Come sarebbe stato Camus senza il calcio?
Gen 11, 2024

Il legame indissolubile tra Camus e il calcio è iniziato durante la sua infanzia ad Algeri. Allusioni discrete costellano il suo lavoro, ma ha espresso più facilmente la sua passione per il calcio nella sua vita di uomo, descrivendola come una delle componenti essenziali del suo percorso esistenziale.

Leggere i quaderni di Albert Camus ci permette di comprendere l’uomo e il suo viaggio nel mondo. Affida ai posteri i suoi ricordi d’infanzia e ci rivela in particolare ciò che il calcio ha portato alla sua formazione come uomo.

Albert Camus è il portiere del RUA

Rimasto orfano di padre quando aveva appena compiuto il primo anno di vita, il piccolo Albert crebbe nel quartiere povero di Belcourt ad Algeri. Fu lì, alle elementari, che il giovane Albert scoprì le gioie del calcio. La sua povertà era tale che la nonna si assicurava scrupolosamente che non consumasse le suole delle scarpe mentre giocava a calcio. All’età di 13 anni, è diventato portiere Montpensier prima di trasferirsi alla squadra junior del Racing Universitaire d’Alger (RUA). Eccelleva in questo ruolo come portiere e i giornali dell’epoca sottolineavano le sue imprese. Sfortunatamente, il suo sogno di diventare un calciatore professionista andò in frantumi quando apprese, all’età di 17 anni, di essere affetto da tubercolosi, una malattia mortale all’epoca.

Camus, primo piano

Nonostante la rinuncia al calcio forzata dal destino, Albert Camus mantenne la passione per il calcio per tutta la vita. In tutti i suoi grandi romanzi, Lo straniero, La peste, La caduta e Il primo uomo, compaiono riferimenti a questo sport. Il calcio e il ruolo di portiere che ricoprì sarebbero stati una delle componenti fondanti della personalità di Albert Camus. Mettendolo sia in squadra che da solo nella sua gabbia, troverà l’equilibrio necessario per la sua vita di scrittore e artista. Conserverà il gusto per il lavoro collettivo e lo spirito di squadra nell’attività teatrale e giornalistica. Tra la solitudine essenziale alla creazione e il bisogno impellente di essere parte del mondo, del suo tempo e dei suoi contemporanei, questa posizione rimarrà sua per tutta la vita.

Racing Universitaire d’Alger

Fedele al suo club RUA (Racing Universitaire d’Algiers), è dal Parco dei Principi che commenta l’ottenimento del Premio Nobel per la letteratura: “Vedrò le partite del Racing Club de Paris, il mio preferito, solo perché indossa la stessa maglia della RUA, delineata in bianco e blu”. Affermerà anche: “Perché, dopo tanti anni in cui il mondo mi ha offerto molti spettacoli, quello che in definitiva so sulla moralità e sugli obblighi degli uomini, è allo sport che lo devo, è alla RUA che ho l’ho imparato”.

RUA 1939

La lezione di vita del calcio: “Ho imparato che la palla non arriva mai dove ci aspettavamo”. In seguito confiderà che questa percezione gli fu molto utile per evolversi in un ambiente intellettuale parigino dove si opponeva con virulenza ad altri intellettuali tra cui Jean-Paul Sartre.

Quando Camus scriveva su “France Football”

Per Albert Camus il calcio è una scuola di vita che si affianca a quella della repubblica. In seguito ringrazierà entrambe le scuole durante il suo discorso di accettazione del Premio Nobel nel 1957, dove espose la sua visione dell’artista: “solo nella creazione e tuttavia membro a pieno titolo della comunità degli uomini”. Le sue convinzioni hanno partecipato alla costruzione dell’uomo che sarebbe diventato: libero e impegnato accanto ai suoi fratelli in umanità.

Il Racing Universitaire d’Alger che nel 1937 sconfisse il Sochaux

“Personalmente non posso vivere senza la mia arte. Ma non ho mai messo quest’arte al di sopra di tutto il resto. Se mi è necessario, al contrario, è perché non si separa da nessuno e mi permette di vivere, come sono, al livello di tutti. Ai miei occhi l’arte non è una gioia solitaria. È un modo per commuovere il maggior numero di persone offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie comuni. Costringe quindi l’artista a non separarsi; lo sottopone alla verità più umile e universale. E chi, spesso, ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso, impara presto che potrà nutrire la sua arte, e la sua differenza, solo ammettendo la sua somiglianza con tutti. L’artista si forgia in questo perpetuo andirivieni da sé verso gli altri, a metà strada tra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non riesce a staccarsi”.

Albert Camus

Estratto dal discorso di accettazione del Premio Nobel, Stoccolma, 10 dicembre 1957.

Mario Bocchio

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