Se a un vecchio tifoso romanista, meglio se di Testaccio, chiedete chi era l’ottavo re di Roma, non vi risponderà Falcão, bensì Amedeo Amadei. Centravanti della Roma che ha vinto il primo scudetto nel 1942, Amadei è stato bomber, capitano e bandiera della formazione giallorossa: umile, introverso, sempre al servizio della squadra, professionista esemplare. “Io sono di Frascati, ma mi sento come se fossi nato a Testaccio – racconta nel 1983 – chissà, per noi romanisti Testaccio è sempre stato qualcosa di più. Soltanto chi ha vissuto a Testaccio può capirmi e rendersene conto. C’è qualcosa dentro di noi che ci fa sentire che cosa sia stato ‘er core de Testaccio’. Dici: è un simbolo, un emblema, un meraviglioso ricordo della giovinezza. No, è qualcosa di più. È Testaccio. E la Roma è Testaccio! Tutti noi la pensiamo così, Bernardini, Masetti, Borsetti, Fusco…”.
Testaccino d’adozione, quindi, inizia come ala per poi trasformarsi, inizialmente controvoglia, in formidabile centravanti. Potente fisicamente, dotato di tecnica superiore e tiro fulminante, aveva il suo unico punto debole nel gioco aereo. Lui stesso ha sempre ricordato di aver segnato soltanto tre gol di testa delle quasi 300 reti realizzate in carriera.
Dalla sua Frascati, dove è nato il 26 luglio 1921, subisce sin da bambino il fascino di Roma anche se inizialmente, dal punto di vista calcistico, strizza l’occhio al mitico Genoa, vincitore di nove scudetti. Il piccolo Amedeo Amadei sogna di diventare come Virgilio Levratto, attaccante della nazionale, rossoblù dal 1925 al 1932. Proprio per vedere il “suo” Genoa a 11 anni, il 15 gennaio 1933, fa il suo debutto, da spettatore, a Testaccio. Il padre lo manda insieme a un amico di famiglia a vedere la partita, in corriera. Costo del biglietto per assistere al match: 4 lire (2 per i ridotti). Il Genoa vince 3-1. “La mia prima partita con lo sfilatino sotto braccio”, ricorda Amadei.
E sì, perché il pane e il pallone sono i due grandi amori del campione romanista che per questo viene soprannominato “Il Fornaretto di Frascati”. La famiglia Amadei ha infatti un forno, aperto a Frascati sin dal 1876 da Agostino e lasciato poi ad Antonio, nonno di Amedeo, e quindi a Romeo nel 1930, alla morte di Antonio. L’eredità è pesante per Romeo, papà di Amedeo Amadei, perché Antonio negli ultimi anni si è giocato tutto a poker. Ancora bambino il futuro fuoriclasse inizia a fare le consegne per il forno paterno mentre tira calci al pallone nell’oratorio salesiano di Capocroce. Quindi passa nei pulcini dell’OND Frascati. La magica avventura con la Roma nasce in gran segreto, nel 1935, quando Amedeo, 14enne, legge un annuncio sul quotidiano “Il Littoriale” che reclamizza la “leva annuale giallorossa per le classi 1919-1920-1921-1922”.
Con l’amico Luciano prende la bicicletta, altra sua grande passione (il suo eroe è Learco Guerra), si incammina in discesa su Appia e Tuscolana arrivando in tempo a Testaccio per il provino, senza dire niente a papà Romeo e mamma Elena. Amedeo è promosso: con le sue giocate e la sua velocità convince Giulio Scardola, allenatore dei ragazzi giallorossi, già attaccante romanista nella stagione 1927-‘28. Quando arriva la lettera di convocazione dell’A.S. Roma però il padre gli proibisce di andare: il lavoro dell’unico figlio maschio è fondamentale per mandare avanti il forno di famiglia. Amedeo scoppia in lacrime perché il suo sogno sta svanendo, ma la mediazione delle sorelle Antonietta e Adriana, nei giorni successivi, convince papà Romeo a lasciarlo andare. Le due ragazze, commosse dalla disperazione del fratello, promettono di accollarsi il lavoro che Amedeo non riuscirà a fare.
