Esordire in serie C a soli diciassette anni e mantenere per due anni la maglia da titolare del Mantova. Ritrovarsi, dopo appena tre anni in serie A a difendere la porta del Catanzaro per tre campionati di fila. Chi non avrebbe scommesso sulla carriera ad altissimo livello di Alessandro Zaninelli, portiere mai banale e nemico giurato dei compromessi?
Se gli si chiede, a distanza di anni, se ritiene di aver pagato il suo ruolo di rappresentante dell’ Associazione Italiana Calciatori, preferisce restare nel vago. Ammettendo però di avere visto personaggi del mondo del pallone fare strane facce mentre lui, all’epoca, leggeva “La Repubblica”.
E scriveva pure su “Paese Sera”. «Ho avuto la fortuna di crescere nel settore giovanile del Mantova negli anni ’70 – spiega Zaninelli – dove c’era gente come Micheli, Paccini, Vaccari, Veneri, Passerini, il massaggiatore Brindani e mi scuso se dimentico qualcuno. Personaggi che ti facevano crescere dal punto di vista sportivo e umano. Purtroppo da allora qui è sempre stata data meno importanza al vivaio e non credo siano un caso i quattro fallimenti».
Una carriera – come ha raccontato Alessandro Sogliani sulla “Gazzetta di Mantova”, partita in modo folgorante: dopo due anni di C con Tomeazzi, venne ceduto alla Roma che poi lo prestò al Parma in B. Discreta stagione che gli valse il prestito al Catanzaro in A dove Zaninelli ad appena ventuno anni, infilò tre stagioni da titolare con 83 presenze su 90.
La Roma lo aveva ceduto ma Liedholm lo teneva d’occhio. Le richieste anche al Nord non mancavano: in particolare l’Udinese ma anche il Milan aveva messo gli occhi su di lui. Invece il Catanzaro vendette la società, fece cassa con Sabato, Bivi, Mauro mentre Zaninelli restò da parte. Forse anche per qualche rifiuto con i dirigenti. «Io mi stavo affacciando in questo mondo – prosegue – e una delle tristezze più profonde fu quando vidi la polizia negli stadi per il calcioscommesse. Una piaga che non guarirà mai».
Fu così che passò all’Avellino sempre in serie A ma ebbe una lite furibonda con l’allenatore Ottavio Bianchi, tra l’altro ex Mantova. In più si aggiunse un infortunio al ginocchio che impiegò un anno a guarire. Proseguì la carriera ma senza le premesse di partenza. «Rimpianti? Certamente ho avuto delle colpe, forse non sono stato troppo accomodante, di certo non volevo fare il ruffiano. Poi l’infortunio fece il resto».
Ma c’è dell’altro: «In quei tempi chi comandava erano i presidenti, i direttori sportivi e anche gli allenatori. Se per qualche motivo il terzetto aveva interessi in comune era finita. O accettavi le loro decisioni oppure eri messo da parte ed in cattiva luce».
Zaninelli tornò a Mantova dopo il fallimento del 1994, ripartendo dall’Eccellenza e disputando un torneo di serie D: «Mi fu promesso un ruolo nel settore giovanile, poi invece disatteso. Sono orgoglioso di aver disputato 111 presenze con questa maglia, seguo i risultati della squadra e spero che torni nelle categorie che merita. Mi piacerebbe però che riprendesse a dare maggiore importanza al vivaio: per le società di provincia è fondamentale per sopravvivere».