Il mondo dei soprannomi nel calcio è strano. Per ogni Reds, Blues e United c‘è un Blue Brazil, Chairboys e Shrimpers. Il soprannome del Sunderland è Black Cats, Gatti Neri. Così è sempre stata conosciuta la squadra di Tyne and Wear, ma l’appellativo ufficiale risale solo al 1997. Prima di allora, erano chiamati Rokerites, dal nome del loro famoso vecchio campo di Roker Park, poi il trasferimento allo Stadium of Light ha cambiato le carte in tavola.
Ma i legami tra la città di Sunderland, la squadra di calcio e i gatti neri non erano una novità, anzi risalgono ai primi giorni della storia del club. Ci viene in mente la leggenda di Joshua Dunn, che si offrì volontario per il Sunderland Loyal Volunteer, accompagnato da un gatto nero, portò una delle batterie di cannoni sul fiume Wear (John Paul Jones Battery) a diventare nota come Black Cat Battery. Quel nome è stato poi associato alla neonata squadra di calcio e dopo aver adottato una maglia a strisce bianche e rosse, il primo stemma del Sunderland presentava un gatto nero, insieme a una nave, un pallone da calcio e allo stemma della città.
Poi un gatto nero ha fatto del Roker Park la sua casa negli anni ’60, ma c’è anche la storia del tifoso del Sunderland Billy Morris che ha detto di aver nascosto un gatto nero sotto il cappotto per la finale della FA Cup del 1937.
Il Sunderland ha battuto il Preston North End 3-1 quel giorno, grazie ai gol di Bobby Gurney, Raich Carter e Eddie Burbanks. Quando il Roker Park aprì nel 1898, le estremità che alla fine divennero note come Roker End e Fulwell End erano originariamente chiamate South e North End. Dalla mia prima partita nel 1967 il Roker End è stato il mio posto fisso, l’ho sempre percepito come la mia casa spirituale.
Avevo otto anni quando sono diventato un Roker Ender. Sono andato con mio padre. Rimase con me mentre facevo la fila al cancello dei ragazzi, inculcandomi che una volta che avessi pagato i miei soldi e avessi attraversato un tornello di Roker End per la prima volta non dovevo assolutamente andare da nessuna parte se non aspettare dall’altra parte del tornello il suo arrivo.
Poi mi ha portato nel settore dei ragazzi, recintato, e mi ha detto di entrare, girare a destra. Ancora una volta mio padre dovette correre via. Ha dovuto salire i numerosi gradini di cemento fino al terrazzamento e poi precipitarsi giù dall’altra parte verso il settore dove mi trovavo.
Da lì potevamo guardare la partita insieme, una staccionata ci separava con mio padre capace di infilare il braccio attraverso la ringhiera e aggrapparsi alla mia spalla in mezzo a una folla di 44.000 persone. Il Sunderland stava affrontando il Peterborough in coppa ed era in vantaggio di 6-1 quando a un quarto d’ora dalla fine i biancorossi hanno ottenuto un rigore al Roker End. Supplicai mio padre di lasciarmi andare a guardare il rigore da dietro la rete, mi ha lasciato andare con la rigorosa intesa che non appena il tiro dal dischetto fosse stato tirato, sarei tornato subito indietro.
Sono andato dietro la porta proprio mentre Slim Jim Baxter metteva la palla sul dischetto. Mentre si alzava, guardò il portiere e indicò dove avrebbe piazzato il suo tiro. Il portiere si è tuffato dalla parte sbagliata quando Baxter ha fatto rotolare la palla esattamente nel punto in cui gli aveva detto che l’avrebbe messa.
Mentre il portiere Tony Millington si trascinava in piedi, Baxter era ancora fermo accanto al dischetto del rigore e lo guardava. Quando i loro sguardi si incontrarono, Slim allargò le braccia come per dire: “Ti ho dato una possibilità”.
Per me è stato il primo di migliaia di ricordi di Roker Ender. Ero un devoto. Non ho mai avuto un tetto anche se il Fulwell End era stato coperto prima della Coppa del Mondo tenutasi l’estate precedente. Chiunque avesse un minimo di buon senso andava al Fulwell End quando pioveva a dirotto, ma essendo io un abitudinario andavo comunque al Roker. Anche ora posso dire in quali partite pioveva a dirotto. Lo so perché nella mia raccolta di programmi le pagine che sono fragili sono così perché si sono asciugate davanti al fuoco quando sono tornato a casa.
Mia mamma è stata anche lei una supporter regolare negli anni ’50, mi ha dato due consigli. Il primo: non dovevo mai stare appoggiato a una barriera, di schiacciamento perché quando la folla si alzava mi sarei fatto schiacciare le palline.
In secondo luogo mi ha detto come stimare la folla, informandomi che se potevo vedere le persone dalla vita in su ce n’erano 25.000, mentre e se potevo vedere solo le teste ce n’erano 50.000.
Aveva ragione su entrambi i fronti, non mi sono mai appoggiato a una barriera di schiacciamento. Nel 1971 me ne andavo senza più mio padre ed ero abbastanza alto da stare in fondo al Roker End.
C’erano dei numeri in fondo ai terrazzamenti e il mio posto era sotto il 13 che era proprio al centro, dietro la porta ma in alto con una visuale del campo che permetteva di vedere lo schema di gioco. La partita più bella alla quale ho assistito dal Roker End è stata quella votata come la più emozionante mai giocata sul campo fino a quando è stato chiuso nel 1997.
Fu il replay del quinto turno della FA Cup del 1973 con il Manchester City. Potevi vedere solo parti di teste quella notte! Ero di nuovo con mio padre, mi ero accordato per incontrarlo fuori dopo la partita se ci fossimo separati.
Ovviamente non c’erano ancora i cellulari. Sono abbastanza sicuro che quando Billy Hughes ha sigillato il match con il terzo gol al Roker End, molti testicoli sarebbero stati schiacciati se anche le loro mamme non avesse detto loro di non appoggiarsi a una barriera.
Sono finito a ben venti metri da mio padre ma non sono riuscito a tornare da lui perché la folla era così pressante. Essere alla partita con un compagno o un parente era un modo per unire le persone attraverso ricordi condivisi. Il nuovo Roker End è un mondo lontano da quello vecchio, ma le persone sono essenzialmente le stesse, solo una generazione diversa. Senza dubbio non sarò l’unico a vedere il nuovo Roker End e a dedicare un pensiero alle persone che erano solite stare in quello vecchio.
Le parole liberamente impostate in prima persona sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti.
Mario Bocchio