Un arrivo in sordina in riva allo Stretto a 31 anni nel 1983-‘84 proveniente dalla Sambenedettese. Un giocatore che si presentò al tecnico Spelta in notevole sovrappeso e oggettivamente demotivato, migliorò un po’ con il sergente di ferro Seghedoni ma la sua prima annata fu oggettivamente molto deludente e sembrava che la sua storia in giallorosso fosse finita la. Era l’ultimo anno di Alfano presidente, la società Acr entrò in crisi e la rilevò uno sconosciuto catanese fratello del famoso Angelo, storico presidente del Catania: Turi Massimino. La prima scelta del pittoresco presidente fu Franco Scoglio, bizzarro personaggio che aveva fatto molto bene ad Agrigento e che a Messina, nel suo primo passaggio, non entusiasmò.
Nessuno nella città peloritana immaginava che dalle macerie della vecchia gestione sarebbe nato un ciclo formato da uomini prima che calciatori, plasmato dal tecnico “liparoto” (come amava definirsi) che ben presto sarebbe diventato famoso come “il Professore”. Scoglio portò da Agrigento due giocatori: Romolo Rossi e Beppe Catalano. Il primo era una forza della natura e divenne ben presto idolo della curva Sud, il secondo era un fine dicitore discontinuo con un grande futuro dietro le spalle in Serie A a Pistoia. Divennero le colonne, con i vari Napoli, Bellopede, Mancuso e Schillaci, di quella stagione del riscatto.
La filosofia carismatica del Professore Scoglio vedeva nei calci da fermo, schematicamente provati centinaia di volte, una opportunità unica per vincere le partite: le famose palle inattive di cui si parla tutt’oggi. Caccia – come racconta Alan paul Panassiti – su sembrava destinato a un mesto addio, ma il tecnico eoliano si oppose alla sua cessione all’Ancona e, innamorato di quel sinistro fatato e del suo dribbling ubriacante lo fece rimanere.
Dopo una tremenda dieta dimagrante e allenamenti sfiancanti, Caccia si presentò nel 1984-‘85 in gran forma. Mai aveva giocato così bene nella sua carriera e forse, se avesse conosciuto il Professore prima, avrebbe avuto una carriera completamente diversa. I suoi doppi passi, punizioni imprevedibili e i calci piazzati di esterno sinistro (la prima trivela della storia) divennero una manna per i compagni che sfiorarono la promozione in B al primo anno (beffati da Palermo e Catanzaro, vere corazzate dell’epoca), e la centrarono nella seconda stagione.
La cadetteria ripresa sul campo purtroppo fu vanificata da una assurda squalifica per calcio scommesse nel 1986. Caccia era in ritiro a Città della Pieve quando scoppiò lo scandalo che portò alla squalifica e alla fine di un sogno (5 anni di stop e fine carriera).
Franco Caccia rifiutò la combine ma fu messo in una centrifuga mediatica tale da essere comunque condannato. Ma a Messina nessuno ha mai dubitato di lui. La sua andatura caracollante, i suoi calzoncini abbassati e le botte prese, e quel sinistro regale portarono tantissimi punti e gioie a i tifosi che affollavano all’epoca il “Giovanni Celeste” di Messina. Nato a Gandino (provincia di Bergamo) il 5 maggio 1952, era cresciuto nell’Atalanta senza mai debuttare in prima squadra. Dopo un periodo alla Ternana e due trienni a Genova, con la Sampdoria, e a San Benedetto del Tronto, con la Sambenedettese, passò al Messina nel 1983 con il quale chiuse la carriera.
Adesso vive ad Ancona dove per anni ha gestito una tabaccheria e la sua riservatezza proverbiale ci ha impedito di avere ulteriori notizie. È uscito dal mondo del calcio che ha odiato dopo la squalifica. Non ha mai perdonato colleghi e Federazione per quello che è successo e si è sentito vittima di una vera ingiustizia. Dopo aver maturato un progressivo distacco da quel mondo dorato in apparenza, ora è un signore sovrappeso con i capelli riccioli bianchi ancora folti. Ma dentro di se ha il cuore di un re.
Fonte: “Gazzetta Fan News”