Oggi il turnover esiste anche in porta, ma una volta la maglia n. 12, quella del portiere di riserva, era per sempre o quasi. E c’è chi ne è diventato l’immagine vivente. Luciano Bodini è stato il secondo della Juventus per oltre dieci anni, invecchiando prima all’ombra del mito Zoff e poi di Tacconi. Iniziò all’Atalanta: “grazie al mio babbo. Mi portò, insieme a mio fratello, all’Atalanta. Loro volevano mio fratello, che giocava mezz’ala. Il mio babbo disse: ‘Se volete la mezz’ala, dovete prendervi anche il portiere. Così è iniziato il tutto”.
Da lì il salto alla Juve, nel ‘79. “Sapevo che sarei stato il dodicesimo, ma anche che Zoff non era più giovanissimo. Io e Dino ci incrociammo la prima volta in un Napoli-Atalanta del gennaio 1972. Avevo 17 anni ed ero la riserva di Rigamonti tra i bergamaschi: Zoff si avvicinò e mi chiese se fossi un raccattapalle, poiché mi vedeva così giovane. Arrivai alla Juventus quando Zoff aveva 38 anni e io 25: pensai che avrei potuto trovare spazio, considerata la sua età. Doveva ritirarsi ed invece è andato avanti fino a 40 anni…”.
Quando Zoff si ritirò pensò che fosse il suo momento, invece la dirigenza bianconera decide di acquistare dall’Avellino il promettente Tacconi, sicché Bodini, nonostante un iniziale ballottaggio tra i due per le chiavi della porta juventina tornò a vestire la maglia n. 12 e rifiutando altre destinazioni “perché ero orgoglioso di essere in quel club, in cui rimasi a lungo per Boniperti, a cui non potevo dire di no perché mi trattava come un figlio”.
La sua miglior stagione in bianconero è quella del 1984-‘85 con Platini in squadra (“Fuori dal comune. Nessuna emozione in campo, faceva quello che voleva con il pallone. Ricordo che amava giocare anche a carte e, anche lì, era furbo. Solitamente eravamo io e Bonini contro lui e Zoff. Anche a scopa era bravo”), quando Giovanni Trapattoni lo preferisce spesso al titolare Tacconi, affidandogli la porta della Juventus anche nella vittoriosa finale di Supercoppa Uefa, in cui la Juve superò il Liverpool e nella semifinale di Coppa Campioni col Bordeaux ma nella finalissima col Liverpool all’Heysel si vede ancora una volta relegato in panchina da Tacconi: “Tacconi veniva da un periodo non esaltante, il Trap mi disse che l’avrebbe provato e poi avrebbe deciso. Alla fine giocò lui. Non era in forma ma era Tacconi”. Terminata l’esperienza in Piemonte, nel campionato 1989-‘90 disputa 6 partite col Verona. Chiude la carriera agonistica nella stagione 1990-‘91 all’Inter accettando il ruolo di terzo portiere dietro Zenga e Malgioglio “perché sono sempre stato interista”. In totale ha disputato 64 partite in Serie A, subendo 64 reti.
Anche una tragedia nella sua vita: in un incidente stradale perde la moglie, Pinuccia. “Sì, ho avuto questa grande disgrazia, ma non ho mai voluto gravare il prossimo della pena che tengo nel mio cuore è rimasto nel mondo del calcio, come allenatore, anche specifico dei portieri. Ho il patentino. Ho gestito per anni una mia scuola calcio. Poi ho allenato diversi portieri, fra i quali Roccati, e sono stato anche in Scozia con i Bonetti, al Dundee”.
La sua passione sono oggi i pennelli: “Mi piace molto dipingere. Faccio quadri, quando mi viene l’ispirazione. A me piacciono abbastanza, agli altri non so anche perché, sinora, li ho fatti vedere solo ad amici, che chiaramente non osano criticarmeli. In famiglia sto benone e mi distendo meglio che in qualsiasi altro posto. La famiglia ti aiuta a superare tutte le difficoltà piccole e grandi del lavoro di tutti i giorni. Sono diventato più uomo, e molto più in fretta. Rimpianti? Mi manca il Mondiale e la convocazione in Nazionale, ma in compenso ho giocato… in quella dei cantanti!”.