“Da calciatore ho iniziato con la Lodigiani, e in seguito, da vero e proprio girovago del calcio, ho indossato divise di importanti società come Cerretese, Alessandria, Cavese, Trento, Foggia, Salernitana chiudendo quindi a livello di professionista ad Aosta. Tornato nel Lazio ho giocato a Monterotondo e quindi con la Cisco Roma che poi si fuse con la Lodigiani e quella fu una stagione molto importante per me perché collaborai con Juan Carlos Morrone a livello tecnico e da quella importante esperienza ricavai la certezza che nel mio futuro c’era la panchina”. A parlare Fabio Fratena. Proprio con la Salernitana una delle pagine più belle: “Ho un ricordo bellissimo sulla piazza salernitana“.
Tanto calcio giocato per il centrocampista classe ’63, che ricorda i giocatori più forti con cui ha condiviso le gioie e i dolori in campo: “Due pezzi da novanta su tutti sono stati Signori e Rambaudi”. Come allenatore anche l’esperienza in B al Latina come “secondo” di Mario Somma, Sempre coerente con i suoi metodi di lavoro. “La mia idea del calcio? – ha precisato Fratena –è nel cercare il risultato attraverso il gioco: sembra una frase fatta ma è sicuramente quello che penso e che cerco di proporre alle mie squadre“.
“L’orso”. Con questo nomignolo era conosciuto il portiere Franco Mancini, morto di infarto nel 2012 a 43 anni, negli spogliatoi del Foggia. Glielo affibbiò nel lontano 1987 proprio Fratena, nella sua prima stagione in rossonero. Nel suo fagotto portava con sè da Bisceglie le immancabili musicassette con brani reggae e le stecche di una batteria. Le sue più grandi passioni, quelle che assecondava nel tempo libero, magari nel chiuso di un garage assieme agli amici più cari.
Ma il suo amore più grande era il calcio. In una sua intervista pubblicata nel libro «Diavolo di un satanello», Mancini raccontava il suo rapporto con i compagni, al di là del campo, nello spogliatoio, cuore pulsante di una squadra: “Subivo molti scherzi, soprattutto da Fratena. Un giorno, in ritiro, tutti i calciatori si fecero trovare a tavola con piatto e posate. Al mio posto Fabio piazzò un gigantesco barattolo di miele aperto. Mi prendeva in giro per via del mio soprannome. Andai su tutte le furie». “Ci inseguii per tutto l’albergo – ha raccontato Fratena con il groppo in gola – In tre non riuscivamo a fermarlo, mi dava certe botte…”. Lo scanzonato Fratena , da buon romano tormentava il taciturno materano. Si beccavano ma in fondo manifestavano una grande affinità. Fabio era l’unico che riusciva a scioglierlo. Mancini odiava prendere gol, anche in allenamento. Forse adesso, da lassù, starà rincorrendo, furente, il suo destino
Prima di chiudere la breve ma intensa chiacchierata con il centrocampista, l’allusione è ad uno dei personaggio più discussi del calcio mondiale: “Consentitemi di ricordare il più grande maestro di calcio che io abbia mai conosciuto che risponde al nome di Zdenek Zeman, un uomo di una correttezza esemplare, grande educatore e grande insegnante di calcio che in un mondo che va al contrario ha mantenuto sempre dritta la barra del suo credo calcistico”. “Un allenatore importante – ha concluso Fratena riferendosi al tecnico boemo – con un’idea altrettanto rilevante in mente. All’epoca giocavamo davvero un grande calcio; ancora oggi riesce ad essere al passo con i tempi ed insegna calcio come pochi”.