Ben presto si mette in mostra nelle partitelle d’allenamento contro la prima squadra. Bernardini e Masetti gli danno consigli preziosi mentre i nazionali Serantoni e Allemandi ne soffrono la velocità e gli mollano qualche colpo proibito. “Non ti lamentare, ragazzo, e piuttosto ringrazia: così ti fai le ossa e impari a non avere paura”, gli dice Allemandi, campione del mondo nel 1934.
L’11 aprile 1937 Amedeo Amadei gioca la prima amichevole con i “grandi” a Cagliari, contro la formazione sarda. L’allenatore Luigi Barbesino lo tiene sott’occhio e ne rimane soddisfatto. Tre settimane dopo, a 15 anni, 9 mesi e 6 giorni, arriva l’esordio in Serie A. È il 2 maggio 1937 e la Roma pareggia in casa 2-2 con la Fiorentina. Un record di precocità rimasto imbattuto per quasi 80 anni: “Amadei è un’ottima promessa – scrive “Il Littoriale” – ha lavorato con volontà e precisione”. Quattro giorni dopo il suo esordio in Serie A, Amadei è di nuovo in campo negli ottavi di finale di Coppa Italia, vittoria per 3-1 sul Torino, e il 9 maggio, nonostante la débâcle romanista con la Lucchese, segna il suo primo gol in Serie A, centrando un altro primato di precocità diventando più giovane calciatore ad aver firmato una rete nel massimo campionato. I giallorossi, privi del portiere Masetti dopo mezz’ora (sostituito tra i pali dall’attaccante Di Benedetti), perdono 5-1, ma la giovane ala si toglie una soddisfazione non da poco, realizzando con un tiro di controbalzo e battendo il portiere della nazionale Aldo Olivieri, futuro campione del mondo.
La stagione si chiude con la cocente sconfitta per 1-0 nella finale di Coppa Italia contro il Genoa. Amadei, anche in quell’occasione, è titolare. Il tecnico Barbesino lascia la Roma e il nuovo arrivato, Guido Ara, non vuole bruciare le tappe con il giovane attaccante. Fortuna vuole che Amadei, che gioca soltanto 3 gare in campionato, si faccia notare nella partita vinta 2-1, il 20 febbraio 1938, contro l’Atalanta. Così i bergamaschi chiedono e ottengono il 17enne in prestito per la stagione successiva, in Serie B. Amedeo intasca 1.800 lire di ingaggio più un fisso da 1.500 lire al mese. Un bel gruzzolo che torna utile anche per la famiglia, che deve mandare avanti il forno. L’Atalanta manca la promozione per un soffio e il “Fornaretto”, forte della bella esperienza da titolare tra i cadetti (33 presenze e 4 reti in campionato), rientra a Roma: è l’estate del 1939.
In panchina c’è ancora Ara che è il primo a provare Amadei, in qualche occasione, al centro dell’attacco. Il nuovo ruolo non piace troppo al frascatano che però s’adegua giocando anche bene. È però l’austro-ungherese Alfred Schaffer, subentrato ad Ara nel maggio 1940, che trasforma definitivamente Amedeo Amadei in attaccante. La svolta c’è il 27 ottobre di quell’anno: l’attaccante argentino Provvidente ha la febbre, ma Schaffer non si scompone: “No problema, joca Amadei centrafanti”. Nello Stadio del Partito Nazionale Fascista, nuova casa giallorossa dopo Testaccio, è di scena il Venezia: la Roma vince 5-2 con tripletta di Amadei. Provvidente non giocherà mai più e il numero 9 finisce sulle spalle del “Fornaretto”. Un mese dopo, il 24 novembre, dà il suo primo dispiacere alla Lazio, segnando il pareggio per 1-1 dopo uno spunto di Borsetti, che si libera di due avversari e gli fornisce l’assist per il gol. La stagione giallorossa, per la verità, è deludente, ma Amadei si consola con 18 reti, secondo soltanto all’uguruaiano del Bologna, Hector Puricelli, capocannoniere con 22 gol. Vale a poco l’exploit nella finale di Coppa Italia quando, contro il Venezia, segna 3 reti in 5 minuti tra il 16’ e il 21’ del primo tempo. Il Venezia rimonta incredibilmente fino al 3-3 per poi vincere la coppa nella ripetizione della finale, in terra veneta. L’apoteosi però è dietro l’angolo, inaspettata, nel campionato successivo, quello del 1941-‘42.
