Bolzano. Un viaggio senza ritorno. Corre l’anno 1973, un’uggiosa domenica di aprile. Hubert Pircher fa parte di quella nidiata di adolescenti della Virtus Don Bosco in viaggio per Bergamo. Una squadra esordienti che va a giocare contro i pari età dell’Atalanta, su un campo di serie A, prima di una partita di serie A: poco dopo infatti la Juventus di Zoff, Gentile, Scirea e Bettega avrebbe affrontato proprio l’Atalanta in campionato. Per quella quindicina di ragazzini biancoverdi si tratta di una bella avventura. Per Hubert Pircher – come racconta Gianni Dalla Costa – è solo l’inizio di una grande avventura. Già, perchè quel biondino di Nalles, vicino a Bressanone, a Bergamo si ferma, cresce (184 cm x 80 kg), salta quasi a piè pari la trafila delle giovanili e viene proiettato nel grande calcio. Sei stagioni in serie A, con le difese di Inter e Juve che ancora si ricordano di lui. Classe 1959, “Hubi” (come lo chiamavano alla Virtus) fin da piccolo ha sempre avuto il pallino di fare il calciatore. Le partite si disputavano anche al mattino alle 9 e lui era il primo a presentarsi. «Già, perchè prendevo il primo dei bus che arrivavano a Bolzano, nessuno mi accompagnava» ricorda divertito.
Pircher, partiamo dall’inizio: dalla Virtus.
«A Nalles non c’era granch’è, io cercavo una società seria in cui giocare. Accompagnato da un amico mi presento a Bolzano. Come portiere, ma la Virtus vuole un attaccante. Mi fanno provare, segno subito. Il gioco è fatto».
Gol a raffica.
«Ma quella Virtus esordienti era uno squadrone. 6-7-8 gol a partita, quasi sempre tutti miei. Fin troppo facile: il fisico mi aiutava, trovavo pochi ostacoli».
Sprecato, a quel livello.
«Mi ricordo che l’allenatore Ninno mi confidò che c’erano degli osservatori dell’Atalanta a Bolzano proprio per me. Quando andammo a giocare a Bergamo con la borsa del calcio avevo le valigie già pronte».
Un altoatesino di madrelingua tedesca a Bergamo.
«Non fu facile, specie il primo anno. Con gli allievi B fu un inizio disastroso. Volevano rispedirmi a casa».
Si sentiva uno “straniero”?
«No, quello no. Non mi hanno mai considerato un tedesco. I problemi furono a scuola. Non capivo nulla delle lezioni in italiano. Altro che integrazione. Ho tenuto fino alla terza ragioneria, poi ho mollato».
Da potenziale cacciato, alla prima squadra.
«Col cambio di allenatore passai negli allievi A e la musica cambiò. In avanti giocavo con Fanna, fummo vicecampioni d’Italia. E al sedicesimo anno di età…»
La svolta, forse?
«Promosso in prima squadra, in serie B, nell’Atalanta. Niente Berretti, niente Primavera. Con quella squadra andiamo in A. Ho solo 17 anni».
Parliamo di serie A, allora.
«Sei stagioni in tutto. Il debutto è il 15 gennaio del 1978. Il primo gol due settimane più tardi a Perugia. Ma è nelle stagioni ad Ascoli che il mio ciclo raggiunge l’apice e si conclude. Per una serie di ragioni».
Sentiamo.
«Ad Ascoli trovo Carletto Mazzone, per me il migliore degli allenatori. Mi dà fiducià, segno 6 gol in sei partite nel girone di ritorno. La mia quotazione al quel tempo raggiunge il miliardo di lire, entro nel gruppo dei 40 selezionati per il Mondiali in Spagna. Mi ferma una pubalgia, al mio posto Bearzot chiama Selvaggi. E sempre ad Ascoli scopro anche il grave danno che mi è stato fatto».
Sarebbe?
