George Best è stato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi e su di lui sono state scritti fiumi di articoli per celebrare il suo spirito ribelle e la sua vita sregolata, sempre sopra le righe. George Best, con i suoi lunghi capelli al vento e le folte basette, tipiche degli anni Sessanta, era un affascinante giovane nordirlandese, intelligente ed eccentrico, che grazie al suo talento sportivo, in pochi anni è riuscito ad affrancarsi dal mondo proletario di provenienza per conquistarsi ricchezza, fama, lusso sfrenato, donne e riconoscimenti.
Una vita trascorsa sempre al massimo, spericolata, eccessiva, spesso sovversiva, sprezzante delle regole e del buon senso. La sua ascesa sociale e sportiva, che lo ha portato a vincere il Pallone d’Oro a soli 22 anni, e ad ottenere incarichi prestigiosi e successi calcistici a livello internazionale, è stata accompagnata da una lenta e inesorabile discesa personale fra eccessi, alcolismo, guida in stato di ebrezza, carcere per resistenza a pubblico ufficiale per arrivare ad una morte prematura a soli 56 anni per gravi danni al fegato.
George Best nasce il 22 maggio 1946 nei quartieri proletari e popolari di Belfast, in una numerosa famiglia protestante: il padre era tornitore ai cantieri navali mentre la madre faceva l’operaia in una fabbrica di sigarette. Nonostante avesse ottenuto a 11 anni l’ammissione alla prestigiosa Grosvenor High School, specializzata nel rugby, preferì ritornare alla Lisnasharragh Secondary School per dedicarsi alla sua passione, il calcio.
A dispetto della sua costituzione esile e minuta (per questo motivo venne scartato dal Glentoran, di cui era un accanito tifoso) venne notato all’età di 15 anni dall’osservatore del Manchester United Bob Bishop. Fu la svolta della sua vita e della sua futura carriera.
Pigro e strafottente, inconstante e sprezzante dei compagni e degli avversari, George Best incarnava tutte le qualità del campione sopra i generi, capace di dare vita a mirabolanti prodezze sul campo da calcio con incredibile naturalezza. Dopo una brevissima gavetta, in cui l’allenatore del Manchester United Matt Busby lo sottopose ad aspri allenamenti per mitigare il suo carattere svogliato e rafforzare il suo fisico poco prestante, a 19 anni aveva già vinto il campionato inglese e segnato 4 meravigliosi goal al Benfica in Coppa dei Campioni. La storia calcistica del quinto Beatles, come venne ribattezzato per i suoi pantaloni a zampa di elefante, il capello lungo al vento e la sua faccia da ragazzo ribelle e geniale dai comportamenti anticonformisti, fu rapida e folgorante: 137 gol in 361 partite con il Manchester United, la vittoria nella Coppa dei Campioni e il Pallone d’Oro nel 1968, 2 campionati, una FA Cup, due Charity Shield e un paio di titoli di capocannoniere.
Specializzato in fenomenali dribbling e tiri micidiali da cecchino, era in grado di determinare da solo il destino di una partita e mandava letteralmente in delirio gli stadi con la sua sfrecciante maglietta rossa numero 7. In quel periodo probabilmente solo Pelè lo superava in talento e destrezza, anche se quest’ultimo, nel 1966, dichiarerà che ”George Best è il più grande giocatore del Mondo“. Ma il talento non basta. Così dopo tredici anni di permanenza nel club e una vita di eccessi e di vizi che incidono pesantemente sulla routine sportiva, dopo risse nei pub e conseguenti allenamenti saltati, litigi con l’allenatore e incostanza sul campo, a soli 28 anni inizia il suo declino sportivo. Lascia il Manchester United per rifugiarsi nei campionati in Sudafrica, Stati Uniti, Scozia e Hong Kong dove gioca senza entusiasmo ma dedicandosi alle sue “altre” passioni, le donne (tra cui anche ben sette Miss Mondo), la bella vita, il gioco d’azzardo e l’alcool. In questo periodo sfrutta al massimo l’incredibile affetto dei suoi tifosi e la popolarità internazionale che si era creata intorno al suo personaggio, per diventare a tutti gli effetti un’icona “pubblicitaria”.
Inizia così a massimizzare la sua immagine come un vero divo di Hollywood tramite sponsorizzazioni, campagne pubblicitarie, apparizioni, gettandosi nella gestione di ristoranti e locali, promuovendo nel mondo il brand “George Best”.
Ma anche questa fase non può durare in eterno e dopo anni di alti e bassi, di sperperi economici, di sbronze colossali, di arresti e di scelleratezze, nel 2002, all’età di 56 anni, Best subisce un trapianto di fegato: a causa dell’alcol le funzioni del suo organo si erano ridotte al venti per cento. Dopo il ricovero nel 2005 in gravi condizioni, Best decide di farsi ritrarre nel suo momento peggiore: il tabloid The Sun pubblica in prima pagina la scioccante foto di un vecchio dal volto ingiallito e scavato, sdraiato su un lettino di ospedale sommerso da tubi, sonde, cateteri, che dice “Non morite come me”.
Una settimana dopo, il 25 novembre 2005, George Best si spegneva al Cromwell Hospital di Londra per un’infezione epatica. Per il suo “ultimo viaggio”, ci fu un vero bagno di folla: al suo funerale, celebrato al castello di Stormont, sede del Parlamento nazionale dell’Irlanda del Nord, furono presenti celebrità del mondo dello spettacolo e ovviamente del calcio tra cui Sven Goran Eriksson, Alex Ferguson e tanti ex calciatori della nazionale nordirlandese, oltre a migliaia di persone comuni che si accalcarono per dare il loro ultimo saluto al grande mito.
Mario Bocchio