Bello fuori e bello in campo
Gen 18, 2024

Scriveva di lui la Gazzetta dello Sport: “Un difensore moderno, che si sgancia al momento opportuno per una intelligente collaborazione nelle azioni di centrocampo”. Col fisico che si ritrova potrebbe benissimo sfilare in passerella”, intonavano in coro le ragazze aggrappate alle recinzioni del campo Righi durante gli allenamenti del Bolzano. “Con quei piedi ha un’autostarda davanti che lo porterà al grande calcio” era il parere degli allenatori che lo han visto crescere.

Anni Settanta: Fabrizio Broggio è il numero uno del calcio cittadino. Bello fuori e bello in campo. Un predestinato. Con un futuro più azzurro di quella maglia dell’Italia Under 21 (quella vera, con calciatori tutti professionisti, quella di Antonio Cabrini e Virdis, per intenderci)) che si è trovato ad indossare per ben dieci volte. “Ma nella vita, come nello sport, ci vuole anche una buona dose di fortuna, e io non l’ho avuta” afferma Fabrizio Broggio con quella rassegnazione in volto che solo il trascorrere degli anni rende sopportabile. Classe 1956, 183 centimetri distribuiti su 75 chili, Broggio ha ben presto salutato i coetanei diciassettenni con cui era cresciuto prima nella Stella Azzurra e poi nelle giovanili del Bolzano.

Senta Broggio, uno del Bolzano che arriva nel tempio di Coverciano. Come è possibile?

“Funzionava così. A quel tempo, avevo 16-17 anni, a tutte le società d’Italia arrivava una richiesta federale di poter visionare i giovani migliori. Erano centinaia i ragazzi che arrivavano a Coverciano”.

E lei era uno di questi?

“Ricordo che il Bolzano mi mandò con un po’ di scetticismo. Beh insomma, lo consideravano una sorta di premio per l’impegno ma c’era poca convinzione che potessi farcela”.

Quanto durarono le selezioni?

“Due anni, e tanti viaggi a Coverciano. I primi accompagnato da Ugo Lorenzi, che ha sempre creduto in me sin dall’inizio. Poi andavo da solo in treno, con i biglietti pagati dalla federazione”.

Il Bolzano nel 1976. In piedi da sinistra: Scolati, Piotti, Rondon, Fogolin, Vergani e Broggio. Accosciati: Podavini, Mutti, Trainini, Concer e Girol (foto archivio Mario Mutti)

Il tecnico?

“Era Azeglio Vicini. Io venivo da un club un po’ ai confini del grande calcio ma lui trattava tutti allo stesso modo. Di lui ricordo anzi un particolare”.

Sarebbe?

“Ebbe una vivace discussione con Agostinelli. Allora nel Bolzano in prima squadra giocavo poco e Vicini si arrabbiò molto per questo con l’allenatore”.

Come? Chiamato nell’Under 21 e ai margini nel Bolzano?

“A quei tempi al Bolzano era così. Fu solo con l’arrivo di De Grandi che giocai con regolarità. Mediano o stopper, ma giocavo. Era la stagione ‘74-‘75”.

La più bella, vero Fabrizio?

“E chi se lo dimentica, quell’anno? Ho vissuto il momento più bello e il peggiore della carriera”.

Parta dal primo…

“L’esordio in Nazionale. A Gorizia, contro la Jugoslavia. Perdiamo 4-0 ma io gioco titolare. Dopo l’inno, emozione unica, ve l’assicuro, gioco al fianco di Cabrini, Galbiati, Vanin, Virdis, Ceccarelli. Da libero, visto che per me piede destro e sinistro erano indifferenti”.

Stadio “Druso” di Bolzano, giugno 1976. Foto ricordo calciatori, tifosi e tifose. Si riconoscono da sinistra in piedi: Fogolin, Trainini, Scolati, Broggio, Marini, Migliucci, Sonato. In basso da sinistra: Mutti, Giuliani e Perazzani (foto archivio Mario Mutti)

E il momento peggiore?

“Comincio il calvario degli infortuni. M’infortuno in campionato contro il Mantova e devo saltare la partita contro il Portogallo per le qualificazioni agli Europei. Al mio posto gioca Brio. Sì, proprio quella della Juventus. In Nazionale era mia riserva. Ah, la vede questa?”.

Una cartolina…

“Sì, di incoraggiamento. Me la scrissero tutti i compagni dell’under 21 quando seppero dell’infortunio”.

Fabrizio Broggio nella Ternana

Ma quante volte si è fatto male?

“Quattro, sempre a ginocchio destro e legamenti. Fui anche operato alla Rizzoli di Bologna. Ma 40 anni fa certi interventi erano un incubo. L’infortunio peggiore fu quello rimediato in ritiro quando ero alla Ternana in serie B. Se ci ripenso, credo che possa avermi segnato la carriera. Visto che nella Ternana di mister Marchesi avrei giocato con continuità. Invece finì alla Pro Vercelli in C e non alla Roma di Liedholm, come pareva possibile. Fu allora che imparai che se ti fai male quando sei già qualcuno puoi recuperare, se invece ti devi ancora affermare è tutto più difficile. Peccato, perchè alla Roma piacevo”.

Cosi come piaceva alle ragazze-tifose…

“Le malelingue c’erano, certo. Ma da giocatore non ho mai pensato alla mondanità, anche se le occasioni non mancavano. Purtroppo la carriera me l’hanno stroncata i troppi infortuni e non le donne”.

Un azzurro, magari un po’ più sbiadito, l’ha indossato anche con la nazionale di serie C…

“Già, al torneo internazionale di Tolone. Con Prandelli, Pasinato, Bodini in porta (una vita alle spalle di Zoff, NdR) e Rondon”.

Senta Broggio, lei zoppica. Colpa del calcio?

“Anche. Diciamo che tanti infortuni si pagano. Ho un’invalidità ma nemmeno da invalido riesco a trovare un lavoro. Fino al 2011 ero ragioniere da Manzardo”.

Una formazione della Ternana nella stagione 1977-‘78. Da sinistra, in piedi: Pietro Biagini, Silvano Gelli, Fabrizio Broggio, Bruno Zanolla, Piero Volpi (capitano), Roberto Casone; accosciati: Paolo Ferla, Maurizio Marchei, Carmelo Bagnato, Sileno Passalacqua, Poerio Mascella

Mai pensato di tentare la strada dell’allenatore?

“Assolutamente no. Lo sport mi piace solo se lo posso praticare. Ho chiuso la carriera nel 1980 giocando da dilettante in squadre come Parcines e Mobilcasa per poter conciliare calcio e lavoro. Ho provato ad allenare ma no, non mi piace”.

Posso?

“Cosa?”.

Farle un’ultima domanda…

“Me la immagino”.

Beh, una potenziale grande carriera fermata da infortuni, l’integrità fisica compromessa, un lavoro perso a oltre 50 anni. Broggio, si sente un po’ sfortunato?

Sorride… “Se vuole aggiunga pure una separazione. Comunque no, ho imparato a vivere il presente. Che in questo momento sono i miei due figli Luca e Giulia e i due nipotini di 4 e 6 anni. Con loro faccio il casalingo, correre non posso più”.

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