«C’è Mandorlini con me in spgliatoio quando il medico dell’Ascoli mi elogia davanti a tutti dicendo: “guardate lui che da 6 anni gioca senza legamenti”. Ecco il perchè dei continui fastidi: a Bergamo avevo subito due infortuni ma avevano sempre deciso di non ricostruirmi il legamento».
Conseguenza?
«Ho dovuto smettere presto, a 27 anni. Ma soprattutto faccio fatica ad accettare di non aver potuto, per esempio, fare una banale partita a tennis a 30 anni. All’epoca feci ricorso all’Associazione calciatori ma erano scaduti i termini per ricorrere. Con la valutazione che avevo avrei potuto ottenere un bel risarcimento. Invece, in un prossimo futuro dovrò farmi mettere una protesi».
Beh, dal punto di vista economico sei stagioni in serie A non sono poche.
«Ho guadagnato ma non mi sono certo arricchito. Ai miei tempi non c’erano procuratori, ho smesso prima che iniziasse l’epoca degli ingaggi d’oro».
Il bello e il brutto per Hubert Pircher in serie A?
«In negativo quello che ho detto prima: l’essere rimasto parzialmente invalidato. Indimenticabile invece la salvezza raggiunta nel 1981: vinciamo in casa dell’Inter 2-1, mi procuro un rigore ed è mio l’assist per il raddoppio. I giornali non mi danno più di 6 in pagella, Mazzone mi dice: “Ubi, sei stato il migliore in campo, questi non capiscono un c…”. E mi regala dieci cravatte firmate. Eppoi come dimenticare il gol segnato a Zoff in Ascoli-Juventus finita 1-1? Lo avevo visto da ragazzino, quel “monumento”».
Picher, fuori dall’almanacco ?
«Mi piace ricordare un aneddoto. Successe con Romeo Benetti, durante una delle tante amichevoli estive che l’Atalanta giocava con la Juve. Io entrai su di lui troppo duro, ricordo che voleva sbranarmi. Quando vide che ero un ragazzino di 17 anni e seppe che ero altoatesino, mi abbracciò».
E Pircher oggi?
«Aiuto mia moglie Romina a gestire un bar nella periferia di Bergamo. E ovviamente sono nonno».
Hubert Pircher cresce tra le fila della Virtus don Bosco Bolzano, per poi passare nel 1973 all’Atalanta, con la quale debutta in prima squadra nel campionato di Serie B 1974-’75 a 16 anni. Con la maglia neroazzurra disputa quattro campionati, due in Serie A: esordisce nella massima serie il 15 gennaio 1978, nello 0-0 interno contro il Torino, realizzando il suo primo gol due settimane più tardi, a Perugia. Al termine del ciclo con i bergamaschi passa all’Ascoli, con cui disputa quattro campionati di A. Nella stagione 1981-’82 mette a segno 6 reti, suo record personale, tutte nel girone di ritorno; e viene seguito da Bearzot in vista delle convocazioni per il Mondiale 1982, che gli sarà precluso a causa della pubalgia che lo colpisce nel finale di stagione. Nel 1983 viene acquistato dal Palermo. L’esperienza in rosanero è negativa: la squadra retrocede in Serie C1, e Pircher realizza 5 reti in due stagioni, nelle quali è condizionato dai problemi fisici. Dopo una stagione al Rimini, scende tra i dilettanti passando al Fiorenzuola: vi resta per due stagioni, realizzando 16 reti in tutto, ed anche in questo caso è tormentato dagli infortuni. Nel 1988 accetta l’offerta della Brembillese, dove conclude la carriera di calciatore e inizia quella di allenatore, su varie panchine dilettantistiche del Bergamasco. In carriera ha totalizzato complessivamente 106 presenze e 13 reti in Serie A e 47 presenze e 3 reti in Serie B, ottenendo una promozione in Serie A nella stagione 1976-1977 con la maglia dell’Atalanta.