Franco Ciccio Cordova era così, prendere o lasciare. In campo, come nella vita dove tutti lo ricordano per aver sposato due showgirl, prima Simona Marchini – figlia del presidente della Roma dell’epoca, negli anni ‘70 – e poi dopo aver divorziato, con Marisa Laurito (matrimonio durato però un solo anno). Nato per sbaglio a Forlì, da famiglia napoletana, si mise in mostra con Internapoli, Salernitana e Catania quando fu notato dall’Inter di Herrera. Una sola partita in nerazzurro (contro il Napoli nel 1966) e il perché lo spiegò al Corriere dello Sport: “Arrivo a Milano nel 1962, avevo diciotto anni. A Milano la mia vita era solo allenamento e casa, perché non conoscevo nessuno. E poi ero abituato al sole di Catania, al mare caldo. Ero disperato. Piangevo, telefonavo a mio padre che mi diceva ‘lo sapevo, avevo ragione io: tu devi studiare. Torna a casa, che ti frega del pallone’. Era una famiglia ‘bene’, quindi avrei potuto farlo. Ma io, nella vita, volevo solo giocare a calcio e quindi piangevo disperato. Alle due non vedevo più niente e quindi andavo fortissimo perché, facendo solo allenamento e sonno, ero in una forma strepitosa. Herrera mi aveva preso a ben volere perché voleva fare fuori Corso”.
Le cose andarono diversamente: “All’improvviso incontro un amico di Napoli cresciuto nella mia stessa strada, lui stava a Milano per lavoro. Abitavamo a fianco. Lui era già inserito a Milano, nella vita notturna. Insomma, da quel momento, per tutta la mia permanenza all’Inter, io non ho mai più dormito. Una volta c’era una partita di coppa De Martino, importantissima per qualificarci. Io non ho giocato quel match perché mi hanno perso. Noi siamo andati in pullman, abbiamo mangiato alle undici, poi avevo un sonno terribile. Non so come fare, mi aggiro per l’albergo, una hall enorme, vedo una tenda, la apro, c’è una poltrona dietro, penso ‘mi metto qua e dormo un’oretta’. Non mi hanno più trovato. Sono tornato a Milano in treno”.
Fu mandato a Brescia e lì tornò a fare grandi cose tanto che nel ‘67 lo prese la Roma. Con la maglia giallorossa disputò 212 partite segnando 9 gol, fu capitano dal 1972 al 1976 tra luci e ombre. A Roma tv raccontò la vicenda: “Sicuramente non ero un bandito, non ero un matto come dicono. Ero uno normale, tranquillo. Mi piaceva divertirmi da giovane. E poi ero bizzarro, ma non sono stato mai un eccesso di qualcosa, sono stato nella norma. Quando arrivai a Roma ero ancora troppo giovane per capire ed ero già stato all’Inter, alla grande Inter. Ero giovanissimo, ho fatto errori di gioventù. Ho vissuto normalmente questo impatto, ho trovato parecchi giovani come me come Capello e Ossola”. Tutto filò liscio fino all’ultimo anno.
In rotta col presidente Anzalone, Cordova rifiuta il Verona cui era stato ceduto e sceglie di andare dai cugini della Lazio, dove giocò per tre anni: “Anzalone mi chiese se avevo letto il giornale, chiesi cosa è successo: ero stato ceduto al Verona. Mi vestii e andai in ufficio, chiedendogli di questa cosa. Lui mi disse che dovevo andare, che mi aveva venduto. Nel frattempo il presidente mi chiamò, ma potevo portare Simona e famiglia a Verona? Nacque una discussione e fui costretto ad andare. L’approdo alla Lazio fu una ripicca. Fu un momento di ira, di reazione. Non potendo andare da nessun’altra parte, l’unica società era la Lazio. Io ho questa grande colpa, ma Di Bartolomei è andato a giocare al Milan, Picchio ha giocato tre anni alla Roma. Solo intorno a me si è creato questo macello. La cosa che fa più male è che ho perso 3 anni di Roma, potevo avere 300 partite. Fui costretto per non dargliela vinta, ad andare alla Lazio. Alla Lazio mi venivano a trovare tutte le volte che si giocava all’Olimpico Aldo Pasquali e l’ingegner Viola. Parlavamo della Roma, tant’è che Viola mi aveva promesso di riportarmi alla Roma una volta diventato presidente”.
In tanti si schierano dalla sua parte: “Molti tifosi della Roma in incognito venivano a vedere la Lazio. Non lo dicevano ma venivano, li trovavi fuori dallo stadio. La cosa che mi piace di più di questa vicenda, è che ovunque vado in giro per Roma mi amano tutti alla follia. Alla prima partita alla Lazio non volevo mettermi la maglia, fui l’ultimo a uscire e mi misero la maglia addosso”. Cordova chiude la carriera all’Avellino, dopo il calcioscommesse – in cui fu parzialmente coinvolto – si ritira (“ma per problemi fisici, nelle scommesse non c’entravo niente, fui coinvolto solo per omessa denuncia”).
Cordova ricorda: “Ho avuto parte di Roma invidiosa perché avevo sposato la Marchini, si pensava fosse un matrimonio di interesse. Ero innamorato perso di Simona. Resta una donna ricchissima, se fosse stato un matrimonio di interesse sarei rimasto a fare il signor Marchini”.