“Carlo… mio fratello sta molto male. I medici non sanno più cosa fare ed in famiglia non abbiamo più un solo centesimo per le medicine”. Inizia così questa vicenda, con parole che non hanno né tempo né spazio e che, proprio per questo motivo, sono troppo simili a tante altre ripetute mille volte in ogni storia di dolore ed in ogni altro angolo del mondo. Siamo nel 1913 a Vercelli. Dentro un’osteria persa fra le nebbie delle risaie, seduti davanti ad un tavolo tarlato e a due bicchieri mezzi pieni di nulla ci sono dei ragazzi poco più che ventenni: Carlo Corna e Carlo Rampini. A vedere quei volti oggi, nelle foto ingiallite, viene difficile credere alla loro gioventù… ma cento anni fa gli anni segnavano le persone in modo più marcato.
A parlare con la testa fra le mani è il Corna, Carlo Rampini ascolta con molta attenzione, magari cercando di non piangere. Quei ragazzi sono artigiani ma, soprattutto, sono due giocatori della mitica Pro Vercelli. Fra il 1908 ed il 1912 insieme hanno già vinto 4 scudetti e Rampini è anche un giocatore della Nazionale italiana ma adesso questo particolare non conta nulla.
“Cosa possiamo fare? – dice Corna – Non si può mica andare a rubare il riso di notte”. “No – rispose Rampini – Il riso non possiamo rubarlo ma i sigari dell’avvocato Bozino li possiamo sicuramente rivendere! Tanto io che me ne faccio? Dovrei fumarli di nascosto altrimenti mia madre mi ucciderebbe. Ne ho già una settantina e domenica c’è il derby con il Casale. Se segno due gol Bozino ha promesso di regalarmene quattro”.
Piccola parentesi: per chi non conosce l’epoca, i personaggi o il senso della speranza, quanto finora letto potrebbe sembrare un dialogo surreale, esattamente come tutta questa storia, in realtà stiamo tutti vivendo un momento di altissima umanità e di poesia. Ma andiamo con ordine: in questo angolo del Piemonte da sempre due cose ti si appiccicano addosso: l’umidità ed il calcio e quest’ultimo, agli inizi del Novecento, raggiungeva la massima espressione fra le città di Vercelli e Casale. La Juve non la conosce praticamente nessuno, la famiglia Agnelli era ancora molto di là a venire.
I vercellesi sono fortissimi, sembrano angeli quando scendono sul terreno di gioco indossando le loro divise tutte bianche. È quasi automatico che i loro nemici giurati del Monferrato per ritorsione abbiano maglie interamente nere. La provincia italiana è sempre stata così, divisa su tutto, anche sui colori delle camicie. Rampini è il capitano della Pro, Luigi Bozino ne è il presidente ed è anche un pezzo grosso, suo padre era stato intimo amico di Camillo Benso Conte di Cavour, Padre della Patria.
La prossima gara è importante: si gioca Casale – Pro Vercelli. Non cercate i tabellini della partita, è una ricerca ardua e poi, tanto, non serve. Come finirà ve lo diciamo noi: 1 a 4, Rampini ne mette dentro tre e passa alla cassa a riscuotere i sei sigari guadagnati. Poi prende gli altri settanta che, previdente, si era portato dietro e li vende ad un dirigente del Casale. Ricavo totale? 3 lire e 70 centesimi. Non siamo in grado di calcolare il cambio del 1913 fra lire e medicine, forse non sapeva farlo neanche il facoltoso acquirente che pagò il dovuto e che poi corse a denunciare il fatto agli organi federali competenti. Risultato: Rampini venne squalificato a vita con l’accusa di “tentato professionismo”, il fratello di Corna morì dopo una settimana e, almeno questo, la Pro Vercelli alla fine del torneo fu ancora una volta campionessa d’Italia.
Fu così che in una sera d’inizio inverno Carlo Rampini, a soli 24 anni, lasciò definitivamente il calcio. Nel dicembre 1913 accettò per necessità economiche una proposta di lavoro in Brasile e visse per molto tempo in Sudamerica. Quando fece ritorno in Italia la Pro Vercelli era diventata ormai solo uno sbiadito ricordo da ricercare nelle pagine degli almanacchi sportivi. Però la famiglia Corna non lo aveva mai dimenticato. Quando morì, il 28 marzo 1968, fu sepolto accanto al suo amico Carlo e al di lui fratello che i due avevano tentato di salvare.
Ancora oggi chi va a trovarli nel Cimitero comunale di Vercelli può notare una sola lapide per tutti e tre. Su di essa furono incise queste parole: “L’amicizia non ha prezzo”.
Mario Cantoresi