La trama di uno scandalo
Nov 14, 2023

Erano tempi di improvvisazione e disordine. Erano i tempi prima della gloria, prima della rifondazione della Nazionale argentina. Poi venne un periodo di eccellenza segnato dalla competenza e dalla saggezza di un uomo di nome César Luis Menotti. Oggi, più di quaranta anni dopo, l’onore di indossare la maglia della Nazionale persiste ancora.

Era il 1974 e la Nazionale argentina aveva due facce: il talento naturale emerso a queste latitudini e la disorganizzazione tecnico-istituzionale. C’erano giocatori come Carlos Babington, Miguel Brindisi, Loco Houseman, Ratón Ayala, il maresciallo Roberto Perfumo, Enrique Wolff e, ovviamente, un giovane ed esplosivo Mario Alberto Kempes. Naturalmente c’era anche un debito importante in termini di professionalità, in una squadra guidata da un triumvirato: Vladislao Cap, Víctor Rodríguez e José Varacka.

Héctor Vega Onesime, inviato speciale di “El Grafico” ai Mondiali del 1974

Anche così, le caratteristiche calcistiche della Nazionale argentina ai Mondiali del 1974 in Germania  hanno invitato a sognare un intero Paese. Il cammino nelle prime giornate, però, è stato in salita e la squadra dell’albiceleste aveva sempre più bisogno di un miracolo.

L’Argentina ha iniziato il suo Mondiale con una sconfitta per 3-2 contro la Polonia al Neckarstadion di Stoccarda ed è proseguito con un pareggio per 1-1 contro l’Italia sullo stesso terreno. A quel punto non sarebbe più dipeso da sé stessi per passare al secondo turno della Coppa del Mondo, la cui organizzazione in quel momento era composta da 16 Paesi e due fasi a gironi prima della finale.

Solo un’opera del cielo poteva risollevare la classifica: bisognava battere Haiti con tre reti di scarto e sperare che la Polonia, già alla seconda fase avendo vinto le due partite precedenti, battesse l’Italia. Un’opera del cielo o, come spesso accade in certi casi, il potere del denaro.

Il tecnico della Polonia Kazimierz Górski

Alla vigilia del terzo appuntamento accadde un evento impensabile per questi tempi. In conferenza stampa al tecnico polacco Kazimierz Górski venne chiesto come avrebbero giocato la terza partita, con la certezza di avere la qualificazione in tasca. La risposta fu energica: “L’unico modo in cui sappiamo giocare: vincere”.

Pochi minuti dopo Héctor Vega Onesime, inviato speciale e allora direttore di El Grafico, incrociò Roberto Gadocha, il Garrincha polacco, emblema della squadra, che era con un amico argentino direttore della compagnia aerea Pan Am a Varsavia. Il giornalista ha parlato qualche minuto con il giocatore, con il terzo in veste di traduttore.

“Come giocherete contro l’Italia?”, ha chiesto. La reazione è stata quasi un’antinomia rispetto alla replica del tecnico. “Dipende dagli argentini”, si lasciò intenzionalmente sfuggire, come ricorda lo stesso Onesime nel suo libro Memorie di un giornalista sportivo.

René Houseman esulta dopo la vittoria contro Haiti

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Lo colse di sorpresa, ovviamente. “Una parola che ancora oggi genera polemiche e letture dissimili è emersa come un fantasma: incentivo”, ha ricordato decenni dopo. Poi ha fatto un passo molto rischioso di cui, confessa, in certi momenti si è anche pentito: ha comunicato la posizione polacca ai giocatori argentini. Ha fatto da intermediario, in poche parole. Il risultato è stato concreto: c’è stata trattativa e accordo. L’operazione si svolse a forma di triangolo: Gadocha, il suo amico argentino e Héctor Rial, assistente di campo della Nazionale argentina ed ex compagno di squadra di Alfredo Di Stéfano al Real Madrid.

Roberto Gadocha, protagonista di una storia cinematografica

Dopo quella “intermediazione”, come ha scritto El Grafico, Onesime si è recato d’urgenza a Sindelfingen per prendere l’autobus per Monaco, città nella quale l’Argentina doveva chiudere il primo turno contro Haiti, e il sacco dei soldi è rimasto nelle mani di Rial. Tutto quello che segue, a rigor di termini, lo ignora.

La Polonia, infatti, ha battuto l’Italia per 2-1 a Stoccarda e l’Argentina ha completato il successo per 4-1 contro Haiti a Monaco, risultato che ha posizionato la squadra di Vladislao Cap con una differenza reti superiore agli Azzurri sulla via della seconda tappa del Mondiale. Il 25 giugno 1974 la rivista El Grafico pubblicava un servizio dal titolo: “Grazie Polonia. Il miracolo di Stoccarda”.

Polonia-Italia 2-1: Fabio Capello e Grzegorz Lato

L’immaginario ricorda, quasi come una favola, che Gadocha ha ricevuto i soldi e, contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, non li ha distribuiti ai suoi compagni, decisione che non gli è mai stata perdonata. La storia, però, nasconde una trama cinematografica che comprende confessioni, smentite e pressioni.

“Abbiamo raccolto 25mila dollari e glieli abbiamo offerti. Come dico io: li abbiamo incentivati ​​con i soldi di tasca nostra, con l’aggravante che, se non avessimo vinto con tre gol di scarto e loro rispettavano i patti, avremmo comunque dovuto dar loro i soldi e torna a casa”, ricordò anni dopo Enrique Wolff, membro di quella nazionale, nel suo libro Simplemente Fútbol.

