, ancora oggi, i sostenitori juventini sbeffeggiano quelli milanisti; ma poi per lui fu un crescendo, tanto che arrivò anche a vestire la maglia della Nazionale con cui, però, non ebbe molta fortuna.
Capitò, infatti, che in vista di un Olanda-Italia del 20 novembre 1974, il suo vecchio maestro Fuffo Bernardini gli disse di tenersi pronto per affidargli nientemeno che Johann Cruijff, ma, complice qualche fraintendimento tattico con Gustavo Giagnoni, che preferiva utilizzare Luciano Zecchini come centrale difensivo o libero, Bernardini fu costretto ad optare per il barbuto difensore che, nel frattempo, in rossonero aveva comunque fatto vedere qualcosa di positivo, con il risultato che oltre ad incassare un secco 3-1, quell’incontro segnò in qualche modo l’addio alla Nazionale sia di Sabadini che di Zecchini.
Peggio di così… In rossonero vinse “soltanto” una Coppa delle Coppe e due Coppe Italia, sfiorando però per ben due volte lo scudetto, nel ’72 e, soprattutto, nel ’73, quando nell’ultima giornata i giocatori rossoneri, reduci dalla battaglia vittoriosa in Coppa delle Coppe con il Leeds di Joe Jordan, rimediarono cinque sonori ceffoni in una Verona bardata di rossonero tanto da sembrare San Siro, rimandando così l’appuntamento tricolore di qualche anno.
Quante lacrime si versarono quel giorno, che avrebbe dovuto rappresentare la degna conclusione di una stupenda stagione agonistica.
Nella stagione 1977-’78 arrivò al Milan il Barone Nils Liedholm che, poco per volta, inserì in squadra qualche elemento della Primavera come Franco Baresi e Fulvio Collovati, due elementi che poi scrissero, in modi diversi, la storia del Milan e per il Nnostro Tato venne il momento di emigrare a Catanzaro per disputare, in compagnia dell’amico Ramon Turone, anche lui “chiuso” dai giovanissimi astri nascenti qualche altro campionato di Serie A.
I due sono comunque testimoni di uno “storico” Catanzaro-Milan datato 29 aprile 1979 che diede, in pratica, la tanto sospirata Stella a Rivera (quel giorno semplicemente mostruoso) e compagni, conclusosi con un meraviglioso 3-1 in mezzo a tante, tantissime bandiere rossonere.