Un fratello, Luciano, che ha giocato come lui al calcio, un figlio – Riccardo – direttore sportivo, una figlia indiana adottata da piccola e una carriera ricca quanto breve che lo ha portato a vincere al Nord come al Sud. Albertino Bigon – come lo fece registrare all’anagrafe una zia a Padova, è nato nel giorno di Van Basten, il 31 ottobre, e nell’anno di Crujiff, il 1947 e pur non raggiungendo la gloria di quei due le sue soddisfazioni se l’è tolte. I gol li ha fatti da subito, a Padova, Spal e Foggia (dopo non essere stato capito a Napoli ma lì si prenderà una rivincita da tecnico).
Il boom arriva al Milan dove dal ‘71 all’80 vince uno scudetto, una Coppa delle Coppe e tre Coppe Italia: nasce numero 9 ma in rossonero diventa un numero 8 alla Mazzola, con licenza di segnare. Aiuta Rivera nella regia e nei gol, correndo più dell’Abatino ma alla Gazzetta confesserà: “Una partita che vorrei cancellare? Quella del 1973 a Verona, quando perdemmo lo scudetto della stella. Scappai a piangere di nascosto nella doccia”. E ancora: “Una che vorrei rigiocare? Quella del 1979, contro il Bologna, quando finalmente conquistammo la stella. La vorrei rigiocare anche perchè allora non giocai per infortunio. Una beffa perché in quella stagione, per i problemi di Rivera, ero io il capitano. Fu la seconda e ultima volta in cui piansi per il calcio, ma allora di gioia”. Spende gli ultimi spiccioli di carriera da giocatore alla Lazio e al Vicenza poi diventa allenatore e il suo scudetto lo vincerà anche a Napoli. Una gioia ma anche un po’ un limite (“tutti mi ricordano per aver vinto lo scudetto con Maradona e nessuno ricorda gli anni ruggenti al Cesena”). Già perché è a Cesena che Bigon diventa allenatore vero, lo chiamavano ragioniere perché se un giorno faceva 48’ di allenamento lui segnava tutto sul quadernone e il giorno dopo ne faceva 52’, cercando di personalizzare quanto più possibile il lavoro dei suoi giocatori. Modelli come tecnico furono Rocco e Liedholm.
Vincere a Napoli però resta la gioia più importante. “Ricordi bellissimi, tanto è vero che a Napoli mi sento a casa. Partimmo subito forte vincendo le prime due partite senza Maradona. Avevo una grande squadra perchè oltre a Maradona c’erano Ferrara, Francini, Alemao, De Napoli, Crippa, Carnevale, Careca, Mauro e il giovane Zola che mi da’ ancora del lei e ripete che ha imparato di più in due anni con me che nel resto della sua carriera. Che rapporto avevo con Maradona? Buono. Quando c’è stata la festa di Ferrara mi ha abbracciato”. Il secondo anno al Napoli coincide col declino e la squalifica di Maradona, Bigon lascia Napoli e anche l’Italia.
Va in Svizzera, per vincere, cinquantenne, un altro scudetto e la coppa nazionale con il piccolo Sion e la “Panchina d’oro Speciale” assegnata dagli allenatori italiani al miglior collega all’estero. Poi di nuovo via, destinazione Pireo, dove non riesce a compiere l’impresa di essere il primo italiano a vincere in tre diversi campionati europei (ci riuscirà Trapattoni nel 2005). Ad aprile 2000, un esonero con l’Olympiakos primo in classifica glielo impedisce. Nel febbraio 2007 torna alla guida del Sion ma viene esonerato pochi mesi dopo. Nel 2008 viene nominato nuovo tecnico degli sloveni del Lubiana ma nel 2009, a 62 anni, decide di ritirarsi e lascia il mondo del calcio. Fa il nonno e cura il suo bed and breakfast, a Luvigliano di Torreglia, sui colli Euganei, in provincia di Padova, dove ha adattato una casa colonica comprata con i primi soldi guadagnati al Milan.