C’è stato un tempo in cui il calcio femminile attirava spettatori tanto quanto quello maschile, e forse di più. Il giorno di Santo Stefano del 1920, Boxing Day in Gran Bretagna, le squadre Dick, Kerr’s Ladies Football Club e St Helen’s Ladies si sfidarono sul campo di Goodison Park, a Liverpool, davanti a 53mila persone. La squadra di casa, l’Everton, che milita in Premier League, gioca oggi davanti a un pubblico di 40mila spettatori.
In Gran Bretagna i team di calcio femminile iniziarono a formarsi già negli ultimi due decenni del XIX secolo. Il primo incontro ufficiale di cui si ha notizia è del 1895. A dare una spinta alla presenza femminile nel mondo del pallone fu paradossalmente la Prima guerra mondiale: mentre gli uomini erano lontani, al fronte, le donne lavoravano in fabbrica e nelle pause o dopo il lavoro si ritrovavano e alcune di loro giocavano a calcio, formando squadre legate alle aziende. È il caso della Dick, Kerr’s Ladies Football Club, équipe nata nel 1894 le cui giocatrici erano prevalentemente operaie della fabbrica di Preston, Lancashire, dove si producevano vagoni e locomotive in tempo di pace, munizioni in tempo di guerra.
A raccontare quanto il calcio femminile fosse un fenomeno agli inizi del XX secolo nel Regno Unito è la storia di Lily Parr, classe 1905, quarta di sette figli di una famiglia di operai. Dopo aver iniziato la sua carriera calcistica con le St Helen’s Ladies, la Dick, Kerr & Co. le offrì un lavoro per poterla avere in squadra. Giocare a calcio garantiva a Lily uno stipendio, alcuni benefit – era una fumatrice accanita e tra gli extra c’erano pacchetti di sigarette Woodbine – e le trasferte. Il calcio femminile di quegli anni era anche un movimento in espansione geografica: nascevano squadre in Scozia, si giocava in Francia, e la prima partita internazionale nota alle cronache è quella tra il Dick, Kerr’s Ladies Football Club e una squadra francese nel 1920, davanti a un pubblico di 25mila tifosi. L’incontro si disputò in Inghilterra, e soltanto dopo le giocatrici britanniche partirono per la trasferta in Francia. Ma invece di incentivare la passione delle donne per questo sport, la Football Association vietò nel 1921 a tutte le squadre femminili di giocare a pallone su campi affiliati alla federazione. Il calcio, sostenevano i vertici della Football Association, non era “idoneo per le donne e non dovrebbe essere incoraggiato”.
Lo sport femminile era stato tollerato durante gli anni del primo conflitto mondiale, ma con gli uomini tornati alle loro case, alle fabbriche e ai campi di pallone, la Federazione temeva di perdere pubblico. Il divieto del 1921, ha spiegato in una lezione del 2015 alla Duke University Jean Williams, storica britannica dello sport, ha avuto un effetto sproporzionato sul futuro del calcio femminile nel Regno Unito. E benché nel 1969 la Women’s Football Association contasse 44 squadre, l’interdizione cadde soltanto nel 1971.
Il calcio femminile nel frattempo si era diffuso in tutta Europa e in Nord America. Le italiane e le francesi iniziarono a organizzarsi in squadre negli anni Trenta. Il primo club italiano ha un indirizzo preciso: via Stoppani 12, Milano. Era il Gruppo Femminile Calcistico. Le ragazze giocavano in sottana, a differenza delle loro colleghe francesi e britanniche che indossavano pantaloncini in partita. La squadra milanese ebbe però vita breve: soltanto nove mesi, prima di dissolversi a causa delle pressioni delle istituzioni sportive del Ventennio. È soltanto dopo la Seconda guerra mondiale che il calcio femminile trova la sua struttura in Italia. Si riparte da Trieste nel 1946, con la nascita di due squadre, la Triestina e il San Giusto, e si arriva a Napoli, con l’impegno della baronessa Angela Altini di Torralbo e la fondazione del Napoli femminile.
La Federazione Italiana Calcio Femminile, FIC, nasce soltanto nel 1968, anno del primo campionato nazionale, vinto dal Genova. Tra gli anni Settanta e Ottanta la storia del calcio femminile italiano è un intrico di scismi e fusioni di sigle federali. Fino al 1986, quando il calcio femminile, che ancora oggi non ha un campionato professionistico, entra a far parte della FIGC, Federazione Italiana Giuoco Calcio. Il primo campionato del mondo femminile è stato invece disputato in Cina nel 1991, mentre il calcio femminile è arrivato alle Olimpiadi nel 1996, ad Atlanta. Dalle ragazze del Dick, Kerr’s Ladies Football Club a oggi indubbiamente è stata fatta tanta strada e questo sport attira sempre più appassionati sugli spalti degli stadi e sui campi di tutto il mondo. Tra gli ultimi esempi di questo successo la partita Juventus – Fiorentina del 23 marzo 2019, trasmessa in diretta da Sky Sport Serie A e Sky Sport Uno, seguita da 342.628 spettatori medi, con il 2,68 per cento di share e 1.033.546 spettatori unici, con il tutto esaurito all’ Allianz Stadium e 39mila biglietti (gratuiti) esauriti. Pochi giorni prima, 60.000 persone hanno riempito il Wanda Metropolitano per la partita tra i club femminili Atlético Madrid e Barcellona.
Altri numeri, però, sono meno lusinghieri: secondo l’UNESCO, soltanto il 4 per cento della copertura mediatica sportiva è dedicata allo sport al femminile, così come il 12 per cento dei notiziari sportivi è presentato da donne nel mondo. Secondo lo Sporting Intelligence 2017 salary survey, rapporto sugli stipendi nello sport con uno speciale sul divario tra uomini e donne nel mondo del professionismo, il contratto da 43,9 milioni di dollari di Neymar per la stagione 2017-‘18 con il Paris Saint-Germain equivaleva a quello che in un anno guadagnano 1.693 calciatrici dei maggiori campionati femminili al mondo.
Le donne sono meno pagate e meno rappresentate non soltanto nello sport: nel mondo degli affari e in generale sul mercato del lavoro. Eppure, studi e statistiche dimostrano come investire nell’imprenditoria femminile e diminuire le differenze tra i sessi possa avere un impatto sul Pil delle nazioni e sul reddito pro capite, che aumenterebbe del 20 per centro entro il 2030. La convinzione di Visa, sponsor dei mondiali femminili FIFA e primo sponsor in assoluto di UEFA al femminile, è che l’emancipazione delle donne passi dallo sport e si rafforzi attraverso una loro maggiore presenza dalle competizioni locali ai grandi eventi internazionali. I mondiali ferancesi sono stati in questo senso un momento fondamentale, per comunicare un messaggio di uguaglianza attraverso il calcio al femminile, reso ancora più significativo dai record di pubblico negli stadi raggiunti.
Fonte: “La Gazzetta dello Sport”