E’ stato invitato a Europa – Resto del Mondo, il grande match dello stadio dei Cosmos di New York. Si giocherà sabato 7 agosto 1982. Programma perlomeno conturbante: viaggio in limousine e passeggiata sulla Madison Avenue bardata del tricolore della Little Italy. Poi incontro col sindaco , quindi con Henry Kissinger poi con Gianni Agnelli e festa finale in discoteca. Bruno Conti rinuncia . Il più grande giocatore del Mundial preferisce viaggiare tutta la notte in treno con Ancelotti e il dottor Alicicco. E domenica primo agosto raggiunge la stazione di Fortezza presso Brunico. Lì c’è la Roma in ritiro. E trova pronto il suo amico Fernando Fabbri, che fa il dirigente accompagnatore: Bruno si getta tra le sue braccia e si mette a piangere.
Ad aspettarlo sul piazzale dell’albergo ci sono i tifosi, Nils Liedholm , tutti i compagni. A corredo di uno striscione enorme. Ma Bruno non ha soltanto nostalgia dei vecchi amici. Sembra essere scappato da qualcosa : “Mai come quest’anno ho sognato di venire in ritiro. Davvero questa volta non mi pesa. A Nettuno, il mio paese, mi hanno fatto rivivere l’emozione del Mundial una seconda volta. Mi hanno accolto per le strade come un re. Ma tutte quelle feste, mi hanno ucciso. Il telefono squillava in continuazione e la sera gli amici facevano a gara per invitarmi a cena. Ho provato una gioia immensa, ho capito che tutta quella gente mi voleva e mi vuole bene. Ma ora sono stanco, stravolto. Non sono nemmeno riuscito a passare qualche ora con i miei bambini. La festa poi che il comune di Nettuno ha organizzato nella piazza principale è stata eccezionale, commovente. E mi ha ripagato di tanti sacrifici. Tutta quella folla intorno a me, forse trentamila. Mi avevano detto che ci sarebbe stata una festa in Municipio. Invece mi hanno fatto salire su una macchina scoperta e abbiamo girato per la città. Ho ricevuto la cittadinanza onoraria. C’erano tutti . A pensarci mi vengono ancora i brividi”.
Nella sua prima giornata in Alto Adige, Bruno si dedica agli autografi: ne firma centinaia . Poi posa per le fotografie. Decine. Sorride, stringe le mani di tutti gli ammiratori che non lo mollano un attimo. Perché lui è così . E non è che non riesca a sottrarsi. Non vuole. Anche a Bolzano viene scortato dalla polizia. Ovunque vada, si crea l’assembramento.
A New York vanno comunque Bearzot, Zoff, Antognoni, Tardelli e ovviamente Paolo Rossi. Quello che sta sulla prima pagina del New York Times. Quello che le donne americane hanno eletto Il nuovo Rossano Brazzi. Bruno ha dato invece priorità alla Roma: “Ho già vissuto la mia New York a Nettuno. E non posso continuare a intontirmi con i ricordi della vittoria mondiale ”. Se ne va in panchina per la goleada ai dilettanti altoatesini. Poi prende il premio da un vicesindaco. Ringrazia, saluta. Ma l’indomani c’è l’annuncio di Liedholm: “La Roma dovrà rinunciare a Bruno Conti per più di un mese. Salterà tutto il pre-campionato, Coppa Italia compresa. I medici l’hanno trovato quattro chili sottopeso. Ed ha un forte esaurimento nervoso”.
E’ affetto da quella che qualcuno della stampa chiama la sindrome mundial: ”Uno cerca di dimenticare il Mondiale , ma i tifosi puntualmente te lo fanno ricordare. Era una dolce ossessione, ma alla lunga diventava pesante. A Nettuno c’erano troppi amici da accontentare. Troppi inviti ai quali non ho potuto dire di no. Mi è sembrato giusto ripagare tanto affetto. Io mi sento sempre in debito coi tifosi. E per poter mangiare in santa pace sono dovuto venire qui a Brunico . A casa mia era impossibile vivere . E adesso ho bisogno soprattutto di stare tranquillo , di riposarmi. Voglio solo dormire , passeggiare nei boschi e mangiare”. Un giorno in Spagna, Bruno era sotto la doccia. Lo chiama Causio: “Vieni a vedere, presto” . Bruno si affaccia alla finestra e legge “Bruno sei MaraZico”: c’erano dieci tifosi arrivati da Nettuno con uno striscione. Quasi lo facevano piangere.
