A Benevento sventola una bandiera. E mai nessuno avrà il coraggio di ammainarla. Carmelo Imbriani vive nel cuore di una città che solo da qualche anno s’è affacciata a quello che dicono sia il calcio che conta, quello che guarda con saccenza i nuovi arrivati, scambiando volentieri lo stadio per una playstation, un dribbling per un algoritmo deciso da un programmatore giapponese.
L’ignoranza, quando guarda ai piccoli, diventa arroganza. C’era chi chiedeva la radiazione della squadra campana dalla serie A. Perché perdeva sempre e lo spettacolo deve continuare, se ci sono le squadre materasso non si vendono i diritti tv all’estero.
E mentre tutti ridacchiavano, noi in tempi poco sospetti avevamo deciso di tifare per le Streghe. Perché nel Sannio, il pallone non è fatturato, vivaio permanente a beneficio degli sceicchi: il calcio è storia di gente dura e forte, abituata a non mollare mai.
A Benevento è nato Imbriani. A Napoli il suo talento è esploso, ultimo dei campioncini partoriti dalla primavera azzurra negli anni ’90. Poi appare la gavetta e lunghi, lunghissimi anni in B a fare, lui che era attaccante, l’esterno di centrocampo. A Benevento torna per fare il capitano. Due brevi parentesi fuori, a Foggia e Catanzaro, ma sempre lì torna. Fino a che, a 33 anni, decide di smettere col calcio giocato.
La società gli dà l’opportunità che ogni calciatore, una volta appesi gli scarpini, sogna. Allenare la squadra che, fino a poco prima, aveva guidato in campo. Prima gli allievi, per farsi le ossa e iniziare a capire quanto sia diversa la visuale dalla panchina, rispetto a quella del rettangolo verde.
Poi, nel 2011, l’occasione tanto attesa. Dopo l’esonero del mister, traghetta la squadra fino alla fine del campionato. Ma la società crede in lui, vera bandiera sannita. Confermato. Imbriani è amato dai tifosi e lui si impegna a fondo. Ma è la storia di un sogno che si interrompe fin troppo presto, al precampionato, quando emerge l’incubo del linfoma di Hodgkin.
Lui non molla, anzi lotta come un leone. Ma la malattia è più forte: a febbraio del 2013, Imbriani lascia i suoi cari per sempre. Facendo piombare Benevento nello sconforto. Ma è (anche) nel suo nome se i giallorossi sanniti hanno riscattato, in pochissimi anni, otto decenni di serie C. Se hanno agguantato, in poco tempo, una storica promozione in B e quindi il sogno, proibito, della A.
Se hanno dovuto subire le ironie dei tanti, gli sfottò dei molti. Tutta gente che non s’è manco premurata di cercare di capire perché, di punto in bianco, fosse diventato così importante eppure così atipico il pallone nel Sannio al punto che, a retrocessione ormai avvenuta, tutto lo stadio ha applaudito la squadra.
Giovanni Vasso