Ala destra veloce ed elegante, in possesso di buone capacità balistiche e di notevole opportunismo. Le sue caratteristiche principali di questo giocatore ambidestro erano il dribbling stretto, gli allunghi ed il “passettino”, una sorta di passo di danza che normalmente metteva in difficoltà i suoi marcatori.
Beppe Pegolotti, famoso giornalista sportivo fiorentino in un articolo paragonò il suo modo di correre al volo di un uccellino. Questo bastò a far diventare Uccellino un soprannome. E tale è rimasto per sempre.
Nato a Stoccolma il 19 novembre 1934 figlio primogenito (su quattro) di Karl, imbianchino, appassionato di calcio ed allenatore dilettante, iniziò a lavorare da giovanissimo come apprendista zincografo in un giornale della capitale svedese. Come calciatore, dopo alcune stagioni in formazioni minori venne ingaggiato e lanciato in prima squadra dal santone del calcio svedese del tempo, Per Kaufeldt, allora alla guida dell’AIK Solna, formazione tra le migliori di Svezia.
Il diciannovenne Hamrin si fece subito notare conquistando gradatamente il posto da titolare fino a diventare capocannoniere del campionato 1955 con 22 reti in altrettante partite. L’attività calcistica svedese segue il calendario. Con l’autunno, finita la stagione, si rischiava di restare fermi per diversi mesi. Così Hamrin, come molti altri calciatori, d’inverno giocava ad hockey. Con buoni risultati visto che finì anche in Nazionale per due partite contro il Canada.
Anche nel calcio vestì la maglia giallo-blu. Esordì sul finire del 1953 contro il Belgio in una gara di qualificazione ai Mondiali 1954. In due anni, fino al novembre 1955, raccolse venti presenze con la Svezia, poi più nulla. Cosa avvenne di tanto importante da impedirgli di vestire ancora la casacca giallo-blu? Semplice. Le regole della Federazione scandinava allora, consentivano la chiamata in Nazionale solo ai giocatori tesserati per squadre svedesi ed Hamrin, nel frattempo, si era trasferito in Italia.
La leggenda dice che un minatore residente in Svezia segnalò il giocatore in una lettera inviata direttamente ad Umberto Agnelli; la realtà, raccontata dallo stesso giocatore in un’intervista a Gianni Mura fu che venne raccomandato da un dipendente di Fiat Svezia, che aveva l’incarico di osservatore per conto della Juventus. Ai tempi non era così facile conoscere i giocatori stranieri: niente Coppe Europee, poca (o nulla) televisione; la segnalazione fece sì che l’allenatore juventino Puppo andò a visionarlo a Lisbona per Portogallo-Svezia: Contattato negli spogliatoi della partita, alla domanda: “Verresti a giocare in Italia?” rispose “Verrei anche a piedi” e fu così che per quindicimila dollari Hamrin passò dall’AIK alla Juve nell’estate 1956.
Liedholm, vecchio marpione del calcio, aveva già adocchiato la classe di Hamrin e in un’occasione aveva dichiarato: “C’è un’ala nel mio paese che non ha rivali in Europa. Si chiama Kurt Hamrin. Il giorno che metterà piede in Italia farà stravedere”, azzeccando decisamente il pronostico. Già alla prima esibizione, in un allenamento a porte chiuse, stupì ed entusiasmò i pochi spettatori presenti tanto che Stampa Sera scrisse: “hanno tutta l’impressione che Hamrin sia un autentico fuoriclasse”.
La rosa juventina era composta da molti giovani e, giocando con il nome del mister, la stampa li chiamo i Puppanti. Prima partita di Kurt in campionato: a Roma con la Lazio. I bianconeri vincono 3-0 e due gol sono suoi: su azione e dal dischetto. Dopo poche partite il primo infortunio: una piccola frattura al metatarso mal diagnosticata e peggio curata. Così la stagione fu un susseguirsi di ricadute. Malgrado questo la Juventus, alla luce delle sue 22 presenze con 8 reti, lo avrebbe anche riconfermato ma dopo il poco soddisfacente nono posto si decise per una rivoluzione nell’organico. L’arrivo del gallese John Charles e dell’argentino Omar Sivori trasformarono Hamrin in un “esubero”, visto che i regolamenti allora consentivano il tesseramento di due soli giocatori stranieri per squadra. Obbligatoria la cessione e fu il Padova ad accaparrarselo.
Dove ebbe ruolo da protagonista nel miglior Padova di sempre. I suoi ventisei gol aiutarono la squadra del Paròn Nereo Rocco che, con Brighenti centravanti, la regia dell’argentino Humberto Rosa, i rudi difensori Blason e Scagnellato, si classificò terzo in campionato.