Forse hanno fatto meglio quelli come Paolo Rossi che subito dopo il Mundial sono svaniti nel nulla: “Ho dovuto nascondermi, come altri. Se avessi passato i pochi giorni di vacanza in Italia, ora sarei a pezzi come Bruno Conti. Ho preferito andarmene via, in Francia. Un professionista deve sapere quando è il momento di dire basta ai festeggiamenti e pensare al campionato. Più in alto si sale, più ci si fa male cadendo”.
Si associano Cabrini, Gentile, Tardelli. Sembra una lezione. O una prima schermaglia da campionato. Al dottor Alicicco tocca confermare la quarantena di Bruno: “Il superlavoro cui si è sottoposto tra giugno e luglio ha svuotato le sue masse muscolari , ma con il riposo, la riossigenazione e l’alimentazione giusta, sarà al meglio alla fine di agosto”. Dall’ultima notte mundial sono passati solo una ventina di giorni e l’incanto sembra finito: “Lui è un ipersensibile e qualche volta gli è capitato di piangere per sfogare la sua gioia. Si è ritrovato colpito dallo stress della popolarità . Non era più padrone di se stesso e, generoso com’è, non è mai riuscito a sottrarsi ai curiosi, ai festeggiamenti, all’abbraccio degli ammiratori. Aveva bisogno di allontanarsi dal suo ambiente e perfino da casa. Solo così poteva riprendersi. E riposare con una certa regolarità, nutrirsi con pasti ipercalorici sempre alla stessa ora”.
E poi ha dormito pochissimo anche durante il Mundial: “Una notte non riuscivo a chiudere occhio. E’ stato prima del Brasile. Vedevo maglie carioca dappertutto. In stanza con me c’era Giovanni Galli che si addormentava al primo contatto col cuscino. Prendo le sigarette, esco e trovo Tardelli. Mi fa: ‘Non dormi ? Allora vediamoci un po’ di cassette del Brasile’ . Abbiamo fatto l’alba guardando quei mostri. Li trovavamo sempre più forti sia che li vedessimo con l’Unione Sovietica, con la Scozia o con la Nuova Zelanda”. Bruno passeggia per Brunico. Sei poi sette chilometri. L’indomani la Roma gioca un’amichevole contro il Trento, squadra di serie C1. E’ una figuraccia : si prendono tre gol in un’ora . E potevano essere di più. In ritiro tutto rimane in silenzio per mezza giornata. Liedholm non si preoccupa. Tocca giocare il quadrangolare di Cesena, “Il Memorial Dino Manuzzi”. Ci sono anche gli olandesi dell’Az ’67 e l’Atletico Mineiro con Eder, Luisinho e Cerezo. Ma gli organizzatori mettono le cose in chiaro: “Se non gioca Bruno Conti, la gente non verrà. Annulleremo una delle quatto partite in programma”.
Liedholm lo chiama. Alle ore 20.30 di venerdì 6 agosto, Cesena – Roma e lui gioca. Riprende anche le abitudini. Come la preparazione accurata di calze e scarpini. Anche di quello sentiva la mancanza. Anche se è ancora tre chili sotto. Alicicco viene subito a rendere conto: “Non credo che Bruno Conti sia stato spinto a giocare per dare alla squadra qualche possibilità in più di vincere. Forse Liedholm ha cambiato idea. E poi adesso va meglio. Lo sto guidando a un ritmo di vita con abitudini da calciatore. Secondo me, è idoneo per giocare trenta-quaranta minuti , ma è chiaro che lo controllerò dalla panchina con grande attenzione ”.
