Il Saint-George SA (in amarico: ቅዱስ ጊዮርጊስ ስፖርት ክለብ, Qədusə Giyorəgisə Yäʾəgərə Wasə Budənə) è una società calcistica etiope con sede ad Addis Abeba. Milita nella Prima Lega, la massima serie del campionato etiope di calcio. Il club fu fondato nella capitale, nel distretto di Doro Manekia, dall’etiope Ayele Atnash e dal greco George Dukas, quando l’Italia fascista invase l’Etiopia nel 1935.
La squadra, che collocò la propria sede presso il distretto di Arada, divenne rapidamente il simbolo del nazionalismo etiope e del desiderio di libertà della nazione. Dopo la perdita dell’Etiopia da parte dell’Italia, il club Saint-George si trasformò in breve in un simbolo di identità per molti etiopi. Poiché non c’erano altre squadre etiopi, il Saint-George giocava esclusivamente contro squadre straniere. Nel 1947 si formò un campionato nazionale etiope formato da tre squadre, St. George, Mechale e Ke’ay Bahir. Il club giocò in campionato per 25 anni, prima che il Derg (il governo militare provvisorio dell’Etiopia socialista, è stata una giunta militare che governò il Paese e l’attuale Eritrea dal 1974 al 1987) riorganizzasse le leghe calcistiche nazionali, costringendo tutte le squadre esistenti a fermare ogni attività. Quattro anni dopo, nel 1976, la squadra tornò con un nuovo nome, Birreria Addis Abeba, con cui continuò a farsi chiamare per diciannove anni.
Il St. George può vantare 30 campionati etiopi, 10 Coppe d’Etiopia, 16 Supercoppe d’Etiopia, sei Addis Ababa City Cup, due campionati dell’Africa Orientale italiana e una Coppa sempre dell’Africa Orientale italana. A livello internazionale ha vinto 6 CECAFA Cup per club (competizione dell’Africa centrale e orientale tra le formazioni di Kenya, Uganda, Tanzania, Sudan, Etiopia, Eritrea, Zanzibar, Somalia, Ruanda, Burundi e Gibuti) ed è stato semifinalista della Coppa dei Campioni d’Africa nel 1967.
Il calcio italiano nel mondo ha sempre avuto tante facce vincenti in panchina. Danilo Pileggi (classe ’58), ex centrocampista di Torino e Avellino, tra le altre, nel 2012 ha guidato al successo in campionato proprio il Saint George, la squadra più titolata d’Etiopia. Maglie gialle con bande rosse, la Juventus di Adis Abeba, deve al tecnico italiano il ritorno al successo dopo qualche anno di magra. Arrivato inizialmente come vice di Giuseppe Dossena (altro pioniere nel calcio africano con esperienze anche in Ghana) nel 2010, Pileggi, da quest’anno allenatore in prima ha guidato il Saint George alla vittoria nella Ethio-Premiere con 59 punti in 26 partite.
Al tempo lo intervistò Pasquale Notargiacomo per Repubblica.
Pileggi, un anno per ambientarsi e al secondo già vincente
“Si, sono qui da due anni e al secondo abbiamo vinto. In realtà però in questa stagione, sono subentrato a un collega serbo, che la società ha esonerato dopo tre partite. A novembre mi hanno richiamato ed è andata bene”.
Che tipo di campionato è quello etiope?
“È formato da quattordici squadre. Per fare un raffronto con l’Italia lo paragono alla Prima divisione della Lega Pro. Le squadre migliori potrebbero avvicinarsi alla serie B. Non è strutturato come quello sudafricano, o di alcuni paesi del Nord-Africa. Ma abbiamo fatto anche delle partite in Coppa d’Africa senza sfigurare. Sicuramente il Saint George è la squadra più rappresentativa: in passato ha vinto il titolo tante volte di seguito”.
Qual è il limite principale?
“La preparazione è da migliorare parecchio. Non c’è una cultura professionistica. O meglio i calciatori sono professionisti, perché, di fatto, il calcio è il loro lavoro. Ma dal punto di vista mentale sono più proiettati sull’oggi che sul domani. Si accontentano, invece di puntare a migliorare ancora”.
Quanto guadagna un calciatore etiope?
“Se consideriamo un salario medio di circa 100 euro al mese, possono arrivare anche a 1000-2000 al mese. Più di 10 volte uno stipendio normale”.