“Non avevamo ambizioni di scudetto – ricorda Amadei in un’intervista alla Gazzetta dello Sport – tra l’altro fummo eliminati dal Novara nel primo turno della Coppa Italia (1-0, il 12 ottobre 1941, NdR.) e, in amichevole, perdemmo persino sul campo della Ternana (3-1, il 21 settembre 1941, NdR) che giocava in Serie C, ma poi tutto cambiò come per un colpo di bacchetta magica”. Infatti la prima di campionato è pirotecnica con la Roma che batte 5-1 il Napoli e il bomber di Frascati che realizza tre gol.
La domenica successiva i giallorossi superano fuori casa il Bologna campione d’Italia per 2-1 e alla terza giornata, con la Juve, arriva un altro successo, stavolta per 2-0. “Ancora non credevamo allo scudetto – ricorda Amadei – e poi, alla quarta giornata, perdemmo contro il Genova. Al titolo cominciammo a pensare nel girone di ritorno”. Un passaggio importante è il derby della 12ª giornata, l’11 gennaio 1942: Amedeo Amadei firma il vantaggio giallorosso, avventandosi su una respinta della difesa biancoceleste, Piola sigla il pareggio e un’autorete di Faotto, pressato da Pantò, dà il successo alla Roma, prima in classifica appaiata al Venezia.
Il 20enne attaccante romanista è ancora il bomber principe della squadra: segna una splendida doppietta al Livorno (4-0) e va in gol addirittura di testa, il suo punto debole, contro il Napoli (finisce 1-1). Un altro momento chiave è quello del 26 aprile 1942, 23ª giornata (su 30 totali) di campionato: i giallorossi sono secondi a un punto dal Torino e salgono a Venezia, in casa della terza in classifica. Il Sant’Elena è inviolato e i lagunari conducono all’attacco gran parte del match. Masetti para tutto, anche un rigore, mentre Amadei, servito da Pantò al 63’, sigla la rete del preziosissimo successo.
La rincorsa scudetto continua e Amadei lega il proprio nome a un altro momento fondamentale, due settimane più tardi quando a Torino c’è la sfida diretta contro i granata, appaiati in testa alla classifica con i giallorossi, a sei giornate dalla fine. La Roma gioca una grande partita, trascinata dal suo giovane attaccante, che sembra indemoniato: Aldo Cadario, che lo marca, impazzisce. Amadei segna al 6’ in modo fortunoso, deviando quasi per caso un diagonale di Coscia, il torinista Baldi pareggia 3 minuti dopo e il “Fornaretto”, con un tiro al volo, realizza il 2-1 romanista al 24’. Nella ripresa il Torino riacciuffa un immeritato pareggio con Petron al 76’ mentre Amadei è ancora primo attore con due gol annullati e una traversa colpita.
Il momento di forma non è finito perché la domenica successiva firma 3 dei 7 gol che la “Lupa” rifila al Liguria. La Roma scavalca i granata a due giornate dalla fine, vincendo 6-0 sull’Ambrosiana (ancora un gol di Amadei), e poi va a chiudere con il 2-0 di Livorno (nuova rete del “Fornaretto”) e la festa del 14 giugno 1942, nella giornata dell’apoteosi finale contro il Modena: finisce 2-0 grazie alle reti di Cappellini e Borsetti, lo scudetto è conquistato. L’evento è storico, ma la gioia è misurata. “Non fu una gran festa – il ricordo di Amedeo Amadei – c’era la guerra ed erano tempi un po’ da poveri. Eravamo però contenti e soddisfatti tutti quanti”. Il premio scudetto è di 500 lire per ogni partita disputata. Amedeo, che ne ha giocate 30 segnando 18 reti, intasca dal presidente Edgardo Bazzini la bellezza di 15.000 lire.