I 25mila dollari del 1974 rappresentavano circa 138mila in termini di moneta odierna, con l’inflazione accumulata negli Stati Uniti dopo quasi mezzo secolo. Per misurare l’epoca, si può dire che Lionel Messi, la figura brillante del calcio mondiale negli ultimi quindici anni, guadagnava l’equivalente di 116.300 dollari al giorno al club francese del PSG. Cioè con i soldi di oggi il capitano argentino avrebbe potuto pagare l’incentivo ai polacchi con quello che guadagna in un giorno o in poche ore un top player oggi.

La confessione di Quique Wolff ha suscitato polemiche ed è persino sorprendente nel Ventunesimo secolo. Dialogando con i media dell’epoca, diversi protagonisti affermarono con voci fuori dal campo che quella fu “una decisione presa all’unanimità, con l’accordo dello staff tecnico e dei dirigenti. I mille dollari che ognuno di noi versò furono poi detratti da premi e indennità”.

Anche se i fatti sarebbero diversi: giocatori e staff tecnico avrebbero assunto l’iniziativa all’insaputa della Federcalcio argentina (AFA), verifica emersa dopo la reazione del febbraio 1983, quasi un decennio dopo, pochi giorni dopo la confessione dell’ex difensore.

Il tribunale disciplinare del calcio nazionale ha avviato un’azione d’ufficio per indagare sul caso, soprattutto perché si trattava di un evento accaduto nel bel mezzo dei Mondiali. Si parlava, poi, di una sospensione da uno a cinque anni per i componenti della Selección ancora in attività e la cui partecipazione era comprovata.

“El Grafico”, 25 giugno 1974: “Grazie, Polonia. Il miracolo di Stoccarda”

All’epoca si disse che le persone coinvolte, al di là delle parole di Wolff, avrebbero potuto essere Ubaldo Fillol, il sostituto portiere Daniel Carnevali, Rubén Ayala, Miguel Brindisi, Carlos Babington, Houseman e persino lo stesso Kempes. El Matador, però, arrivò al bivio delle accuse una volta rivelata la confessione di Wolff.

“Non ho corrotto nessuno”, espresse categoricamente Kempes, nel pieno della sua carriera a Valencia, in dialogo con Guillermo Blanco, ex giornalista di El Grafico, che pubblicò quell’intervista nel febbraio 1983, prima di diventare capo stampa di Diego Maradona, nella rivista Match, giornale sportivo di Valencia, Alicante e Castellón.

Interrogato, l’attaccante ha ampliato le sue posizioni: “Guarda, è successo tanti anni fa. Ero un bambino, ero il più giovane della rosa. In quel momento avevo chiaro che la mia unica ambizione nel calcio era andare avanti in tutto. Non ho mai incoraggiare qualcuno né a vincere né a perdere”.

Enrique “Quique” Wolff (a sinistra) e Mario Kempes

Inoltre, più nel dettaglio, ha smentito che vi sia stata una riscossione: “Nessuno mi ha chiesto nulla. Mario Kempes non ha corrotto nessuno. Se me lo avessero chiesto non avrei accettato, perché io non sono amico di queste cose, credo di essere stato chiaro, perdonatemi, ma non ho altro da dire sull’argomento”.

Nel contesto delle ripercussioni e delle dichiarazioni incrociate, Profumo è stato un altro dei protagonisti che ha negato quell’evento, anche se ci sono stati casi dall’altra parte della storia. Alle smentite si aggiunge Zinuda, libero della Polonia: “Wolff è un pazzo. La Polonia ha schierato la squadra migliore per non correre rischi”. La domanda sorge spontanea: rischi di cosa, visto che la Polonia avevagià ottenuto la qualificazione?

Decenni dopo, molto vicino a questi tempi, il difensore Wladyslaw Żmuda rivelò episodi del complotto fino ad allora sconosciuti. Nella sua biografia, intitolata “E farai il calciatore“, ha fatto le sue confessioni personali al riguardo. La più incredibile, ad esempio, è quella di una presunta controproposta dell’Italia… in tempo reale.

L’esauriente posizione di Kempes, in un’intervista dell’epoca

“Gli italiani erano sicuri di vincere ma, dopo il primo tempo, eravamo in vantaggio per 2-0 e la qualificazione stava scivolando via. All’intervallo siamo andati negli spogliatoi e abbiamo visto un uomo che ci aspettava con una valigetta piena di soldi… nel bel mezzo di una partita dei Mondiali!”, ha rivelato l’ex difensore, che in Italia vestì le maglie di Verona e Cremonese. Gli Azzurri non sapevano cosa fare, soprattutto perché non si aspettavano di perdere con la squadra che avevano, composta da personaggi del calibro di Giorgio Chinaglia, Fabio Capello, Giacinto Facchetti, Tarciso Burgnich, Gigi Riva e Sandro Mazzola.

La qualificazione alla seconda fase, insomma, ha prolungato di poco l’agonia. L’Argentina subì il potere dell’ Arancia Meccanica, perse contro il Brasile e pareggiò a malapena con l’estinta Germania Democratica. Ma la trama nascosta incornicia l’ultimo capitolo di un ciclo segnato dal disordine e lascia spazio alla nuova era: Menotti e la gloria e il rispetto indelebile della Nazionale argentina in ogni angolo del pianeta.

Mario Bocchio

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