Prima Bruno corricchia, le gambe non ci sono. Poi l’istinto è troppo forte e la tecnica è rigogliosa come sempre. I difensori del Cesena sono allertati. Si raggruppano, provano a fermarlo , ma finiscono come i pulcini nella stoppa. Poi arriva Filippi e lo stende. Si passa ai rigori. In finale c’è l’AZ ’67 , domenica 8 agosto . La terapia continua : Tancredi, Nappi, Maldera, Righetti, Valigi, Nela, Chierico, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei, Conti. Con quel numero 11 rintrona un terzino olandese a caccia del quarto d’ora di celebrità. Quinto minuto e su un corner battuto corto, Bruno Conti è circondato da mezza difesa olandese: la palla scompare, apertura per Maldera e 1-0 per la Roma.
E’ tornato. Ma in realtà non se n’è mai andato. Gli olandesi gli dedicano ancora attenzioni. Con una preferenza per le caviglie. Altro corner: lo batte per la testa di Pruzzo e qualcuno salva sulla linea. Esce dopo un’ora: “Con Maldera l’intesa è nata spontanea. Faremo grandi cose sulla fascia sinistra . Il pallone rimane il mio divertimento preferito. E’ la mia droga. Giocando, riesco ancora a ridere e scherzare. Non riuscirà mai a stancarmi. Infatti volevo restare in campo fino al novantesimo”. Con la benedizione di Alicicco e tutto la staff tecnico, la sindrome Mundial è finita forse prima di cominciare: “Liedholm si è meravigliato delle sue condizioni di recupero e penso voglia rendersi conto dal vivo di quanto Conti debba impegnarsi ancora con sedute differenziate per arrivare al meglio della condizione. E poi uno come lui è in forma tutto l’anno”.
Due giorni dopo è martedì 10 agosto. A Lignano altra amichevole col Padova: Liedholm lo fa giocare. Si è davvero convinto. Non gli dà il 7, il numero che per Bruno è sacro. Ma quello che Liddas sceglie è fortemente simbolico: il 10. Prohaska non gira, Falcao è appena rientrato dalle vacanze e Ancelotti è ai box. Tutto il peso del centrocampo ricade sul 10: la gente va in estasi per quel sinistro prensile , per le volate , i passaggi al bacio e gli inviti con l’inchino. E’ il pallone, semplicemente, la terapia. La Roma vince 4-2 e lui è il migliore in campo : “E ho già recuperato il peso forma, sessantotto”.
Alla fine della partita trova ancora richieste di autografo. Lui si ferma e firma. Poi firma e firma. E alla fine dice “Grazie”. Lui. “Il mio fisico non ha bisogno di eccessiva preparazione per offrire il miglior rendimento. E’ sempre stato così e lo sarà anche quest’anno. E voglio rispondere a quelli che scrivono che gioco bene solo in Nazionale”. Giovedì 12 gioca la terza partita in cinque giorni. Ancora col 10. La mette per la testa di Pruzzo: il primo dei sei gol alla Reggiana. Saluta alla fine del tempo, entra Faccini. Il 18 è ancora il migliore dei suoi. Si passa a Ferrara nella prima di Coppa Italia. Un’altra palla delle sue a Pruzzo : è un 5-1 al Modena. La vittoria regala nuove energie, annulla le fatiche. E la Roma ha bisogno di specchiarsi almeno in lui : cinque gol anche al Verona. Alla presentazione del francobollo celebrativo del Mundial c’è. Poi l’indomani in allenamento si stira. E il campionato dei campioni del mondo inizia senza di lui. Gioca con la Sampdoria e venti minuti ad Ipswich, ma si fa di nuovo male. Sono gli effetti collaterali di un avvio affrettato e del troppo amore: “Maturare significa non sentirsi indispensabili. Ho commesso degli errori. Ho pagato con un infortunio che , date le mie precarie condizioni fisiche, non si è riassorbito nei tempi normali”.