La stagione successiva al titolo vinto è avara di gioie per la Roma, che chiude al nono posto e perde l’allenatore Schaffer, esonerato dopo dieci gare. Amedeo sposa l’amata Rita a Bergamo il 21 aprile 1943, ma rischia di partire per la guerra. Il pericolo viene sventato grazie a qualche conoscenza, ma dopo settimane di alta tensione. I brividi però non sono finiti perché, dopo la conclusione del campionato, è in programma la semifinale di Coppa Italia contro il Torino, fresco vincitore dello scudetto. È il 23 maggio 1943. Il primo tempo si chiude 1-0 per i granata grazie a un gol di Loik e, rientrati negli spogliatoi, nell’intervallo, i giocatori della Roma trovano una brutta sorpresa: undici forbici poggiate su un tavolo. Come a dire, senza possibilità di equivoco, scucitevi lo scudetto dalla maglie e datecelo.
Nella ripresa la partita si incattivisce: la Roma pareggia con la mezzala Vittorio Dagianti, ma il Torino, nel finale, va in gol due volte con Ossola. In occasione dell’ultima segnatura l’arbitro Pizziolo di Firenze convalida, non accorgendosi della bandierina alzata del guardalinee Massironi di Milano, che invece ha visto un fuorigioco. Ne nasce un parapiglia con il portiere romanista Giacomo Blason che strattona l’arbitro e i giocatori del Torino che arrivano di corsa, inseguiti da quelli romanisti. Pugni, calci, spintoni con tanto di intervento della polizia. Il romanista Mornese e Ferraris II del Torino vengono espulsi, ma non finisce qui perché i giocatori della Roma chiedono a Pizziolo di interpellare il suo assistente. Massironi entra in campo, è circondato dai giallorossi e, nel mucchio, riceve una pedata in mezzo alle gambe. Nel cadere a terra colpisce Amedeo Amadei e l’arbitro, pensando che Massironi sia stato scalciato proprio dal numero nove romanista, espelle “Il Fornaretto di Frascati”.
La Roma lascia il campo e perde la partita a tavolino, mentre il suo giocatore più rappresentativo finisce sotto inchiesta. Sono mesi duri perché, mentre il campionato viene sospeso per la guerra, il forno di Amadei va completamente distrutto per un bombardamento degli Alleati, l’8 settembre 1943, nel giorno dell’armistizio. A Frascati infatti è nascosto il quartier generale dei tedeschi per il Mediterraneo. Dopo lo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944 l’attaccante giallorosso si rifugia a Roma. Una decina di giorni prima si era conclusa l’inchiesta per i fatti di Torino con un verdetto severissimo: Amedeo Amadei viene squalificato a vita. Unica gioia di quei mesi è la nascita della figlia Maria Grazia. Fortunatamente, a fine aprile, grazie a un appello dei giocatori della Lazio, ma soprattutto grazie all’intervento del presidente del Coni, Puccio Pucci, c’è un’amnistia che permette ad Amadei di tornare a giocare nel campionato di guerra. Un paio d’anni dopo Dagianti rivelerà di essere stato lui, e non Amadei, a dare il calcio al guardalinee Massironi.
Sono anni tristi per la Roma che, dalla ripresa del campionato di Serie A, nel 1945-‘46, scende sempre più in basso in classifica. Amadei, con Krieziu e Pantò ormai in declino, rimane l’unico vero campione della squadra ed è allora che diventa l’“Ottavo re di Roma”, titolo inventato dal giornalista Bruno Roghi, direttore del Corriere dello Sport. Dal dicembre 1943 è anche capitano della squadra.
Il 1 dicembre 1946 arriva finalmente la prima convocazione in nazionale da parte del commissario tecnico Vittorio Pozzo, che però lo lascia in panchina nell’amichevole vinta 3-2 contro l’Austria, a Milano. Nel frattempo viene corteggiato da Sampdoria, Fiorentina e Torino. Si inizia a parlare di un possibile addio alla maglia romanista. Un suo gol decide l’acceso derby del 16 novembre 1947 con le due squadre che, tra infortuni e incidenti, chiudono la partita in nove contro nove. Al 14’ l’ungherese Zsengeller serve Amedeo, che finalizza in rete con un tiro rasoterra che si infila alla destra del portiere laziale Uber Gradella. Lo stesso Amadei è costretto a lasciare il campo, alla mezz’ora, per un intervento cattivo di un avversario. La Roma però stringe i denti e porta a casa un successo che entusiasma i tifosi.
