Napoli-Juve e Juve-Napoli: cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Così imparammo da piccoli nei banchi di scuola, così ricordiamo oggi sugli spalti.
Il risultato non cambia: almeno due volte all’anno (salvo altre competizioni) si rinnova la sfida fra i sostenitori di due importanti realtà del calcio italiano. Ma cosa c’è fra Napoli e Juve? Juve-Napoli è da sempre una battaglia campale di una guerra culturale che sfiora appena il terreno di gioco, una partita che a suon di slogan, epiteti e sfottò fa risuonare antiche ed irrisolte questioni sociali e politiche, da sud a nord e viceversa, andata e ritorno. Juve-Napoli, andata e ritorno, è come percorrere l’intero stivale a ritroso nel tempo, fino al momento dell’unificazione. Per i partenopei – come scrisse Gianluca Guarino – spinti dal fuoco della passione, è il momento di una rivendicazione mai avvenuta in ambito politico. Per i Piemontesi, “freddi sterminatori” di virgulti indipendentisti, è l’occasione per mettere a tacere con distacco regale e antipatia programmata, le velleità di un popolo disarmato e avvilito dagli avvenimenti storici (con qualche propria responsabilità). Ora però rubiamo la palla alla politica e apriamo al calcio giocato, ai numeri e protagonisti di una rivalità tutta italiana. Molti sostengono che i rapporti fra le due tifoserie si siano guastati negli anni 80 con le vittorie del Dio riccioluto del calcio, l’unico a fare cose geniali pensando coi piedi. Ma quella è una piccola storia di un grande protagonista che ha reso onore e dignità alla terra dove splende il sole. Le cose, a ben vedere, nascono più in là negli anni: la Juve è una delle società più vecchie della serie A, il Napoli molto più giovane. La Juve, che d’ora in poi chiameremo Giuve in onore di quel ricciolo nero che copriva l’orecchino del Dio, nasce in un ambiente filo-aristocratico, oltre il quale incontra precocemente i primi contrasti con le altre squadre di provenienza e fattura sociale meno elevata. Il Napoli non ha una storia ben definita per tutto il primo 900 (vicende societarie, fusioni e ricostituzioni), tuttavia ha già i suoi campioni in squadra e in società: rilevata dall’armatore Achille Lauro negli anni ’30, la squadra conobbe un periodo felice con Antonio Vojak e Attila Sallustro. E fin qua la sfida non aveva grossi risvolti fra i sostenitori, forse ancora lontani dai malati di calcio di oggi. La rivalità come la conosciamo oggi nasce a fine anni 50, sviluppandosi negli anni 60 e 70 per proseguire fino a noi. Il Napoli era ancora di Lauro e nello spogliatoio c’erano Bruno Pesaola, Hasse Jeppson e Luís Vinício: quel Napoli finì 4° e iniziò a collocarsi fra le grandi. Anche negli uffici della Lega. Infatti gli scambi di giocatori con le grandi divenne abituale: Zoff, prima azzurro, venne ceduto proprio alla Giuve, e, dopo di lui venne sganciata la seconda granata che avrebbe fatto deflagrare la rivalità: il bomber Josè Altafini lasciò Fuorigrotta per il freddo Piemonte e fu “Core ‘ngrato” per tutta Napoli (e per tutta la sua vita). La storia si è poi ripetuta con Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro, napoletanissimi, eppure vicini al club bianconero anche ora che hanno intrapreso carriere distinte.
Napoli faticava ad imporsi come moderna metropoli e accusava le occhiatacce del nord per via di sconquassi sociali e altre difficoltà: la scarsa passione per il lavoro, il tirar a campare, le epidemie di colera furono replicate da razzismo culturale esattamente come si usava per gli emigranti partenopei a Milano e Torino. Da allora i sostenitori azzurri furono “colerosi” e “puzzolenti da far scappare i cani”, o nella più cortese delle possibilità, quei cori auguravano al partenopeo un’eruzione del Vesuvio.
Fu allora che il prato del San Paolo divenne l’unica tribuna politica seguita dai partenopei, che su quel campo cercavano vendetta domenica dopo domenica. La Giuve, ormai già vecchia signora e affermata società, e i suoi tifosi, rimanevano i nemici giurati di sempre. Il Napoli dopo aver sfiorato e mai ottenuto lo scudetto viveva, nei primi anni 80 un momento di sfiducia nonostante la buona squadra: erano gli anni di Ruud Krol. Ma il 5 luglio ’84 quel ricciolo di magia e improvvisazione salì i gradini della buca del San Paolo per farsi abbracciare dalla popolazione azzurra. La rivalità avrebbe avuto da quel momento in poi un nuovo eroe e diversi duelli. Diego Armando Maradona allargò spalle e braccia e adottò i figli di Napoli come un padre, con la promessa di render loro l’onore perso negli anni e la dignità smarrita lungo lo stivale. La chiamava “Giuve”, la rispettava senza temerla, con spavalderia e genialità, i requisiti di un capitano che onori i propri colori. “La Giuve è uno squadrone” diceva ai microfoni, ma niente paura: alla sua “equipo” del sud, al suo stesso sud, avrebbe restituito orgoglio e fierezza coi “tiri mancini” che solo uno scugnizzo avrebbe saputo tirare al bullo grande e grosso. “Da metà campo in poi comando io” diceva ai compagni di squadra: con queste parole trasformò Bruscolotti e gli altri 9 in altrettanti leoni, come He-Man faceva con la sua tigre fifona.
E non ce ne fu per nessuno per circa 7 anni: i tifosi azzurri fronteggiavano quelli della Giuve a testa alta con gli onori di un blasone rispolverato e un capitano che si faceva beffe dei piedi raffinati ma non sacri di Platini. Storica l’intervista di Galeazzi prima di un Napoli-Juve del periodo: “Michel, sai chi è il Maschio Angioino?” – è Diego… rispose il francese frastornato dai cori partenopei d’inizio gara. Il Napoli vinse due scudetti, una Uefa, Coppa Italia e tanto rispetto sulle Alpi, meno scivolose del solito e meno ripide da scalare.
Siamo all’era De Laurentiis, era di risorgimenti paragonabili quasi a quelli di metà anni 80. Il Napoli conserva il nemico di sempre, la detestata vecchia signora, la Giuve. Ma ha anche un’anima, quella del suo tecnico Gennaro Gattuso, col quale i tifosi partenopei hanno riassaporato l’essere veraci figli del Sud. I cori partenopei hanno dimenticato la nebbia piemontese e si rivolgono al bianconero nella tribuna ospiti con sfottò sulle ultime vicende extra-calcistiche che non pochi dubbi hanno gettato sulla regolarità dei tornei.
Rivalità che ha conosciuto picchi quando gli azzurri del primissimo Mazzarri s’imposero a Torino dopo 21 anni. Rivalità che spinge i “gobbi” a cantare “O surdato ‘nnammurato”, la canzone degli scudetti, in caso di vittoria sui partenopei. Insomma è un fuoco che si alimenta continuamente, dopo anni, dopo capovolgimenti vari, dopo retrocessioni e promozioni: Giuve-Napoli è la storia italiana del calcio da nord a sud. E se cambi gli interpreti la sostanza rimane la stessa: “Noi siamo Partenopei” e “Noi non siamo napoletani”, Giuve-Napoli è la sfida tra due orgogli: quello dell’antipatico e vincente bianconero, e quello passionale del sofferente popolo azzurro. La zebra contro il ciuccio e viceversa. Cambiando l’ordine il risultato non cambia, come imparammo tanti anni fa. Anche oggi, che il Napoli ha cucito sulla maglia lo Scudetto.