16 marzo 1990 ad Algeri. Si gioca il 38′ della finale della diciassettesima Coppa d’Africa, la prima in terra algerina. In un incandescente 5 luglio, dove si sono radunate più di 100.000 persone – non si sa come – Moussa Saïb recupera palla. Il futuro leader dell’ Auxerre si gira e passa a Chérif Oudjani all’ingresso dell’area. Il numero 10 dei Fennecs poi cancella il suo diretto avversario con un controllo orientato, arma e manda nella porta nigeriana un tiro meraviglioso: 1-0. Il caso è chiuso: un’ora buona dopo, l’Algeria è campione d’Africa per la prima volta nella sua storia.
Il ricordo di quell’impresa, replicata nel 2019 in Egitto contro il Senegal, è ancora vivo
“Lo ricordo come se fosse ieri”, scivola l’eroe. “Riesco a vedere chiaramente il passaggio di Saïb e la sequenza di controllo-colpo”. È difficile per Chérif Oudjani dimenticare il momento in cui è diventato un eroe per un intero popolo. “Quando la palla entra, è una gioia indescrivibile. Qualcosa di folle. Ero in uno stato di stordimento. Tutti mi saltano addosso, si congratulano con me… È stato incredibile”.
L’ex attaccante del Lens e del Sochaux è diventato allenatore. I suoi consiglii da “vecchio veterano” sono stati utilizzati ad esempio dagli attaccanti del Lille dove ha lavorato come vice, alcuni dei quali non erano nati quando ha segnato questo famoso gol. “Ci sono alcuni che non mi credono quando assicuro loro che ho vinto la Coppa d’Africa. Dico loro di cercare il mio nome su Internet e… voilà! Con YouTube mi infastidiscono un bel po’”, sorride l’ormai 58enne.
In patria, gli algerini non erano necessariamente i favoriti. Perché, anche se avevano sconfitto per 5-1 la Nigeria nella fase a gironi, le Super Eagles stavano giocando la loro terza finale in quattro edizioni. I vari Amokachi, Yekini e Okocha formavano una formidabile squadra capace di imporsi nel 1994, dieci anni dopo la sua ultima incoronazione.
La leggenda Rabah Madjer, Pallone d’oro africano tre anni prima, ha 32 anni. Proprio come Lahkdar Belloumi, miglior giocatore del continente nel 1981, ma non convocato per il torneo del 1990. “Avevo recuperato il numero 10 da Belloumi. Nessuno lo voleva e me l’hanno dato. Non mi hanno chiesto troppo la mia opinione, ma ero molto sotto pressione”, ricorda Oudjani. Questa Coppa d’Africa somiglia anche ad un dorato canto del cigno per una generazione d’oro, presente ai Mondiali del 1982 e del 1986, terza alla Coppa d’Africa del 1984 e del 1988, ora guidata da Abdelhamid Kermali. “The Old Man”, come viene soprannominato, è una figura della resistenza algerina, che si distinse durante la guerra d’Algeria lasciando il Lione per unirsi alla squadra del Fronte di Liberazione Nazionale, e che amava raccontare storie di veterani ai suoi giocatori per motivarli.
“Il culmine di questa generazione è stato Madjer, il suo coronamento”, spiega Oudjani. “In Francia c’è la generazione Platini con Giresse, Tigana o la generazione Zidane con Djorkaeff… Noi, in Algeria, avevamo Madjer. Era un vero capitano, un leader. Ma avevamo anche una grande squadra. Giocatori come Saïb, Menad, Amani… hanno portato molto talento in attacco. Ma era anche solido il reparto dietro con El Ouazzani, Serrar, Aït Abderrahmane… Avevamo una grande squadra, composta da professionisti europei che hanno portato un vero vantaggio e giocatori algerini diventati forti nelle Coppe europee africane”.
