Sono tanti gli sportivi, soprattutto calciatori, che si sono dovuti arrendere a questa malattia incurabile: Stefano Borgonovo è solo uno dei casi più conosciuti.
“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio“.
Jorge Luis Borges
Ecco, toglietegli quello strumento e nulla sarà più come prima. Toglietegli la possibilità di prendere a calci quel pallone e “sarà tutto morto”. Nulla renderà più felice un amante del gioco del calcio quanto un pallone infangato che rotola su un campo sconnesso. Se poi ci aggiungete uno stadio pieno, magari al calar del sole, con in palio un campionato, allora non vi manca davvero nulla. Ecco, un calciatore vive di questo. Vive per questo. Sogna queste emozioni fin da bambino e mette in campo sudore e lacrime pur di raggiungere i suoi obiettivi. Innumerevoli sono i suoi sacrifici – così come quelli di qualsiasi sportivo professionista – per arrivare in fondo, e vincere.
Già, vincere. Vista l’evoluzione sempre più superficiale e “commerciale” del calcio di oggi sembra un paradosso, ma vincere non è la cosa che più sogna un bambino quando dà il suo primo calcio al pallone. È, semplicemente, giocare. Ecco quindi che la cosa più importante non diventa più vincere la finale di Champions League ma, banalmente, poter scendere in campo. Perché – vi sveliamo un segreto – il terrore più grande per un calciatore non è perdere la partita decisiva della stagione, ma quello di non poter essere in campo per dare una mano ai propri compagni, a causa ad esempio di un brutto infortunio che lo costringe ad assistere da spettatore non pagante.
Nel mondo del calcio – come ci ricorda Matteo Zinani nel suo articolo – esiste un oscuro e crudele mistero che non è ancora stato spiegato. Si tratta di una terribile malattia che colpisce sempre più persone, sempre più sportivi, sempre più calciatori. Stiamo tristemente parlando della “SLA”, la sclerosi laterale amiotrofica, chiamata anche “malattia di Lou Gehrig” dal nome di un giocatore di baseball – il cui caso nel 1939 fece molto scalpore. Essa è una malattia neurodegenerativa che colpisce i muscoli, provocando rigidità, contrazione e riduzione delle loro dimensioni. In parole povere, si arriva alla paralisi quasi totale in pochi mesi. Ciò porta progressivamente a seri problemi di deglutizione, e quindi di parola, e infine di respirazione. Al momento, non ne è ancora stata trovata la cura. Esistono farmaci che possono dare qualche speranza, ma non fanno altro che prolungarne l’ ”agonia”. Ora come ora, in Italia come nel resto del mondo, nel calcio come in qualsiasi altro sport, chi si ammala di SLA – prima o poi – muore.
Tra Europa e Usa, la malattia colpisce in media 2 persone su 100.000 all’anno. Spesso, queste persone sono sportivi. Spesso, questi sportivi sono calciatori. I calciatori – così come gli atleti di football americano – muoiono 3 volte in più rispetto al resto della popolazione per malattie neurodegenerative in generale, e rischiano addirittura 24 volte in più di ammalarsi di SLA. L’ereditarietà gioca un ruolo importante, ma la questione va oltre. Le cause non sono praticamente mai note, ma si è spesso parlato di eccessivo sforzo fisico, doping ed erbicidi-pesticidi presenti sull’erba del campo. Esistono tante ipotesi e supposizioni spaventose, ma qui in Italia non siamo mai riusciti a fare chiarezza. Sono addirittura 30 i calciatori italiani morti di SLA, la maggior parte ovviamente facente parte del calcio dilettantistico. Troppo pochi i controlli, troppo scarse le misure di sicurezza. Nonostante ciò, però, le tragedie succedono anche nel mondo del professionismo. Tra i nomi più celebri ricordiamo Gianluca Signorini, Paolo List, Adriano Lombardi, Fulvio Bernardini, ma soprattutto Stefano Borgonovo.
Borgonovo è morto nel 2013 all’età di 49 anni. Di ruolo attaccante, ha vestito negli anni le maglie di Como, Sambenedettese, Fiorentina, Milan, Pescara, Udinese e Brescia. Dopo aver giocato anche per la Nazionale italiana, lascia il calcio giocato nel 1996. Inizierà quindi ad allenare, anche se solo nel 2000, nella squadra in cui è nato e cresciuto: il Como. Dopo appena cinque anni di settore giovanile, però, è costretto a dire “basta”. Sono arrivati i primi problemi di salute, e Stefano comincia a far fatica. Nel 2005 le cose si complicano davvero. Il 5 settembre 2008, Stefano Borgonovo annuncia pubblicamente di esser stato colpito dalla SLA.
Iniziano quindi anni di inferno, per lui e per i suoi familiari. Poco a poco, il ragazzo è costretto a ripiegare su una sedia a rotelle, pressoché immobile, e a parlare solo attraverso un sintetizzatore vocale. Le sue condizioni sono impietose, il suo destino segnato. “La Stronza” la chiamava lui, come se non volesse proprio piegarsi a qualcosa di invincibile. Stefano quindi non molla. Sceglie infatti di essere molto attivo nel sociale.
Nel 2008 dà vita alla Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, che sostiene la ricerca per vincere la SLA. Tanti i libri scritti e le partite benefiche giocate in suo onore. Particolare sostegno gli hanno spesso garantito le società di Fiorentina e Milan, dove lui ha più lasciato il segno. Borgonovo dice addio al mondo, quello vero, nel pomeriggio del 27 giugno 2013. La sera l’Italia ha poi giocato la semifinale di Confederations Cup contro la Spagna con il lutto al braccio. Il primo luglio si sono svolti i funerali.
Uno degli sportivi che gli è stato più vicino negli ultimi anni è sicuramente Roberto Baggio, forse il calciatore italiano più forte della storia. Proprio da lui viene uno dei saluti più belli e sinceri, il giorno della sua morte.
“Caro Stefano, l’impresa più bella che sei riuscito a costruire negli anni è stata quella di trasformare il veleno della malattia in medicina per gli altri. Ciao amico mio, onorerò per sempre la tua persona“.
Fonte: CompassUnibo