Rimane a casa . Un giorno suo figlio si allunga sul tavolo per prendere un cioccolatino , ma urta una lampada che atterra sul pavimento. Più precisamente sul piede destro di Bruno. La lampada ha la base in marmo: ematoma, radiografie, perde un’altra settimana. “Andrò a farmi benedire”. Mercoledì 13 ottobre si prepara al rientro. Non vede l’ora. C’è una partitella in famiglia, di quelle con le regole dell’hockey. Il risultato è 3-3 e Bruno è scatenato: tutto il repertorio di finte e controfinte, tocchi di prima poi di tacco. A mitraglia, sinistro e destro. Il dirimpettaio è Nela , che soffre tremendamente. Non becca palla. E non ci sta. La recupera, gli fa un tunnel. Poi lo prende in giro. Bruno lo insegue, entra duro. Nela spinge. Bruno gli salta addosso. Qualcuno interviene. Li blocca, ma solo per un attimo. Bruno trova il varco e prepara il pugno. Stringe forte. E’ un destro . Dal basso in alto. Ovviamente contro uno come Nela. Bruno lo sfiora appena. In compenso prende in pieno Agostino Di Bartolomei, che è lì per mettere pace. Bruno urla. Ne ha anche per Liedholm: “Lei se la prende sempre con me”.
Potrebbe scoppiare il caso: “Naturalmente mi rendo conto subito del mio gesto folle e mi scuso con Nela, che è un mio amico. E poi non gli ho fatto niente, figurarsi. Al massimo l’ho spolverato. E’ finita lì, nello spogliatoio ci siamo stretti la mano. Sono cose che succedono. Ho un brutto carattere, non ci sto a perdere”. Liedholm se la ride. Sa com’è fatto Bruno. Lascia fare alla sua volontà , quella parte inconsapevole e quindi più profonda. Quattro giorni dopo è il suo esordio stagionale all’Olimpico. Ottavo minuto e cross disegnato per la testa di Pruzzo: 1-0, finisce così. Si va in testa. Perché la Juve degli altri eroi Mundial è in affanno.
“Sono nato a Nettuno e lì continuerò a vivere fino alla fine dei miei giorni . In macchina faccio quella strada da anni , per andare a Trigoria e poi tornare a casa. Sono disposto a fare avanti e indietro, ma per stare bene con la testa. Il mio paese è il più bello del mondo, non lo cambierei con nessun altro. A Nettuno devo tutto. Ho avuto la fortuna di essere assistito in tutto dalla mia gente. Mi hanno seguito e sostenuto qualunque cosa abbia fatto: vinto, perso, segnato, sbagliato. Sono sempre stati fieri di me. Sul lungomare hanno esposto lo striscione più bello . C’era scritto : ‘ Che si forte Bru’ ‘. Era più di un complimento: era una frase d’amore. Accanto a quella scritta c’era una mia foto”.
Anche da lì non se n’è mai andato. E alla fine quella folla apparentemente avida l’ha reso soltanto più forte: “La città è troppo caotica per i miei gusti. Ho provato a viverci, ma mi sembrava di impazzire. La sera preferisco starmene con la mia gente, che è riuscita a farmi sentire importante quando non ero nessuno e che poi ha saputo gestire, proteggere, tutelare il mio successo, la mia popolarità. E mi ha permesso di restare genuino. E’ così che il calcio mi ha dato soldi e fama , ma non mi ha mai dato alla testa”.
E quella diagnosi all’inizio del ritiro sembra solo uno dei tanti scherzi di Liedholm : “Il segreto è proprio aver rinunciato alle vacanze . Credo che questo mi abbia salvato dalla crisi che hanno avvertito i miei colleghi. Il calciatore finisce, ma l’uomo rimane”. Roma-Fiorentina, la decima di serie A. Si ritrova contro il suo compagno di stanza del Mundial, Giovanni Galli. I ricordi sono intatti, non fanno più paura. Perchè Bruno Conti dà spettacolo, passa in mezzo ad avversari e birilli. Poi esibisce due volte il sinistro e via verso la curva. E lo Scudetto.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it
Bibliografia: Il Messaggero, La Gazzetta dello Sport, Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Corriere dello Sport, G.Greison “Essere Bruno Conti”, Ultra Sport.