Il 20 ottobre 1976 Diego Armando Maradona scende in campo da professionista con la maglia dell’Argentinos Juniors contro il Talleres de Córdoba. Aveva 15 anni, 11 mesi e 20 giorni. Non segna e la sua squadra perde la partita, ma inizia così l’avventura di un calciatore che ha scritto le più belle pagine della storia del calcio. Di quel giorno il Pibe de Oro ha raccontato che ricorda il gran caldo mentre raggiungeva coi mezzi pubblici lo stadio: aveva solo un paio di pantaloni “buoni” ed erano troppo pesanti. Prima del suo ingresso in campo il tecnico Juan Carlos Montes, gli disse: “Va e se puoi fa un tunnel”. Lo fece nel primo minuto di gioco.
Il 20 ottobre 1976 diventa così il giorno zero del mondo nel pallone. Il 20 ottobre 1976 è paragonabile alla scoperta della ruota o del fuoco nella preistoria, alla sbarco sulla luna in epoca moderna, alla nascita di Bob Marley nell’universo del reggae. Da quel momento, nulla sarà più come prima.
Quel giorno di 46 anni addietro resettò ogni certezza, riavvolse qualsivoglia nastro ed iniziò a proiettare il più bel film mai visto
Poi venne il gol più bello della sua carriera. No, non è quello mitico della mano de dios e nemmeno la serpentina da favola che lasciò di sasso gli inglesi (la perfida albione delle Malvinas, per i revanscisti che al governo nel Paese sudamericano intrapresero la personale guerra santa) al Mondiale in Messico. Ma è una rete pazzesca, magica, carica di pathos e tenera nostalgia per i suoi tifosi (quelli argentini e quelli napoletani) e per tutti gli esteti del calcio, segnata nel febbraio del 1980: allora non era ancora il Pibe de Oro, ma solo un talento pronto a esplodere e con le spalle strette, che aveva imparato a palleggiare con le arance e, nel cuore di ragazzino, studiava da grande prendendo a calci un sogno racchiuso in una sfera di gomma.
Anche quella volta El Diez indossava la maglia dell’Argentinos Junior e, in un’amichevole contro il Deportivo Pereira (4-4), segnò tre reti. L’una più bella dell’altra, quasi da antologia quella che – raccontò ai microfoni di una tivù cubana – lo stesso Diego mise in cima alla lista dei suoi ricordi.
“Peccato non ci siano immagini di quel gol, il più bello che ho fatto in assoluto”, raccontò allora. Almeno fino a quando un utente non l’ha caricato su Youtube: un dribbling lungo trenta metri, difensori e portiere saltati in slalom e palla che finisce in fondo al sacco. E fa nulla che le immagini sembrino sfocate: la sua classe brillerebbe anche in mezzo alla nebbia.
Nelle curve della memoria, però, nulla si perde. Perché le leggende resistono come il fuoco, vivono sotto la cenere. E poi basta un soffio del tempo per farle ardere di nuovo.