Il 28 maggio 1922 la Novese vinceva lo Scudetto Figc. Di quegli eroi, l’ultimo ad andarsene fu Carlo Gambarotta, fra i pochi novesi in campo quel giorno. Lo intervistò Gianni Mura in un reportage più ampio sul calcio del Quadrilatero. L’articolo è stato pubblicato da La Repubblica il 30 gennaio 1986. Lo riportiamo per un triplo omaggio: alla Novese, a Carletto Gambarotta e a uno fra i più grandi giornalisti italiani di sempre.
“(…) Ma (la Novese, NdR) esisteva, e vinceva lo scudetto separato (valido per la federazione) del ‘ 22: frattura fra grandi e piccole società sul progetto Pozzo di riforma della formula, fra le piccole vince la Novese, fra le grandi la Pro Vercelli. E’ ancora vivo Natale Beretta, già arbitro internazionale, fra i fondatori della Novese. Tra i giocatori, Carletto Gambarotta, unico enfant du pays della Novese campione d’ Italia. Lo spareggio con la Sampierdarenese a Cremona fu vinto 2-1 con un suo gol nei supplementari. Ha 85 anni, è simpatico e vispo, mentre parliamo nel salotto buono, fuma tre sigarette e beve una discreta dose di whisky, sollevandomi il morale. ‘Caro lei, tutti eran professionisti, mica solo Zizì. Stritzel, portiere, triestino; Vercelli, numero 2, veniva dall’ Us Torinese, Grippi, 3, palermitano, ma militare a Trieste col segretario Beretta, subito agganciato, Cevenini I e III, numeri 4 e 9, più Asti, 11, dall’ Ambrosiana, Bertucci 5 dall’ Andrea Doria, Toselli 6 dalla Rivarolese, Neri 8 e Santamaria 10 anche loro genovesi. Di Novi, solo io, l’ unico a lavorare con mio papà, avevamo un’ officina meccanica, e un negozio di bilance.
Allenamento solo il giovedì, gli altri figuravano come impiegati al cotonificio Colombo, il cui direttore amministrativo era Ferretti, in pratica ammazzavano il tempo. Gli allenamenti li dirigeva Santamaria: molta ginnastica, corda, dribbling fra pigne di mattoni per affinare il piede, molte prove sull’ uno-due, che era il modo migliore di andare in porta. Qui prima della guerra allenava Fresia, un modenese, uno come oggi Platini. Ho giocato nell’ Alessandria, mi voleva poi la Reggiana ma mio papà non era d’ ccordo, ma lei mi chiede come si giocava. Più o meno alla velocità di oggi, ma applicando il metodo. Si tirava di più in porta. Dunque, la partita di Cremona. Io ero un tipo alla Fanna o alla Laudrup, veloce, stringevo e avevo un bel tiro. Però giocavo anche laterale, cioè terzino, una volta ho marcato Levratto senza mai farlo tirare in porta. A Cremona ha segnato prima l’Andrea Doria con Mura, ha pareggiato Neri, poi c’ è stato l’episodio che ha incendiato la gente. I nostri tifosi erano una trentina, venuti con poche macchine, i loro 1600 con un treno speciale.
Passando vicino al nostro Vercelli, il terzino Grassi, un veneto, gli ha detto: va in mona ti e to mare. Vercelli era un bravo ragazzo, ma guai a toccargli la madre. Gli ha sparato un cazzotto al mento. Grassi è andato giù picchiando la testa contro il palo, svenuto, sembrava morto, è stato fuori mezzora, l’arbitro Agostini di Firenze non ha visto niente. Ho segnato il 2-1 all’ 8′ del secondo tempo supplementare: da Santamaria a Asti, sulla sinistra, cross, il terzino loro è scavalcato, io accompagno la palla col petto e all’ altezza del penalty, come esce il portiere, trovo la lucidità per metterla dentro di esterno destro’.
E poi? ‘Poi è successo il finimondo, il prefetto ha chiamato le guardie regie, fuori dagli spogliatoi ho preso un calcio nel sedere che mi ha sollevato da terra, Santamaria ha beccato una bottiglia di birra nello stomaco, volavano sassi grossi così, all’albergo ci hanno scortato uomini armati. Siamo rientrati a Novi alle due di notte e ci hanno raccontato dell’attacco al treno’.
Sui libri non ho letto niente: com’ è andata? ‘Che quelli in macchina sono tornati a Novi e hanno detto che i genovesi ci volevano linciare, così i novesi hanno fatto un’imboscata al treno dei genovesi, appena c’ è la salita e rallenta, al ponte dello Zerbo. Sassate e revolverate, e pim e pum di qua e di là, nel buio. Però non è morto nessuno’. Mi vede un po’ stranito: ‘Cosa credeva? Gliel’ ho detto, è cambiato poco in campo e fuori. Dappertutto. Giocare a Pisa e Livorno, era duro. Cazzotti, ombrellate, sassi: sempre stati. Però una volta nessuno usava il coltello, nessuno'”.
Gianni Mura
Le foto sono tratte da “L’Arduo Cimento” di Marcello Ghiglione