Gigirriva
Gen 23, 2024

Gigi Riva il campione perbene del calcio italiano. Ma soprattutto l’emblema del Cagliari capace di vincere un incredibile Scudetto. Traguardo impensabile e impossibile nel calcio di oggi. Ma in quel tempo ormai lontano il calcio era romantico, si sognava in maniera genuina e venivano scritte storie che dallo sport finivano per diventare lezioni di vita.

Quando alla fine degli anni Novanta intervistai Gigi Riva volevo parlare con lui proprio di quello Scudetto con il Cagliari, ma poi l’intervista finì per diventare un’autentica testimonianza di come Cagliari e la Sardegna abbiano finito per diventare la vita di Gigi Riva, taciturno ragazzone di Leggiuno, nel Varesotto.

Alcuni bambini si divertono a palleggiare proprio davanti al grande bomber del Cagliari che, prima di un allenamento all’Amsicora, si ferma a dare consigli ai giovani, nello spazio antistante il rettangolo da gioco

All’inizio, lei diciottenne, era andato controvoglia a Cagliari.

“Stavamo tornando da Roma, a metà marzo del 1963, dopo una partita vinta con la nazionale Juniores contro la Spagna, quando si avvicinò Lupi, mio allenatore del Legnano, per dirmi tre parole, non una di più: ‘Ti abbiamo venduto’. Pensai al Bologna, perché Bernardini sulla prima pagina della ‘Gazzetta’ aveva detto che gli piacevo, o all’Inter che mi seguiva ed era la mia squadra del cuore. Lupi non aggiunse altro e allora gli chiesi: ‘Venduto a chi?’. Mi rispose: ‘Al Cagliari’ e per me era come se fosse caduto l’aereo. Gli dissi subito che non ci sarei mai andato, a costo di rimanere fermo un anno e lui sapeva che ne sarei stato capace. Quando arrivai a casa, mia sorella Fausta, che mi faceva da mamma, mi invitò a riflettere e dopo qualche giorno di resistenza raggiungemmo un compromesso. Il presidente del Legnano, Caccia, un brav’uomo che non voleva perdere 37 milioni, tanti soldi allora, mi propose di andare qualche giorno a Cagliari, con la promessa di stracciare il contratto se non mi fossi trovato bene. E così in un giorno di primavera, ma non ricordo quale, andai con mia sorella e Lupi”.

Il giovane Gigi Riva gioca a Flipper, il divertimento degli anni ’70

Come furono i suoi primi giorni nel capoluogo sardo?

“Partimmo la mattina da Milano con un turboelica che fece scalo a Genova e poi ad Alghero. Arrivammo a Cagliari di sera e quando vidi le luci nel golfo mi lasciai scappare: ‘Quella è l’Africa’. Lupi si arrabbiò e mi diede un calcio nel sedere. Il giorno dopo andai al campo, l’Amsicora, che non aveva un filo d’erba e pensai ‘Dove sono capitato’. Però i ragazzi mi fecero festa e l’argentino Longo, una bella persona, mi prese subito sotto la sua protezione. Rimasi qualche giorno e l’idea di passare dalla C alla B alla fine mi convinse ad accettare. I primi mesi sono stati tristi, alle nove di sera non girava più nessuno. Stavo con gli altri scapoli, Cera, Nenè, Tomasini. Non avevo la patente e mi aggrappavo dietro al tram per andare da via Roma a casa, senza pagare. Poi presi in comproprietà una Fiat 600 con Cera e Cappellaro, andando a guidare di nascosto sulla pista dello stadio, per imparare. L’istruttore un giorno mi disse che mi avrebbe dato la patente se avessi segnato la domenica, feci una doppietta a Verona e arrivò la patente. Mi feci diversi amici tra i pescatori, ricordo soprattutto Martino. Mi voleva bene come un figlio, fu uno dei primi a invitarmi a casa sua, dove mi insegnò a mangiare il pesce con le mani, lasciando soltanto le lische”.

Grande appassionato di musica, in modo particolare quella di Fabrizio De Andrè

Poi arrivò lo Scudetto, tutte le grandi squadre la volevano, ma lei rimase in Sardegna.

“Andavo nelle case dei pastori e negli ovili, una volta mi portarono in un paesino, a Seui, in provincia di Nuoro mi pare, e sulla credenza di un’anziana, notai anche una mia foto, tra i santini dei suoi genitori. L’amico che mi accompagnava chiese perché c’era la mia foto e la donna, senza riconoscermi, rispose: ‘Quello è buono’. Certamente lo Scudetto mi convinse a voler rimanere, ma la Sardegna mi aveva già conquistato. Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva ‘Dai, telefoniamo a Boniperti’. Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito”.

“Gigi Riva – Il campione risorto”. Tratto dal nº 3 del 16 gennaio 1972 del “Corriere dei Ragazzi”

Mi scusi se glielo chiedo, ma la storia con il bandito Mesina?

“Ogni tanto mi spediva lettere con regolare francobollo, dove abitavo in via Diaz 30, con queste parole in stampatello: ‘Domenica vengo a vedere la partita. Vinciamo, forza Paris’, che in dialetto vuol dire ‘forza insieme’. Ne parlai con Cera, il capitano, che mi disse di bruciarle e ogni volta le bruciavo. Era un segreto tra noi due. Nessuno seppe mai niente, ma dietro le panchine mi è sembrato di vedere più volte Mesina in tribuna, con la barba, sempre immobile, poi quando gli hanno dato la grazia, ci siamo visti qualche volta a cena dal mio amico Giacomo”.

Oltre alla Juve fu l’Inter a volerlo a tutti i costi, Angelo Moratti fece un’offerta a lui e al portiere Ricky Albertosi, che insistette con Riva per accettare. Ma Rombo di Tuono fu irremovibile.

“Sono sempre stato sicuro della mia scelta e non la rimpiango”. Da allora è anche Gigirriva.

Mario Bocchio

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