L’opossum della Virginia, quando si trova in pericolo, si auto induce un coma, e rimane così per molte ore, con la bocca aperta in un ghigno cadaverico, la lingua penzoloni, gli occhi sbarrati, i muscoli tesi, si direbbe rigor mortis, e per rendere il tutto più credibile, secerne dall’ano un liquido verdastro in grado di riprodurre l’odore di una carcassa in putrefazione. Non sarà arrivato a tanto, ma un arbitro italiano c’è andato vicino.
Era la stagione 1945-‘46. Non si trattava del campionato italiano, perchè negli anni della Seconda Guerra Mondiale, per ovvie ragioni, il campionato fu interrotto. Nel 1945, però, soprattutto a Sud, per tornare a respirare una parvenza di normalità, si pensò di imbastire dei mini campionati a livello regionale. Così, per non perdere il vizio. La Campania, ovviamente, aderì volentieri all’iniziativa.
Le ragioni di questa scelta erano ovvie. Mantenere in piedi un campionato italiano che prevedeva ad ogni turno la metà delle squadre in trasferta, significava esporre squadre, dirigenti, staff e tifosi a grandi rischi. Agguati, bombardamenti improvvisi, in clima di guerra non erano infrequenti, e il campionato italiano offriva anche una grande cassa di risonanza, in caso di attacchi. Meglio evitare.
La Campania, dicevamo, non si tirò indietro, e coinvolse nel suo mini campionato squadre provenienti dalla serie B (il Napoli e la Salernitana), dalla serie C (lo Stabia, la Scafatese, la Torrese e la Casertana), dalla Prima Divisione campana (la Frattese e il Portici), una neo squadra alla “scapoli e ammogliati”, la compagine degli agenti della Polizia Militare, e l’Internaples, società neonata anch’essa.
Rappresentanti della Serie A, nessuno. Questo poneva il Napoli e la Salernitana nella condizione di vincere il campionato campano a mani basse, senza rivali che potessero seriamente impensierire i due colossi, che talaltro giocavano in casa più spesso degli altri, trovandosi a Napoli e a Salerno gli unici due stadi spendibili per il campionato campano.
Anzi, a voler essere più precisi, Salerno aveva il Littorio”, miracolosamente non abbattuto dai bombardamenti. Napoli no. L’Ascarelli era purtroppo inagibile, e pur di evitare un campionato vissuto costantemente nella tana della maggiore concorrente al titolo, la Salernitana, a Napoli si decise di giocare all’interno dell’Orto Botanico.
A prescindere dal giocare in casa o meno, un altro fattore avrebbe condizionato pesantemente l’esito di quel campionato. Trattandosi di competizione regionale, alcuni giocatori decisero di “tradire” la squadra per cui giocavano nel campionato italiano, preferendo fornire le proprie prestazioni calcistiche a squadre meno blasonate, ma più vicine al proprio paese natale.
Il campionato cominciò il 28 gennaio del ‘45. A maggio la situazione era già piuttosto delineata. Il Napoli inseguiva la corazzata di Salerno, arrancando, e lo Stabia, la cenerentola del campionato, conduceva le danze dettando il passo alle avversarie, da capolista. Nella sedicesima giornata lo Stabia aveva la ghiottissima occasione di andare in fuga, essendo impegnata con il Portici, mentre al Littorio andava in scena il derby Salernitana-Napoli.
Lo Stabia fece quanto ci si aspettava. Archiviò la pratica Portici con un secco 3-1. Merito soprattutto di un Romeo Menti in grande spolvero, autore di una doppietta. Menti faceva parte di quei giocatori che avevano preferito indossare la casacca di casa, rinunciando a maglie più impegnative, pur di veder trionfare i propri colori nel campionato campano. Nel frattempo, il derby campano era cominciato. Lo stadio traboccava letteralmente di tifosi, tra l’ovvia preponderanza di colori granata e la massa inusitata di napoletani giunti a Salerno per dar man forte alla propria squadra. La gara procedeva piuttosto equilibrata. Nel giro di sette minuti segnarono prima il Napoli, al 18’, con Margiotta, e poi la Salernitana, al 25’, con Venditto.
Un pareggio non serviva però a nessuna delle squadre, che infatti continuarono a tentare di affondare i colpi, senza riuscirci. L’occasione giusta sembrò presentarsi però al Napoli, quando al 35’ del secondo tempo, a soli 10 minuti dalla fine, l’arbitro Demetrio Stampacchia decretò per la squadra partenopea un rigore che non videro nemmeno i tifosi napoletani più faziosi.
Lo stadio sembrò venir giù, ma fortunatamente le forze dell’ordine riuscirono a placare gli animi incolleriti dei tifosi salernitani. Mazzetti, complice forse l’atmosfera surriscaldata, sbagliò il penalty, calciando troppo angolato. La palla finì sul palo, ma la compensazione del torto subito non servì a placare la folla di tifosi inferociti, che dopo il fiato sospeso del rigore, ricominciarono a far presente il loro disappunto, in forme sempre più violente.
Cominciarono sugli spalti risse e tafferugli. Le persone erano tante che le forze dell’ordine dovettero soccombere ai disordine. Anche in campo le cose non andarono meglio, con i giocatori che smisero di giocare, preferendo misurarsi a suon di pugni, calci e colpi proibiti. L’arbitro perse il controllo sul terreno di gioco, come sugli spalti le forze dell’ordine.
Quando però nello stadio riecheggiarono i colpi di una pistola, l’arbitro decise di accasciarsi al suolo e fingersi morto. Si finse morto davvero, e tutti credettero che quegli spari l’avessero colpito in pieno. L’atmosfera si raggelò di colpo. L’arbitro fu portato via in barella, e gli infermieri si prestarono complici alla pantomima inscenata dal direttore di gara.
Il risultato però fu quello previsto. Gli animi si calmarono e tutti rientrarono a più miti propositi. Lentamente lo stadio si svuotò. La partita finì sull’1-1. Lo stadio fu squalificato per le rimanenti tre partite. E l’esperimento del campionato campano fu sospeso per un mese. Per la cronaca, il campionato lo vinse in scioltezza lo Stabia.