Ha 67 anni oggi Spillo Altobelli, bandiera dell’Inter degli anni Ottanta ed ex centravanti della nazionale. Dopo una breve esperienza da dirigente al Padova e un tentativo di entrare in politica (nel 1996 si è candidato, per il centrodestra alla Camera, nel collegio Brescia-Roncadelle, ottenendo il 34,8% dei voti è stato sconfitto dal rappresentante dell’Ulivo) fa il commentatore televisivo, e si è anche diviso tra l’Italia e Doha.
Con gioia come racconta: “A Doha, chiusa la carriera di calciatore, andavo spesso in vacanza. Venni contattato da Al Jazeera Sport: trasmettiamo tutto il calcio italiano, ti interessa? E io: Al Jazeera? La tv di Bin Laden…? No, no, mi rispondono: quello è il canale delle news, noi trasmettiamo la Serie A. Mi rilasso e accetto. All’inizio, nel 2006, si trasmetteva dagli uffici di Milano. Poi Al Jazeera è diventata Bein Sport e tutta la produzione è stata trasferita a Doha. Ho fatto il pendolare tra Italia e Qatar. Tre-quattro giorni alla settimana, concentrati nel weekend. Ho commentato i match del nostro campionato, per cui nel Golfo vanno pazzi. E, durante la settimana, Europa League e Champions”.
Di gol ne ha fatti tantissimi e a tutti: “Il mio cognome, Altobelli, è l’anagramma di Balotelli, ma tra me e Mario ci passano duecento gol e tanto altro ancora…”. Però bomber ci è diventato, non ci è nato: “Ero destinato a fare il macellaio. Terminata la terza media andai a lavorare dal macellaio Merluzzi e appena potevo lasciavo il bancone e scappavo a giocare. Mai avrei pensato che il calcio sarebbe diventato il mio mestiere. Per fortuna qualcuno si inventò una squadra per ragazzi ed io ci arrivai. Se pensiamo che la mia carriera è partita da un paese dove non c’era neppure il campo di calcio…”.
Sin da piccolo è stato per tutti “Spillo”: “Per via della mia magrezza. Me lo affibbiò un maestro elementare che veniva sempre a vedere gli allenamenti dei ragazzi del Latina, in cui ero passato venendo dalla Spes: la squadra del mio paese, Sonnino, era la squadra messa in piedi dal barbiere di Sonnino, Gaspare Ventre“.
All’Inter formò una coppia da sogno con Beccalossi: “Quando sono arrivato, nel 1974, Evaristo giocava nella Primavera del Brescia che vinse lo scudetto. Il Beck faceva certi numeri… Con lui, tra Brescia e Inter, sono stati dieci anni splendidi. Beccalossi è stato uno dei più grandi numeri 10 italiani, sapeva essere contemporaneamente goleador e assistman. Bearzot, al quale sarò sempre grato, mi chiamò solo dopo che avevo segnato trenta gol con l’Inter. Beccalossi avrebbe meritato di venire al Mundial dell’82, ma Antognoni aveva fatto Argentina ’78 e per il gioco di Bearzot era più lineare. Evaristo aveva più colpi…”.
Una vita nell’Inter poi la rottura e lo sgarbo: andò alla Juve nel 1988: “Non andavo d’accordo con Trapattoni… Così vado agli Europei, segno alla Danimarca e gioco la semifinale senza squadra. Quando mi chiama Boniperti sono io che rinuncio a un contratto ancora in essere con l’Inter e affronto anche il rischio di sentirmi dare del ‘traditore’ dagli interisti, ma avevo ancora qualcosa da dare. Certo oggi rimane il rimpianto di non aver chiuso all’Inter con quel secondo scudetto dei record. Me lo sarei meritato“.