La storia del calcio italiano ci propone la lettura delle carriere di due giocatori dai nomi e cognomi perfettamente identici. Parliamo dei due Franco Nanni.
Il primo, classe 1944, nacque a Riccione, giocava difensore, e nel corso della carriera vestì le maglie di Rimini, Venezia e Verona. In quest’ultima piazza si affermò maggiormente tanto che i tifosi più attempati lo ricordano ancora oggi con simpatia.
Il secondo, di quattro anni più giovane, è pisano. Attaccante o centrocampista, a seconda delle esigenze, è famoso soprattutto per aver vinto lo scudetto nella Lazio al termine della stagione 1973-’74. L’allenatore Maestrelli lo aveva inquadrato come mediano. Era soprannominato Bombardino per via dei suoi tiri da fuori area, tant’è vero che la sua rete decisiva messa a segno nel derby del 12 novembre 1972 viene ricordata dai tifosi laziali come “lo scaldabagno di Franco Nanni”, a testimonianza della potenza utilizzata per scagliare la sfera direttamente in porta dalla lunga distanza.
In questo articolo parliamo del primo Nanni. Cinquant’anni fa il cartellino rosso esordì nel campionato italiano: “Giocavo nell’Hellas Verona e presi tre giornate di squalifica. Il presidente mi sgridò, guadagnavo 2 milioni di Lire al mese e pagai una sanzione da 1,5 milioni”.
Franco Nanni, romagnolo di Riccione, fu il primo calciatore a ricevere un cartellino rosso nel campionato italiano. Era il 28 ottobre 1973 e l’arbitro Fernando Lazzaroni in un Cesena-Verona sventolò il rosso davanti al naso del terzino classe 1944 che vestiva la maglia gialloblù. I cartellini vennero introdotti nei Mondiali messicani del 1970 per volere di Ken Aston, ex arbitro inglese e responsabile arbitrale Fifa, dopo il caos scoppiato nel Mondiale inglese del 1966 in Inghilterra-Argentina: il tedesco Kreitlein a Wembley allontanò dal campo l’argentino Rattin, capitano dell’Albiceleste di origini italiane (i genitori erano di Canal San Bovo, in Trentino), ma ne seguì una vigorosa protesta che fermò la gara per una decina di minuti. Andando a casa, Aston vide un semaforo ed ebbe l’intuizione del giallo e del rosso. Nel campionato italiano, entrarono in vigore dalla stagione 1973-‘74 e Nanni fu il primo a farne le spese.
Ma che successe in quel Cesena-Verona? “Niente di che, in realtà. Eravamo sotto 1-0 a due minuti dalla fine, il Cesena perdeva tempo ed ebbi un gesto di reazione. Nessun dolo, non volevo far male a nessuno: calciai il pallone con rabbia che finì contro la loro panchina, il plexiglas amplificò molto il rumore della pallonata e arrivò il cartellino rosso. Presi tre giornate, non pensavo”.
Un romagnolo espulso da avversario a Cesena, una beffa. “Quando andavo a giocare a Cesena me ne dicevano di tutti i colori, anche quando giocavo nel Rimini. Avevo tanti amici a Cesena, ma nacque una rivalità importante anche tra le tifoserie con il Verona. In quella partita non ci fu solo la mia espulsione, un giocatore si ruppe un ginocchio: ci fu molta tensione. Ma la vera punizione per quel rosso arrivò dopo”.
Ovvero? “Mi mise a posto il presidente Garonzi. ‘Abbiamo il derby col Vicenza e siamo senza di te’, mi disse arrabbiato. E presi un milione e mezzo di multa per quelle tre giornate di squalifica. All’epoca prendevo due milioni al mese, vedete voi”.
Peggio quello della squalifica. “Era una conseguenza, frutto delle regole interne. Chi veniva squalificato per somma di ammonizioni non veniva multato, ma per espulsione diretta sì. E pagava per le partite che saltava. Era un altro calcio, con regole chiare e stringenti. Ricordo che Zigoni prese una volta 6 milioni di multa e un’altra 4, a causa delle squalifiche: lo ha anche raccontato, che spesso andava a fine mese nella sede del club e chiedeva ‘devo dare o devo avere?’. Altra epoca, altre persone. Eravamo una generazione che veniva fuori dalla guerra, che aveva affrontato la miseria e sapeva apprezzare la generosità dei presidenti: Garonzi l’ho adorato, ti dava tutto. Le multe erano un modo per stare in riga. Io avrei pagato di tasca mia per giocare a San Siro o all’Olimpico, si figuri: ai tempi andavi due minuti alla ‘Domenica Sportiva’ ed eri felice, magari ora di noi si ricordano in pochi. Se non, nel nostro caso, per la ‘Fatal Verona’ o, per quanto riguarda me, per quel rosso”.
Ne ha presi altri di cartellini? “Poca roba. In sette anni a Verona, quattro a Venezia e quattro a Rimini avrò causato tre rigori in tutto. Presi un altro rosso a Venezia, a fine partita: Vitali del Catania mi diede un cazzotto nello stomaco, siccome eravamo amici quando venne a scusarsi lo spintonai via e venni espulso. Ma la verità è che gli arbitri a quei tempi erano molto più severi di adesso, specie verso una certa gestualità che ora non viene punita. Una volta se mandavi a quel paese l’arbitro, andavi in doccia: ricordo anche un rosso che l’allora esordiente Michelotti diede a Corso a San Siro”.
A quei tempi c’era anche tanta gente forte da marcare, magari con le cattive. “A 21 anni ero nel Venezia ed esordii a San Siro contro Pierino Prati. Ma potrei citargliene mille: Hitchens, il povero Meroni, Hamrin, Chiarugi, Riva, Sormani, Boninsegna, Mazzola, Chinaglia, Pulici e Graziani. Forse il più difficile di tutti da marcare era Clerici ai tempi del Napoli e della Fiorentina: per fortuna l’avevo avuto due anni a Verona come compagno di squadra, ma era dura. A quei tempi, se arrivava uno straniero in Italia era davvero forte. E poi chi vinceva il campionato andava in Coppa Campioni, le altre facevano l’anglo-italiano: otto squadre inglesi e otto italiane, col Verona ospitammo anche il Manchester United. Me la sono sempre cavata”.
Fu allenato anche da Helenio Herrera. “Per qualche mese, a Rimini: era squalificato ma il club voleva un nome. Non poteva allenare e si nascondeva in bagno per farlo. Un giorno l’arbitro Menicucci fece finta di uscire in campo, gli diedero il via libera e quando uscì dal bagno Menicucci lo beccò. E finì l’esperienza riminese del Mago”.
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