Quando incontrò il Papa nel 1982 a Castelgandolfo, assieme a tutti i suoi compagni del Verona, il Santo Padre lo guardò con dolcezza e gli disse: “Lei così giovane è il capitano?”. Roberto Tricella era un leader sin da giovane, quando esordì a meno di 20 anni in A con l’Inter dove era cresciuto calcisticamente ma l’esperienza in nerazzurro durò solo 5 partite in due anni. Non era quello il destino di questo ragazzo nato nella “terra dei liberi”, Cernusco sul Naviglio che diede i natali anche a Scirea e Galbiati. Il padre operaio aveva inculcato in Roberto il senso del sacrificio e della serietà. Anche a scuola del resto (all’istituto “Conti” di Milano dove ha conseguito il diploma di perito in radio-elettronica) Tricella si distingue come il primo della classe, nonostante la stanchezza.
La sveglia alle sei e mezzo a Cernusco, ore sette metrò fino in piazzale Lotto, cinque ore sui banchi, un toast e via, filobus 91, a Rogoredo, ad allenarsi con i ragazzi dell’Inter. Alle 18,30 ancora filobus e metrò, ore 20 a casa, cena e sui libri fino a mezzanotte. La gloria arrivò infatti al Verona, dove fu ceduto in B. Con la maglia gialloblù diventa un campione vero, fino a vincere l’indimenticabile scudetto dell’85 con la fascia di capitano al braccio. Arriva la Nazionale e poi la chiamata della Juve.
I bianconeri lo acquistano per 4,5 miliardi vedendo in lui l’erede di Scirea e non solo per i natali in comune. A Il Pallone racconta Tricella spiegò: “Quella juventina è stata per me un’esperienza fondamentale. Ne conservo ricordi molto positivi dal punto di vista umano, mentre ho qualche rammarico per i risultati, che non sono stati tutti favorevoli; abbiamo vinto poco, tranne l’ultimo anno, quello con Zoff, il 1989-‘90. Per me fu un’enorme soddisfazione giocare nel club bianconero. Anche perché c’era già Scirea, come compagno di squadra e dopo come allenatore; una persona e un amico indimenticabile, un esempio: perché è stato il più grande libero di sempre. A volte si fanno paragoni fra lui e Baresi, io sostengo che Franco è stato un gradino sotto Gai”.
Dopo la Juve ecco il Bologna ma un guaio muscolare lo costringe il ritiro a soli 32 anni. Come superare lo shock? “Ne sono uscito buttando anima e corpo nell’attività degli investimenti immobiliari. Quand’ero a Bologna acquistai alcuni terreni con l’obiettivo di farli fruttare costruendoci sopra case”. Il calcio esce dalla sua vita come rivela a Calcio Magazine: “Quando ho smesso di giocare, nel 1991, ho deciso di lasciare definitivamente il mondo del calcio. Oggi vivo a Cernusco sul Naviglio, dove sono nato e da dove ero partito pieno di speranze e di sogni, e lavoro nel settore immobiliare. Quel che è stato è stato. Ora ho la mia attività, che porto avanti con successo da anni, e il calcio lo seguo solo in televisione”.