Aldo Cerantola, arrivato a Varese nel ’79, in Serie C, ha fatto parte di quel Varese che agli inizi degli anni ’80 tanto ha fatto in Serie B. Un gruppo di ragazzi che sono rimasti nel cuore dei tifosi. Stagioni indimenticabili culminate con la mancata promozione in Serie A. Il casino organizzato di Fascetti, che ha rivoluzionato il calcio e a cui è mancata solo la ciliegina sulla torta.
Domanda d’obbligo è quel Lazio-Varese…
“Sono cose sepolte perché ormai il diretto interessato non c’è più (si riferisce all’avvocato Colantuoni NdR). L’unico dispiacere è che quella gara ha portato alla rottura tra Fascetti e la società. Dopo un campionato fatto al vertice venire a sapere determinate cose fa male. Sono cose che succedono e sfortunatamente continuano a succedere”.
Sembrava tutto facile, invece. La Lazio era nel panico, l’ha ridestata un episodio e il laziale più laziale che c’era, D’Amico. Bongiorni ha atterrato Surro, rigore (netto) che Agnolin assegna e D’Amico trasforma. Due minuti dopo Salvadè ha messo giù D’Amico al limite, sul lato corto dell’area: quello ha tirato direttamente in porta, Rampulla dopo aver messo male la barriera si è impaperato pure, accompagnando la palla nel sacco. Pari, e si è ricominciato da capo. Dopo un palo per parte, la beffa finale. Agnolin ha fischiato un fallo di confusione: altro rigore, stavolta farlocco, che il solito D’Amico ha realizzato. Tripletta e salvezza. La Lazio era posto, il Pisa pareggiava a Pistoia e nell’ultimo turno otterrà lo 0-0 che gli servì per andare in serie A. Il Varese restò dov’è per due punti. Fascetti ospite di Quelli che il calcio ha riaperto quel libro: “Per me quella partita è ancora una ferita aperta perchè il mio Varese era in lotta per la promozione sfidando tra gli altri il Bari di Catuzzi che giocava una zona bellissima. Noi avevamo un gioco chiamato allora da me ‘casino organizzato’. Quella partita con la Lazio la vincevamo 2-0 ma poi cambiò tutto. Per me quella gara era collegata a Brescia-Cremonese… guardate come andarono le cose e capirete che ho ragione. Se fossimo andati in A avremmo fatto sfracelli perchè eravamo una squadra interessante e giovane”.
Per ritornare proprio a quel Varese dei tuoi tempi, qual è stata l’arma vincente?
“A mio avviso c’era una società che aveva piena fiducia nella guida tecnica. Alla base c’era un lavoro eccezionale del settore giovanile: bastava che un giovane mostrasse qualcosa in più nel settore giovanile e Fascetti gli dava subito un’opportunità in prima squadra”.
Domenica 13 dicembre 1981: al Franco Ossola c’èra Varese-Perugia. La squadra di Fascetti vinse 3-2 (3’ Morbiducci, 17’ e 22’ Strappa, 32’ Auteri, 70’ Giovanni Pagliari) e volò al comando della classifica: rimane una delle partite-icona della generazione Fascetti, e forse dell’intera storia del Varese. La formazione di quel giorno è una filastrocca che chi ha i capelli salepepe recita a memoria: Rampulla, Vincenzi, Braghin, Strappa, Salvadè, Cerantola, Turchetta, Limido, Bongiorni, Mastalli, Auteri; nella ripresa entrò anche Di Giovanni.
Formidabile quell’anno, formidabile quella squadra che giocava nel futuro. Come l’Olanda di Cruijff – alla quale, forse inconsapevolmente, un po’ s’ispirava – il Varese di Fascetti fece la rivoluzione ma rimase con un pugno di mosche.
Vent’anni avanti agli altri. Grazie alla preparazione atletica in campo quei giocatori volavano: giocavano tutto sulla corsa, sulle sovrapposizioni, sulla manovra avvolgente. Facevano tanto pressing in mezzo: le partite le vincevano lì. Poi c’era la qualità: Mastalli era una spanna sopra. E davanti c’era Auteri, che segnava a raffica. Tutti giovani: gli altri non consideravano il Varese.La partita col Perugia fu lo spartiacque psicologico. Per tre motivi. Primo: il Varese la giocò da dio. Secondo: i giocatori si convinsero di essere davvero forti e di poter arrivare in fondo. Terzo: gli avversari capirono che facevano sul serio.
Sì. Le mettiamo vicino il 2-0 alla Samp e il 3-1 al Bari, non a caso tutte a Masnago. In casa erano imbattibili, l’entusiasmo della gente gasava i calciatori. Facile, la doppietta di Strappa. Era un mediano, un incursore, fare gol non era il suo mestiere. Però, in un calcio tatticamente bloccato, facevano degli sganciamenti da dietro un’arma micidiale. Franco Salvadè e Stefano andavano sù a turno, uno scattava e l’altro copriva: e ogni volta creavano qualche pericolo. Quel giorno Strappa esagerò e ne segnò due, bellissimi, in pochi minuti.
Il Perugia era pieno di bei nomi: Frosio, Dal Fiume, Caso, Butti. Veniva dalla A e voleva tornarci. I varesini erano pivelli, sotto al primo tiro avrebbero potuto sbroccare. Invece da lì in poi, per mezz’ora, ammazzarono il Perugia, giocando a un ritmo per loro insostenibile. E gliene facerooo tre, uno dietro l’altro.
Quelli di Strappa sì. Due perle che spiegavano il suo fiuto e il suo talento. Il primo fu frutto del pressing sistematico: rubò palla in mezzo, avanzò, dribblò un avversario e poi tirò. Il secondo fu un inserimento perfetto su un’azione manovrata.
Spendevano tanto, erano generosi, non facevano mai calcoli. La Cavese, certo: infilati in contropiede alla fine dopo aver dominato. Il Varese correva come le squadre di oggi: se avesse avuto anche la rosa ampia e il turnover di oggi, non avrebbe avuto cali né perso quei punti. Purtroppo le squadre erano di 15-16 giocatori, la formazione era più o meno sempre la stessa, qualcosa si pagava. In quel Varese non c’erano “elefanti”: a parte i totem Vincenzi, Cerantola e Arrighi, il più vecchio era Mastalli, aveva 23 anni.
Fonti: “La Provincia di Varese” e “Varese Sport”