L’addio si concretizza nel 1948: Amadei ha ormai in mente di lasciare la Capitale e deve soltanto decidere, con la società, se cedere alle lusinghe di Inter, Milan o Torino. Nel frattempo, con i soldi guadagnati, è riuscito a ricomprarsi un forno tutto suo, dopo il bombardamento del ’43. La trattativa viene chiusa con l’Inter in modo rocambolesco tra il 9 e l’11 settembre 1948, a meno di dieci giorni dall’inizio del campionato. La Roma, oltre ai soldi dell’Inter, chiede come contropartita tecnica due giocatori del Bari, Mario Tontodonati e Tommaso Maestrelli, che a loro volta accettano il trasferimento in cambio di un “premio di passaggio”.
Al momento della chiusura della trattativa però Tontodonati e Maestrelli si accorgono che mancano 700 mila lire e si impuntano, rischiando di far saltare tutto visto che nessuno, tra Inter, Bari e Roma, vuole mettere i soldi mancanti. L’affare si chiude grazie al direttore sportivo dell’Inter Giulio Cappelli che prende da parte Amadei e lo convince a staccare, lì per lì, due assegni da 350 mila lire. Alle 22,30 di sabato 11 settembre 1948 la cessione di Amedeo Amadei all’Inter è conclusa: il Bari si aggiudica l’ala Rinaldo Fiumi dall’Inter e 27 milioni, alla Roma vanno Maestrelli e Tontodonati, all’Inter va Amadei con una spesa di 40 milioni totali tra contanti e contropartite tecniche.
L’“Ottavo re di Roma” firma un contratto biennale da 9 milioni di lire a stagione, più i premi. Per salutare i suoi tifosi pubblica una lettera aperta sul quotidiano “Il Tifone” in cui spiega che, se la squadra si fosse rinforzata, sarebbe rimasto volentieri nella Capitale. Per il commiato con amici e compagni di squadra, invece, organizza un banchetto. Nell’Inter va a formare un reparto offensivo da sogno con Istvan Nyers e Benito “Veleno” Lorenzi. È protagonista, con una tripletta, nel derby della Madonnina più emozionante della storia: quello del 6 novembre 1949 quando l’Inter, sotto per 4-1 dopo 19 minuti, alla fine riesce a vincere 6-5 con rete decisiva di Amadei.
Finalmente, indossando la maglia nerazzurra, arriva con costanza anche la nazionale. Concluso il quasi ventennale mandato del ct Vittorio Pozzo, che vedeva poco Amedeo Amadei, alla guida degli azzurri si insedia il presidente del Torino Ferruccio Novo, coadiuvato da una commissione tecnica. Amadei è convocato, ma non gioca, in occasione della gara del 27 febbraio 1949 vinta 4-1 sul Portogallo a Marassi, ed esordisce esattamente un mese dopo, a Madrid, battendo 3-1 la Spagna del bomber Zarra. Il terzo gol italiano porta la firma proprio dell’attaccante di Frascati che raccoglie una respinta di un difensore iberico su un’uscita a vuoto del portiere Eizaguirre, stoppa di petto e si inventa un pallonetto di destro che scavalca gli avversari infilandosi in rete. Sono mesi pieni di gioie: il 6 aprile nasce il figlio Giampiero, poi partecipa al film “Undici uomini e un pallone” di Giorgio Simonelli, con Carlo Campanini, mentre viene citato in “Totò e i re di Roma” del 1951 quando un Totò totalmente impreparato cerca di conseguire la licenza elementare e, interrogato sui sette sovrani di Roma, ci infila dentro anche Amadei, l’“Ottavo re”. D’altronde il legame con la Capitale è ancora fortissimo tanto che “il Fornaretto”, al momento di sottoscrivere il contratto con l’Inter e poi con il Napoli, dove va a giocare nel 1950, mette in chiaro che può decidere di non scendere in campo contro la Roma qualora i giallorossi siano in difficoltà di classifica. La circostanza si verifica in effetti in più di un’occasione negli anni a venire.