Nll’estate del 1958 la Svezia ospitò la Coppa Rimet e per l’occasione eliminò quella regola assurda che escludeva i migliori dalla Nazionale se militavano all’estero. Così a quel Mondiale parteciparono cinque elementi di squadre non svedesi, più precisamente di squadre italiane. Tra questi c’erano Nacka Skoglund dell’Inter, Nils Liedholm del Milan e, appunto, Kurt Hamrin. Quella Svezia arrivò addirittura in finale dove venne sconfitta dal Brasile, quello di Djalma e Nilton Santos, e del trio Didì-Vavà-Pelè, forse la più grande seleçao della storia.
Sul mercato interno, intanto, la Fiorentina, perso Julinho, aveva bisogno di un sostituto all’altezza nell’intento di replicare i fasti che avevano portato allo scudetto del 1956. Fu così che Hamrin traslocò trasferendosi alla corte viola, nella città che sarebbe diventata il posto della vita. In maglia viola lo svedese trascorse nove stagioni tra il 1958 e il 1967 e furono annate foriere di grandi risultati. In quanto a vittorie mancò soltanto lo scudetto ma ci fu la soddisfazione di essere la prima formazione italiana ad iscrivere il proprio nome in un trofeo europeo disputato sotto l’egida della UEFA. La Fiorentina vinse infatti la prima Coppa delle Coppe battendo nella finale di Glasgow i Rangers per 2-0. Capocannoniere della manifestazione fu, ovviamente, Kurt Hamrin con sei reti.
Naturalmente la Fiorentina partecipò alla competizione in qualità di finalista della Coppa Italia (detentrice era la Juventus che aveva vinto anche lo scudetto), trofeo che la squadra vinse proprio in quel 1961 ed anche nel 1966 ancora con Hamrin capocannoniere. In quel periodo non mancarono altri successi internazionali come la Mitropa Cup (allora già decaduta ma riservata ancora alle squadre di Serie A) del 1966 o i trofei internazionali semi-ufficiali come la Coppa dell’Amicizia (vinta due volte) e la Coppa delle Alpi.
Trascinata dalla sua ala la Fiorentina fu protagonista per tutti gli anni ‘60 ponendo le basi dello storico scudetto del 1969. In questo lasso di tempo Hamrin deliziò ed entrò definitivamente nel cuore della tifoseria viola stabilendo ogni tipo di record delle marcature. Ineguagliata è la cinquina segnata in trasferta all’Atalanta nel 1964 così come ancora imbattuto è il record dei gol segnati nella Fiorentina: 208 contro le 207 di Batistuta. Lo stesso Batistuta, unico tra tutti, ha superato Hamrin tra i cannonieri della Serie A (152-151).
Insomma, un periodo splendido coronato anche dal terzo ritorno nella Nazionale svedese, esperienza chiusa nel novembre 1965 con una sconfitta casalinga contro la Germania, valida per le qualificazioni ai Mondiali 1966, trentaduesima presenza in giallo-blu (e 16 reti).
Nell’estate 1967, ormai trentatreenne e giudicato sul viale del tramonto, venne chiamato da Rocco al Milan; il Paròn lo voleva anche quando allenava il Torino ma la leggenda narra che rinunciò all’ingaggio perché insospettito dalla cifra troppo bassa richiesta dalla Fiorentina. In rossonero, invece arrivò, come parziale – e gradita – contropartita del centravanti Amarildo. Con i suoi vecchietti il Paròn vinse tutto: prima il campionato 1968 (così Hamrin riuscì a diventare campione d’Italia) con una corsa solitaria in testa e un margine enorme sulla seconda. Poi, tanto per gradire, anche la Coppa delle Coppe, la seconda per lo svedese che fu l’eroe della finale di Rotterdam segnando entrambi i gol del 2-0 rossonero. L’anno dopo arrivò anche la Coppa dei Campioni con il successo per 4-1 sull’Ajax dell’emergente Johann Cruijff. Il 1969 fu il canto del cigno di Hamrin. Passato al Napoli in due stagioni totalizzò una ventina di presenze e pochi gol. Era ormai arrivato il momento di appendere le scarpe al classico chiodo. Prima, però, volle tornare a calcare i campi della sua Svezia con una breve esperienza nella terza divisione con la maglia dell’IFK Stoccolma.
Scorrendo la classifica dei marcatori all-time della serie A il nostro rientra ancora tra i primi 10 ed è preceduto da giocatori come Piola, Meazza, Totti, Nordahl, Altafini, Di Natale e Baggio; un vero Parterre-de-Roi.
Uscito dal campo Hamrin ha avuto solo un’esperienza da allenatore: alla Pro Vercelli dove, partito da secondo venne promosso e licenziato nel giro di quindici partite. Poi si è dedicato alla carriera di istruttore di giovani calciatori. Il figlio, appassionato di vini, gli ha fatto una sorpresa per il settantesimo compleanno regalandogli una bottiglia di Sangiovese prodotta da un amico con il marchio Hamrin. La cosa è piaciuta talmente che è presto diventata un brand con un vino diverso per ogni squadra in cui il mitico “7” ha militato.
Stasera ceniamo con una bottiglia di Hamrin.
Skål, Kurt
Sergio Giovanelli