Qual è la stella?
“Se mi chiede un nome direi Said Saladin, è un attaccante centrale di 25 anni, che gioca in Egitto. Secondo me avrebbe le qualità per fare bene anche in Europa”.
Si parla di calcio africano e si immaginano strutture e materiali non sempre all’altezza
“Parto dalla mia esperienza. Per quanto riguarda la mia squadra non posso lamentarmi. Noi ad Adis Abeba abbiamo due stadi con campi in erba, uno sintetico. Certo, andando fuori la situazione a volte cambia e soprattutto dal punto di vista di spalti e spogliatoi non mancano strutture carenti. Quanto ai materiali tecnici siamo ben attrezzati: la società ci mette a disposizione quello di cui abbiamo bisogno”.
Che visibilità mediatica ha il calcio in Etiopia?
“A parte le pagine sportive dei quotidiani e le notizie riportate dai tg, non ci sono trasmissioni d’approfondimento sportivo vere e proprie sul campionato, che so il classico ’90° Minuto’. La nota più interessante è quella delle radio che parlano tutto il giorno di calcio, mi ricordano quelle romane: Nazionale, campionato e calcio straniero sono i temi principali”.
C’è spazio anche per il calcio straniero?
“Sì, per la Premier League in particolare. Qui tutti sono tifosi di una squadra: Arsenal e Manchester United sono le più conosciute. Subito dietro ci sono quelle spagnole”.
E quello italiano?
“L’interesse in questo caso è un po’ fermo, si citano ancora giocatori di 10 anni fa, è legato a un’immagine del passato”
Qual è il ruolo sociale del calcio nel Paese?
“Ha una buona importanza, c’è un gran seguito, è un fattore aggregante. C’è sempre qualche decina di tifosi agli allenamenti. E quando giochiamo almeno 10-15mila persone allo stadio. In occasione dell’ultima partita di campionato siamo arrivati anche a più di 25mila, c’era il tutto esaurito. E’ stata una bella festa”.
Che rapporti ha con la politica?
“Be’ anche in Etiopia il calcio viene utilizzato come veicolo per migliorare le relazioni, talvolta anche quelle politiche. C’è una squadra che rappresenta la Difesa e un’altra sempre legata a un esponente governativo”.
E il vostro presidente di che si occupa?
“È un uomo d’affari di Adis Adeba, con interessi nelle costruzioni e nell’import-export”.
La sua esperienza come è stata finora?
“Mi trovo bene. Certo, bisogna affrontarla con lo spirito giusto, anche con un po’ di sacrificio. Sicuramente ho incontrato le maggiori difficoltà nella comunicazione di tutti i giorni. Per fortuna ho imparato un po’ d’inglese. L’altro aspetto difficile è che sono qui da solo. Ma mi piacerebbe restare: anche il clima mi piace moltissimo a 2400 metri d’altezza”.
Dove abita?
“Vivo in un compound, allo Sheraton, che è di proprietà del presidente”.
Quanto dura il suo contratto e quanto percepisce d’ingaggio?
“Ho un altro anno di contratto, preferirei non parlare di cifre perché dobbiamo ancora definire alcuni aspetti economici. Sicuramente i rapporti con i dirigenti sono ottimi”.
Cosa la gratifica di più?
“L’entusiamo che hanno i tifosi. Le trasferte sono lunghissime, soprattutto per la difficoltà nella viabilità. Eppure ci sono sempre quattro-cinque pullman, anche per viaggi di 600-700 Km, su strade fatiscenti. I tifosi sono molto attaccati: c’è una grande rivalità con un’altra squadra, il Coffee. Ma la polizia è molto rigida e anche nei ‘derby’ la situazione è sotto controllo”.
È famoso in citta?
“Be’ siamo tre tecnici stranieri nel campionato: oltre a me ci sono un bulgaro e un serbo, mi sembra. Quando giro per strada c’è sempre qualcuno che mi chiama ‘coach, coach’ o dirigenti che vogliono sapere”.
Il problema più serio durante una partita?
“Recentemente ci è capitata una disavventura. Qui ci sono diluvi torrenziali, specialmente durante la stagione delle piogge. In una delle ultime partite è iniziato a piovere ed è andata via la luce. Ma a parte il rinvio nessun problema”.