Occhiali sulla punta del nasino, lunghi capelli legati in crocchia discreta, seduta al tavolo della cucina, la signora Arcangela agucchia con eleganza antica. Ogni poco, ripiomba nel presente e s’amareggia: “Eh, ho lavorato per cinquantasei anni come stilista nella più grande fabbrica tessile del Venezuela. Ma sapete quanti sono cinquantasei anni? – e, per dare l’idea, mulina le dita affusolate nell’aria – E adesso prendo di pensione 4 dollari e 46 centesimi. E che ci faccio? Certe volte, manco li vado a ritirare..”.
Poi, però, si rianima d’improvviso: “Eh, ma quando si vedono le partite qua, in questa casa, non si capisce più niente. Le urla arrivano fino in piazza” e agita le mani. I decibel grondanti dignità e purezza sono di Vito Abbondanza: sulle scapole 83 primavere, ultimamente sostituite da troppi autunni, viso tondo impolverato da una barba stanca, ci racconta una storia meravigliosa e dolente, in una lingua persin struggente, miscela essendo di ispanico e vernacolo nostro.
“Giocavo da ala sinistra nel Bitonto con Pinuccio De Michele, Mariolino Licinio, Tonino Di Gioia e i fratelli Labianca, fortissimi tutti. Mi trasferii a Palo del Colle, mi incantò una foto di una giovane sarta palese che viveva e lavorava a Caracas e volai lì per sposarmela. Mi misi a fare il piastrellista e il muratore per conto della Shell costruendo in ogni angolo del Paese, nel contempo, il leggendario portiere italo-venezuelano Vito Fasano, era nato a Bari e parlavamo in dialetto, insomma mi convinse ad entrare nel Deportivo Italia, giocavamo in serie A, col brasiliano Fantoni in panchina noi ‘azules’ abbiamo pure vinto un paio di scudetti. Finita la carriera di calciatore, siccome amavo il pallone, sono entrato in Federazione come arbitro. Mica è facile governare una partita. Ho fatto tutta la trafila, dai tornei regionali sino alla massima serie, e, infine, come giacchetta nera della Fifa, ho arbitrato in manifestazioni internazionali, specie il famoso Mundialito altrimenti chiamato ‘Copa Simon Bolivar’, durante il quale ho ‘fischiato’ tanti campioni, compresi Maradona e Pelé. A proposito, per signorilità e nobiltà di gesti, oltre che per altezza tecnica, il più grande è stato O Rey, anche se, lo scriva, lo scriva, con Pasquale Figliuolo e Gino Nocese lo abbiamo espulso, in un match non mi ricordo più con chi”.
Ma del Var cosa pensa? “Che è un’assurdità – si riaccende -, gli arbitri di oggi non hanno più personalità, mancano di determinazione al momento di decidere, e quelle divise così colorate?”. Sulle mensole, tracce dolceamare di nostalgia, sulle pareti cimeli di un passato lucente. Un figlio perduto troppo presto che è indelebile ruga sul cuore, un nipote che allena a Miami, una figlia ad Hong Kong, un’altra che è rimasta in Sudamerica a gestire un patrimonio immenso, che frutta poche decine di dollari ormai. “La dittatura e la maledetta dollarizzazione del mercato ci ha fatti diventare tutti i poveri, guardi che ville che abbiamo – e sfoglia triste album di foto strabilianti -, ma non valgono più niente”. “Tra qualche giorno, grazie a mio genero che è pilota d’aereo, torneremo laggiù, perché l’inverno proprio non lo sopportiamo. Lì fa caldo dodici mesi l’anno”, riconosce.
Alcuni ricordi della carriera arbitrale di Abbondanza
E se gli fai notare che è incredibile come, dopo decenni di fatica e sudore, vivano di poco: “Tiriamo avanti con la grazia di Dio, alla fine la ricchezza non serve a niente, basta un nonnulla per farla sparire”, quasi sospira rassegnato, all’unisono con la moglie, mentre prepara con la moka un caffè “rigorosamente lungo, come piace a noi, in Venezuela”, e sorride appena.
Apulo Scriba