Coppia del gol palermitano e amici inseparabili, dai dialetti diversi e incomprensibili
Feb 19, 2024

Ritiri di oggi e ritiri di ieri. Epoche diverse e storie che oramai non esistono più. Era il 1978 quando Vito Chimenti e Gaetano Montenegro, coppia del gol palermitano e amici inseparabili, dai dialetti diversi e incomprensibili ai più, ne combinarono di tutti i colori in pieno periodo estivo di allenamenti. Anni lucenti a tinte rosa e nere con il Palermo spinto da emozioni crescenti che viaggiava sulle ali dell’entusiasmo. C’era la serie B e la voglia insistente di conquistare il calcio che conta. Nascevano rapporti solidi di amicizia che sarebbero durati per sempre. Era l’estate delle marachelle.

Chimenti e Montenegro nel Palermo 1978-’79 (figurine “Panini”)

Vito Chimenti, fratello minore di Francesco, ottimo attaccante di B, più largo che alto con i suoi 169 centimetri per 69 chilogrammi. “Cumpà palla in cassa…” diceva nei momenti concitati della partita, “Ci penso io”. Culo in fuori, trincea inespugnabile, finte contro finte, tanti show fino alla fine. Qualcuno ha detto “bicicletta contro il Napoli”? Vito parlava solo barese, ma in campo era arte pura. Gaetano Montenegro, prolifico attaccante potentino, con la maglia della squadra del Lecce raggiunse l’apice della propria carriera siglando, nell’annata 1975-‘76, ben 21 reti. In seguito è il Palermo ad assicurarsi le prestazioni del baffo del gol, per un biennio, sul finire degli anni settanta. Due geni in campo, un po’ monelli fuori. Inseparabili sempre.

Gaetano Montenegro nel Lecce

Stanlio e Ollio del Palermo di Veneranda. Uno tracagnotto, stempiato con la pancetta ma esplosivo come Maradona; l’altro, Gaetano, stile romanzo popolare anni settanta, magro come uno stecco, capelli alla Fellaini, baffi enormi, fiuto della rete come pochi, uno dei più prolifici attaccanti della storia leccese. Coppia esplosiva in campo, in albergo, per strada, in famiglia, con gli amici. Vito era un artista, il prestigiatore che entrava in scena e faceva uscire i colombi dal cilindro, il comico; Gaetano la spalla, Walter Chiari e Carlo Campanini, nella scenetta del sarchiapone. Scherzi dopo scherzi. Insieme, ne combinavano …

Et voilà, la “bicicletta” Quando scoprimmo le magie di Chimenti

A carte, ad esempio, Chimenti era un fenomeno, ma Montenegro ne sapeva più del diavolo e se non stavi attento ti fregava quando contava le carte con una filastrocca inventata per stupire: “La uno, la due, la tre cancella; la quattro, la cinque, la facinella; conta sì, conta no, contatille ca sedici so”. Ed erano veramente sedici. Certo rimane il dubbio di cosa fosse la facinella, con Bubu (Chimenti chiamava Frison: Yoghi; e il portiere ricambiava con l’orsettino alto un metro e uno) che lo costringeva a ricontare in lingua comprensibile. Quando poi arrivava il derby a scopa (e credetecii, arrivava), Chimenti contro Montenegro, barese contro materano, era spettacolo! Altro che bicicletta, quelle serate a giocare a carte post allenamento incantavano a colpi di “cumpa”, di “minc …” e di “jammo”.

In ritiro si cominciava anche a parlare di futuro e, ovviamente, di soldi. “Crust de u pen a ci nan ten u dind” (Cristo da il pane a chi non ha i denti), così Vito provocava Montenegro, uno che scambiava gli assegni circolari per quelli non coperti e che, per paura di truffa (impossibile), pretendeva dalla società pagamenti esclusivamente in contanti, lira su lira. E Vito avvertiva: “Nan tande a trà la zoche, se no se spézze (Non tirare troppo la fune, altrimenti si spezza)”, quasi per paura che l’amico potesse passare guai. Con chi avrebbe giocato poi notte intere a carte?

Scherzi dopo scherzi. Insieme, ne combinavano … Come quel giorno che, in ritiro, approfittando di un giorno di riposo, decisero con alcuni compagni di pranzare in montagna. E via con la Seicento da circo con sei o sette persone dentro. Cibo genuino, vino fatto con i piedi e conto salatissimo. Che ti combinano i nostri? La piccola utilitaria era posteggiata accanto alla cantina, uno sguardo, la decisione di riempire il bagagliaio di bottiglie. In fondo, un piccolo omaggio della casa. Solo che l’oste se ne accorse e la pattuglia rosa fu costretta a battere in ritirata. E a volte, ripensando a questi momenti passati a tinte bianche e nere, scende una lacrimuccia generata dalla consapevolezza che certi periodi non torneranno più.

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