Un viaggio esemplare e un traguardo storico, con questo gruppo omogeneo i verdi battono la Nigeria, l’ Egitto e la Costa d’Avorio nella fase a gironi. “Tutto andò bene. C’era una vera unità, vincevamo regolarmente tutte le nostre partite. Abbiamo finito con il miglior attacco e la migliore difesa. Abbiamo vinto abbastanza facilmente fino alla semifinale contro il Senegal. Ci hanno dato problemi”, ricorda Oudjani. “Tutti ricordano i miei due errori. La gente si è ricordata di queste due azioni sprecate contro il Senegal, ma dimentica che sono stato io a fare i due assist per il 2-1 finale”, aggiunge. “Alla fine ho comunque chiuso il torneo con due gol e tre assist in quattro partite!”.
E poi arriva questa famosa finale contro i nigeriani. “È stato davvero speciale. Psicologicamente è stata complicata per noi. Eravamo in finale. Eravamo a casa. La pressione era enorme”, dice Oudjani. “Inoltre, avevamo appena battuto la Nigeria 5-1, le persone intorno a noi ci dicevano che sarebbe ancora successo. Non avrebbero capito un nostro passo falso”. Di conseguenza, la partita fu intensa e l’atmosfera soffocante nello stadio 5 luglio 1962, dedicato al giorno in cui l’Algeria si prese l’indipendenza dalla Francia, pieno come un uovo. All’epoca, L’Équipe scrtisse: “Fuori, ci sono 30.000 persone pronte a urlare. All’interno, 120.000 persone che cantano e ballano. Non un solo posto vuoto, non un solo spazio in tribuna. A mezzogiorno hanno recitato la preghiera, dopodiché sono entrati allo stadio. Perché il calcio è la loro seconda famiglia. La loro ultima speranza. La ricreazione che permette di dimenticare le difficoltà della vita e i pesanti problemi esistenziali. Questa sete di fuga e di libertà, sono venuti, in questo giorno storico, a cercarla nel cratere del 5 luglio. (…) L’Algeria non può perdere. L’Algeria non perderà. La partita di calcio è diventata una questione di stato. Sinonimo di sopravvivenza e pacificazione”.
Tutti nel paese, e anche oltre, hanno gli occhi incollati a questo stadio che, come detto, celebra l’indipendenza del paese. Un intero popolo, unito, sostiene undici ragazzi vestiti di bianco e verde proprio nel momento in cui le tensioni sono palpabili in tutta l’Algeria. Pochi mesi dopo, un sanguinoso conflitto contrapporrà il governo e diversi gruppi islamisti. All’origine di questa guerra, le elezioni annullate dal governo in seguito al successo del FIS al primo turno.
Ma, in questo 16 marzo, l’atmosfera è festosa. E tutta l’Algeria pensa solo al calcio. “C’era così tanto rumore che, a un certo punto, dopo gli inni, un elicottero è passato sopra lo stadio e non siamo riusciti a sentirlo”, ricorda Oudjani. L’atmosfera era pazzesca. La partita può non essere stata spettacolare, ma alla fine solo la vittoria è bella. Ed è grazie al pistolero Chérif Oudjani che l’Algeria ha vinto. Partita speciale per l’eroe di giornata, che ha segnato davanti al padre, arrivato apposta dalla Francia.
“La ciliegina sulla torta. Siano stati due generazioni di Oudjani a segnare il calcio algerino”, spiega Chérif, riferendosi a suo padre Ahmed, marcatore della squadra FLN.
Il giubilo è indescrivibile in tutto il paese. Ma Oudjani ha altri problemi: “Per il ricevimento in Federazione, alla presenza del presidente, mi sono messo il costume. Quando arrivo, sono tutti in tuta… Nessuno mi ha avvertito!. Hai presente quei vecchi pantaloni da jogging verde chiaro? Tutti i giocatori li indossavano, tranne io. Cerchiamo, cerchiamo, ma l’unico paio che troviamo è troppo piccolo. Quindi, mi rimbocco un po’ le maniche per compensare, ma ho ancora le scarpe da costume. Una tuta con scarpe di classe, ero ridicolo! Quindi, in tutte le foto, mi nascondo un po’!”.
L’unico rimpianto di Chérif Oudjani, eroe di un’intera nazione, verrà dopo. “Dopo questo gol, sono stato convocato solo più una sola volta in selezione. La mia ultima partita è stata contro il Senegal, a Constantina ”, sospira. Consapevole che nel Pantheon del calcio algerino anche lui ha sicuramente il suo posto in evidenza.
Mario Bocchio