Il 24 marzo 1991 Diego Maradona giocò la sua ultima partita in Serie A con la maglia del Napoli, poi la squalifica per doping e la successiva tappa a Siviglia prima del ritorno in patria. La Samp (futura vincitrice dello Scudetto) vinse con un netto 4-1 contro gli azzurri, grazie al vantaggio di Cerezo e alla doppietta di Vialli. Maradona chiuse l’esperienza col calcio italiano con un gol, su calcio di rigore, prima del definitivo poker blucerchiato firmato da Lombardo.
Trent’anni. L’ultima di 259 partite, l’ultimo di 115 gol. Domenica 24 marzo 1991, al Ferraris di Genova il Napoli di Maradona – campione d’Italia in carica – sfidò la Sampdoria di Mancini e Vialli che si preparava a festeggiare il primo scudetto della sua storia. I blucerchiati vinsero per 4-1: al 75′, dopo i primi tre gol, vi fu il rigore di Diego. A fine partita diede la sua maglia numero 10, colore rosso, a Roberto Mancini, il capitano della Samp. «Sopra scrisse una dedica a mio figlio Filippo, la conservo ancora», rivelò l’attuale ct della Nazionale alla vigilia dei sessant’anni di Diego nello scorso ottobre. Non poteva immaginare che sarebbe stato l’ultimo saluto a distanza a Maradona, scomparso il 25 novembre scorso. Uscita dal Ferraris – come ha raccontato Francescio De Luca su “Il Mattino” – la comitiva del Napoli raggiunse un ristorante nella via principale di Genova, a pochi passi dalla sede della Samp. Cena da “Zeffirino”, dov’erano di casa Frank Sinastra e i campioni dello sport, in attesa del volo per Napoli. Il vicepresidente Francesco Serao, numero uno dei commercialisti italiani scelto dal presidente Corrado Ferlaino come braccio destro, disse a Diego: «Siediti accanto a me, devo parlarti». Cercò le parole giuste per spiegargli che dal controllo antidoping effettuato dopo Napoli-Bari sette giorni prima era emersa la sua positività alla cocaina. Diego fece una smorfia: «Ho capito». Alla stessa ora, in un ristorante milanese, il presidente del Coni Arrigo Gattai rivelò la clamorosa notizia un paio di amici giornalisti mentre al telefono Ferlaino interrogava il presidente della Lega, Luciano Nizzola: «Ma non c’è niente da fare?». Niente, ovviamente.
Nessuno dei cronisti al seguito del Napoli – all’epoca si viaggiava sullo stesso aereo privato della squadra – poteva immaginare. Maradona era nervoso, pensammo per la sconfitta. Poi ritrovò il sorriso quando gli passarono uno dei primi cellulari perché uno dei pochi amici giornalisti, Francesco Degni, capo della redazione sportiva del “Roma”, voleva salutarlo da Napoli. «Grande, ci vediamo presto». Si sarebbero sentiti per un rapido saluto prima che Diego, i suoi familiari e gli ultimi superstiti del suo clan si imbarcassero per Buenos Aires, pochi giorni dopo l’ufficiale conferma della squalifica fino al 30 giugno 1992. Non sarebbe tornato quel giorno a Napoli perché la Fifa impose la sua cessione al Siviglia. Sarebbero passati molti anni: lo avremmo rivisto al San Paolo il 9 giugno 2005 per la partita d’addio al calcio dell’amico Ciro Ferrara. E altre volte sarebbe tornato qui, l’ultima il 7 luglio 2017 per ricevere dal sindaco Luigi de Magistris la cittadinanza onoraria. Ora ci è rimasto il ricordo.