L’ex Ct della Nazionale – entrato nella storia del calcio soprattutto per aver fallito la qualificazione ai Mondiali del 2018 in Russia – come allenatore esplose in Sicilia, a Giarre. E negli Anni Novanta, quando sbarcò in piena estate, sbuffando per il caldo afoso nella piazza Duomo, al centro della città, c’erano in pochi ad accoglierlo.
Se n’era appena andato Angelo Orazi, al Palermo, portandosi dietro il bomber Totò Buonammino. E Giarre c’era rimasta un po’ così. Ventura chi? Arrivava da Pistoia senza molte credenziali. Chiese il campo in erba, il Ds Femiano mentì dicendo che lo avrebbero sistemato.
Invece Giampiero lavorò sulla nuda terra battuta. La palla spesso rotolava in modo irregolare, ma il suo calcio divenne poesia. Circolazione per vie orizzontali, inserimento degli esterni e possesso palla insistente. In redazione, in quegli anni, uno degli esperti di tattica, Michele Tosto, che era solito etichettare il gioco approssimativo con la frase “Palla-fai-tu” fu uno dei primi ad accorgersi delle potenzialità di Ventura. E mise per iscritto, anticipando i tempi, quelli che sarebbero stati i meriti del futuro Ct.
Negli anni della Serie A, tra le esperienze di Genova, Bari, Torino, abbiamo spesso rivisto Ventura. Che scelse la Sicilia, Ragusa, per un ritiro di sei giorni prima di un confronto con il Catania, al Massimino. Allora riemersero i ricordi di quell’anno giarrese: “E’ nato tutto lì – ha sempre ribadito – e ne vado orgoglioso”.
Ventura allenava a Zafferana, si spostava a Roccalumera, chiedeva al dirigente Mario Marino l’amichevole di metà settimana ad Aci S. Antonio. Arrivò, quel Giarre, a ridosso delle prime pur non avendo una punta prolifica. Giocò, a Caserta, ultimo match, il mediano Mosca nel ruolo di centravanti. Ventura organizzò una partita perfetta e Mosca segnò quattro reti.
Roba da non credere. Quel Giarre giocava un calcio spettacolare, a memoria, Ventura era scaramantico fino all’ossessione. Quel mazzo di chiavi che teneva in mano prima dell’allenamento e che faceva roteare sulla sua testa, portò bene. Così come le telefonate prima della partita: «Vieni allo stadio? C’è un posto libero» ma sapeva che eravamo già lì due ore prima. O i caffè al bar Lomeo prima della seduta di ripresa, il martedì.
O gli allenamenti del giovedì mattina soltanto con i portieri Finucci e Scalabrelli, con convocazione improvvisa del… giovane giornalista che poi doveva calciare l’ultimo rigore per far scaldare i guantoni ai ragazzi. Era un altro mondo, era un altro calcio. Erano gli anni in cui li idee di Giampiero sembravano fantascienza, invece precorrevano i tempi. Chi ha vissuto quella splendida annata 1992-93 ha imparato qualcosa che si porterà sempre dentro al cuore. Lezioni di calcio, esperienze di vita.
Giovanni Finocchiaro