Andare in cantina da mio suocero per far pulizia mi ha riservato una bella sorpresa. Egli usava riporre sui ripiani, sotto i vasetti di confetture varie, i giornali quotidiani ripiegati in due. Ebbene sto lì per eliminarli nel cesto della carta straccia, quando mi imbatto su di un vecchio periodico di Thiene News, ancora di quelli stile quotidiano in carta assorbente. Appena in mano mi colpisce subito formato e contenuto del mensile, allora edito e diretto da Valerio Bassotto nella pubblicazione “dell’anno 2°- n° 18 luglio /agosto 2000”. Oggi questo numero lo tengo con cura nel mio archivio di reperti storici. Aprirlo è come immergersi nel nostro passato cristallizzato in articoli rimasti nell’oblio del tempo. Ma la vera sorpresa, per noi cresciuti con dieta a base di calcio, sta nel leggere a pagina 3 e 4 l’intervista del fuoriclasse di Caldogno, Roberto Baggio, davvero nostalgica. Si tratta di una intervista con Roby fatta da una precedente collaboratrice del magazine, quando Baggio era fatalmente in forza all’Inter. Ed è perciò, per dare merito alla collega Lara Peretto, che oggi voglio riproporre integralmente la bella conversazione tra lei e il formidabile fantasista vicentino, passato poi alla storia in tutta Italia, come “Divin Codino” a oltre vent’anni di distanza. Buona lettura!
Un uomo formidabile. Parlare con lui è quasi un obbligo se vuoi capire il calcio. I suoi meccanismi, la psicologia. È uno dei più intelligenti giocatori in circolazione, uno che, nonostante i tanti successi, continua ad avere una tale fame di vittorie da far paura. Impressiona la sua continua voglia di migliorare, di lavorare. Arriva per primo all’allenamento e se ne va per ultimo. Lavoro, lavoro, lavoro.
Giovani calciatori, prendete esempio. Il talento non basta, conta moltissimo la voglia, la determinazione, la fame di vincere. Sono queste le sue maggiori qualità, oltre alla visione del gioco perfetta. Classe cristallina, professionalità impeccabile, in due parole Roberto Baggio. Le sue emozioni. A sua felicità. La sua fede. Il buddhismo, i figli, la caccia. Quello che prima non aveva mai raccontato, lo ha fatto stavolta.
Nel tuo lavoro, quanto importante è l’umiltà?
“L’umiltà è fondamentale. Nel calcio si passa facilmente da una situazione positiva a una negativa. Non ti puoi legare a niente perché sai benissimo che un giorno non potrà essere più così. Se una persona è umile , allora , allora non si fa travolgere dalle situazioni , ne quanto le cose vanno bene ne quando vanno male”.
Ai tuoi inizi hai avuto tanti problemi fisici. Quanto hanno pesato nella tua carriera?
“Hanno pesato tanto, perché mi hanno reso più forte. Sono cambiato molto in quei due anni. Non è facile avere 18 anni e tornare a casa , la sera , con il ginocchio gonfio. Che tristezza… Ma io volevo giocare e ho fatto tutto quello che potevo per riuscirci. Ho cambiato la sofferenza in fortuna”.
Passiamo ad altro, sei il primo calciatore ad avere abbracciato la religione buddista. Come e quando ti sei deciso a diventarlo?
“Ero giovane, era il periodo dei problemi al ginocchio. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse veramente, che mi facesse conoscere me stesso. Sono sempre stato cattolico, sono nato in una famiglia cattolica, sono andato normalmente in chiesa, forse perché era l’abitudine, ma in quel momento ho voluto cercare l’aiuto in un altro rapporto. All’inizio non ero convinto, per circa un anno mi sono informato, ho letto, ho ascoltato, ho impiegato un po’ di tempo per prendere questa decisione, poi quando finalmente l’ho presa, mi sono detto: ‘Ho iniziato questo rapporto , ma devo farlo bene , non lo posso praticare un giorno sì e uno no, quando ne ho voglia’”.
Andreina , tua moglie, cosa ha pensato?
“All’inizio era contraria. Abbiamo avuto molti litigi, discussioni, conflitti seri. Proprio non riusciva ad accettare questo mio cambiamento. Poi ha cominciato a notare dei cambiamenti concreti in me, e , incuriosita, ha iniziato a a pormi delle domande. Un giorno nove anni fa , mentre io stavo pregando è arrivata e ha iniziato accanto a me. D’allora non ha più smesso”.
Da quando vi conoscete?
“Avevo 15 anni , ma avevamo frequentato la stessa scuola , comunque non avevo mai avuto il coraggio di presentarmi. Ero molto timido , avevo paura di avvicinarmi a lei. Poi, un giorno d’estate prima di partire per il primo ritiro con il Vicenza, l’ho conosciuta e mi sono innamorato. Sono passati 17 anni…”.
Ci siamo allontanati dal discorso buddismo… Cosa ti ha insegnato?
“Ad avere fiducia in me stesso, mi ha insegnato che ho la vita fra le mani, che tutto dipende da me e solo da me. Da quel punto ho capito che posso realizzare tutto quanto”.
Sì, ma perché hai dovuto cambiare religione?
“Non mi piaceva quello che ci insegnavano da piccoli. Cioè, se facevi una cosa egregia, era per merito di qualcun altro, mentre se facevi una cosa negativa la colpa era solo tua”.
Parliamo della tua passione per la caccia… Come e quando è iniziata?
“Vedi, mio padre lavorava sempre moltissimo, non lo vedevo quasi mai. Lui è un grande appassionato di caccia, così io, un giorno decisi di andare con lui per trascorrere un po’ di tempo insieme. Ricordo che molte volte faceva un freddo bestiale, ma andavo lo stesso, solo per poter stare insieme. La prima volta avevo meno di cinque anni”.
Quando hai sparato per la prima volta?
“Mio padre mi ha fatto sparare per la prima volta quando avevo 14 anni. Ma questo era un aspetto secondario, la cosa più importante era andare con lui, passare insieme una giornata. Partivamo alle due di notte, di solito”.
Adesso vai a caccia in Argentina. Come mai in quel posto ?
“Un giorno un amico mi disse che con quella mia passione matta per le anatre avrei dovuto andare in quel paese. Tre mesi dopo presi l’aereo e arrivai in Argentina, diventai subito matto. Ero tentato di non tornare mai più a casa! Per tre anni di seguito, dal 1991 al 1993 sono andato a cacciare nella zona di Rio Paranà, nelle vicinanze di Reconquista , solo dopo scoprii che quello era il paese di Batistuta. Poi nel 1994 ci spostammo verso il confine tra la provincia di Buenos Aires e quella de La Pampa, vicino a Carhuè, a meno di cinque chilometri c’è un lago immenso chiamato Pechuèn, la ‘città allagata’, una città sommersa dalle acque”.
Da quelle parti hai acquistato anche un pezzo di terra , con una casa.
“È vero. Per sei anni sono andato in Argentina tramite agenzie, poi mi sono detto che vorrei portare qui i miei figli, quando saranno più grandi, perché qui ci sono degli spazi infiniti, i cavalli, la natura, poi ci sono certi tramonti!”.
Cercherai di trasmettere anche ai tuoi figli questa passione per la caccia?
Sicuramente. Quando si va a caccia si provano delle sensazioni uniche, difficili da spiegare, sono così profonde”.
Giuseppe (Joe) Bonato
continua nella terza parte