Nel 1952 viene addirittura convinto dalla Dc a presentarsi alle amministrative di Roma e, a maggio, raccoglie 17.231 preferenze (il capolista Salvatore Rebecchini, per intenderci, ne prende 59.987) rientrando nel Consiglio comunale. Con la nazionale gioca i disgraziati Mondiali del 1950 in Brasile, vinti dall’Uruguay: la comitiva azzurra, ancora scossa per la tragedia aerea del Grande Torino dell’anno prima, decide di partire per il Sudamerica in nave, impiegandoci 16 giorni, fatali per la condizione atletica dei calciatori. L’Italia arriva già “cotta” al torneo iridato e viene eliminata al primo turno: Amadei è in campo nel match vinto 2-0, inutilmente, sul Paraguay. La sua partita più bella in nazionale è quella del 18 maggio 1952 quando, in occasione dell’ultima gara in azzurro di Silvio Piola, l’Italia sfida i maestri inglesi pareggiando 1-1 proprio grazie a un gol dell’ex romanista.
La sua esperienza nel Napoli continua, da calciatore, fino al 26 febbraio 1956 quando disputa l’ultima partita, a Marassi, contro il Genoa. Decide di appendere gli scarpini al chiodo perché da un mese è diventato anche allenatore dei partenopei, al posto di Eraldo Monzeglio. Troppo difficile il doppio incarico, meglio lasciare il campo di gioco. Amedeo Amadei chiude con 457 presenze e 188 reti in Serie A oltre a 13 presenze e 7 reti in nazionale. Da allenatore la sua stagione migliore è il 1957-‘58, quando il suo Napoli chiude al quarto posto e Amedeo vince il prestigioso Seminatore d’oro, premio riservato al miglior allenatore italiano. Per scaramanzia si porta sempre in campo una valigetta rigida su cui si siede per vedere la partita.
Nel frattempo diventa padre di Sergio, il secondo maschio, e chiama come suo vice il vecchio compagno della Roma scudettata, Naim Krieziu. Nel 1959 è a un passo dal tornare alla Roma come allenatore, ma il presidente giallorosso Anacleto Gianni ha fretta di chiudere la trattativa e, mentre Amadei cerca di contattare il suo presidente Achille Lauro, si accorda con Alfredo Foni. L’ultima stagione nel calcio che conta è quella del 1960-‘61 con il Napoli che retrocede in Serie B: Amedeo Amadei dapprima è affiancato da Renato Cesarini e poi viene esonerato a due giornate dalla fine del campionato. Amareggiato, torna a dedicarsi al suo forno e, dopo essere stato lasciato dalla moglie Rita e aver perso mamma Elena, si concede lunghe vacanze da turista in tutto il mondo con gli amici e con Mirella, la sua nuova compagna. Poi, nel 1972, vive un curioso ritorno al calcio, soltanto per passione, come commissario tecnico della nazionale italiana femminile, prima di lasciare definitivamente nel ’78 e tornarsene a fare il pane.
L’amore per la Roma non finisce mai: si fa vedere come ospite in tv private, invecchia benissimo conservando una mente brillante e non manca di fare commenti schietti e pungenti sul rendimento di calciatori e allenatori moderni. Con l’amico Krieziu è presente all’Olimpico, per la festa degli 80 anni dell’A.S. Roma, il 26 luglio 2007. Due settimane dopo la morte dell’albanese è seduto in prima fila, nell’aula magna dell’Università di Roma, per celebrare i 10 anni dell’ U.T.R., l’Unione dei Tifosi Romanisti. Ha quasi 89 anni, ma è attento e lucido. Nell’autografare una copia di un libro di Massimo Izzi sullo scudetto del 1942 chiede, sorridendo, “che giorno è oggi?”:”25 marzo 2010”, gli viene risposto, e lui, mentre firma, con aria ironica e beffarda: “25 marzo 2010… E ancora campo!”. Resta mentalmente vispo e brillante fino alla fine, che arriva la mattina del 24 novembre 2013, giorno in cui Amadei muore a 92 anni nella sua casa di Grottaferrata dopo settimane di malattia. Il giorno successivo Daniele De Rossi posa un mazzo di fiori sotto la Curva Sud, che omaggia Amedeo Amadei con uno striscione in occasione di Roma-Cagliari. Il ricordo del “Fornaretto”, testaccino di Frascati, non si spegnerà mai.