Gli alagoani – entrambi nati a Maceió – Mário Jorge Lobo Zagallo e Edvaldo Alves Santa Rosa, Dida – hanno conquistato intere legioni di tifosi per le loro prestazioni ai Mondiali. Insieme sono stati i primi campioni brasiliani e hanno vinto la prima stella delle cinque che il Brasile ora vanta sulla propria maglia e, nel caso di Zagallo, è l’unico uomo del pianeta ad aver vinto – da allenatore e da giocatore – quattro titoli mondiali. Zagallo e Dida hanno fatto la storia anche nei club dove hanno militato. Zagallo, nel Botafogo, dove formò una linea stellare che contava niente meno che Garrincha, Didi, Nilton Santos; e Dida, capocannoniere del Flamengo prima di Arthur Antunes, Zico.
La partita comincia. Zagallo si lancia in battaglia. Vuole essere il campione del mondo a tutti icosti. Prende la palla, ricordail Tom Mix dei film muti: va in tutte le direzioni. Si presenta dietro, davanti, a metà del campo. Nello stesso tempo, la sua è una presenza molteplice e costante. Il suo petto sottile nasconde un cuore, un cuore tremante.
Walter Scott, se lo riconoscesse, direbbe: “Zagallo, Cuor di Leone”. Mário Jorge Lobo Zagallo è soprattutto un vincitore. Velho Lobo è l’unico uomo sulla faccia della terra ad aver vinto quattro Mondiali, due da giocatore (1958, in Svezia, e nel 1962, in Cile), uno da allenatore nel 1970, in Messico, e un altro come coordinatore tecnico, nel 1994, negli Stati Uniti.
Ai Mondiali del 2006 torna a fare il coordinatore tecnico, ma dopo l’eliminazione del Brasile finisce per allontanarsi dal calcio. Con la reputazione di essere tirchio e superstizioso, Zagallo si circonda di amuleti e stranezze, tra cui una fissazione per il numero 13, derivante dall’adorazione della moglie per Sant’Antonio, nata il 13 giugno.
Da giocatore, oltre ad essere stato tre volte campione nel Flamengo (1953,’54 e ‘55), è stato due volte campione col Botafogo (1961 e ‘62). Da allenatore vinse il Campionato Carioca 1972 con il Flamengo e il secondo scudetto con il Botafogo (1967-‘68). Agendo come ala sinistra, ha vinto i titoli di campione carioca ed è stato convocato per la nazionale brasiliana, che avrebbe gareggiato nella Coppa del Mondo del 1958 in Svezia.
Era il fantasista sulla sinistra, il sollievo della difesa, l’ideatore del contropiede, l’aiutante della squadra, la “formichina” della squadra campione del mondo. Da giocatore, nei club, iniziò la sua carriera con l’aspirante squadra dell’América a Rio de Janeiro, dove vinse anche il Torneio Inicial nel 1949. Si trasferì e in seguito fu tre volte campione a Rio con il Flamengo; due volte campione di Rio con il Botafogo, club dove ha vinto anche la Coppa del Brasile e altri titoli, oltre che campione e due volte campione del mondo con la nazionale brasiliana.
Al Botafogo ha fatto parte della generazione d’oro dell’alvinegro carioca, giocando al fianco di star come Garrincha, Didi e Nilton Santos. I suoi titoli a Rio e la conquista della Coppa del Brasile lo hanno portato alla nazionale di calcio brasiliana. Con lui, il Brasile si è rinnovato tatticamente e ha giocato nel 1958 con un 4-3-3, dato che Zagallo era un’ala sinistra che si ritirava per aiutare a centrocampo. In quella Coppa e in quella successiva (1962) la sua presenza relegò tra le riserve Pepe, grande stella del Santos e compagno di Pelé. Capocannoniere pre-Zico nel Flamengo. Inizialmente giocava come attaccante ed è stato sfortunato a trovarsi nella stessa posizione di Pelé. Ai Mondiali del 1958 iniziò da titolare, ma in seguito perse il posto a favore del “re”, ma anche lui fu campione del mondo in Svezia.
Capocannoniere del Flamengo prima dell’era Zico (con 244 gol), Dida è nato a Maceió nel 1924 ed è morto a Rio de Janeiro nel 2002. Fu campione del mondo nel 1958 con la nazionale e campione di Rio de Janeiro con il Flamengo nel 1954, 1955 e 1963. Una punta di diamante dalle tante qualità (velocità, dribbling, impulso, perfetto piazzamento in area e tiro preciso con entrambi i piedi), Dida fu scoperto da un osservatore del Flamengo nel nord-est. Dida ha giocato da titolare contro l’Austria nella prima partita del Brasile, ma è stato tenuto giù dall’allenatore Vicente Feola nella seconda partita, per far entrare Vavá.
Pelé è stato buttato nella mischia solo nella terza partita. Il suo temperamento irascibile, come spiega nella sua autobiografia scritta con suo fratello, il conduttore radiofonico Luiz Alves, lo ha portato a litigare seriamente con la stampa.
Nel capitolo “La forza di un diamante finto”, la star sottolinea tutta la sua rabbia nei confronti dell’ex giocatore Leônidas da Silva, detto Diamante Negro, che allora era commentatore della Coppa per la stampa di San Paolo. “Mi hanno chiamato duro, pauroso, grazie a un certo Leônidas da Silva, uno degli uomini forti della commissione tecnica, anche se non ne faceva parte. Questo signore, come ho appreso in seguito, senza poter rinnegare le sue radici, senza dimenticare la sua invidia per essere stato colui che lo ha superato in prestigio al Flamengo, diventando così il più grande idolo di tutti i tempi nella storia di Gávea (sic), ha preso un microfono per sprigionare il suo veleno contro di me che, innocente, in campo, davo tutto di me”.
Mario Bocchio