Era il terzino metodista della nazionale due volte campione del Mondo con Vittorio Pozzo. Pur essendo molto vicino alla famiglia Mussolini, Eraldo Monzeglio da Vignale Monferrato, in Piemonte, giocò i due Mondiali per meriti acquisiti sul campo. Si narra che fu lui a salvare Bernardini, incorso nelle ire del Duce perché, dopo aver rischiato di essere investito dall’auto di questi, aveva protestato troppo vivacemente. Chiusa la carriera da giocatore (indossò le maglie di Casale, Bologna e Roma), rimase a Roma come consigliere tecnico e contribuì a formare la squadra che vinse lo scudetto nel 1942. Dopo la guerra, divenne allenatore di Juventus, Napoli e Sampdoria; nel 1959-‘60 vinse il Seminatore d’oro come miglior tecnico della stagione.
Monzeglio è un nome che ricorre spesso nei testi dedicati al Mussolini privato. Era infatti un intimo di casa Mussolini e lo fu anche nel periodo della Repubblica Sociale. Eraldo era amico di Vittorio e Bruno (due figli del Duce) ma anche e soprattutto maestro di tennis della famiglia. Un’amicizia che non sappiamo bene quando nacque (alcuni riportano sulle spiagge di Riccione), ma che sicuramente è da collegarsi alla fama calcistica del Monzeglio, nota anche in casa Mussolini. Di questo aspetto tratta l’articolo di Giovanna Giannini intitolato “Eraldo Monzeglio, il tennista di Mussolini”, che pubblichiamo di seguito.
Monzeglio, in una rara intervista, racconta un aneddoto risalente al 1935, anno probabilmente in cui maturò l’amicizia personale con la famiglia di Mussolini. In quell’anno Monzeglio prima di passare dal Bologna alla Roma chiamò casa del Duce:
“Mi è stato detto che Bruno e Vittorio Mussolini erano scontenti che andassi alla Roma e non alla Lazio […] Mi attaccai al telefono, chiamai il Ministero degli Interni, mi diede Villa Torlonia:
– Pronto chi parla?
– Mussolini
– Ma no è impossibile
– Mussolini, si. Voi chi siete?
– Monzeglio
– Ah! Cosa c’è?
– […] Volevo sapere solamente se Bruno e Vittorio erano scontenti che io andassi alla Roma e non alla Lazio
– Ne parlavano proprio a tavola, aspetta che te li chiamo
La telefonata si concluse con i figli di Mussolini che dissero:
Basta che tu venga a Roma”
Siamo sempre nel 1935. Fulvio Bernardini, giocatore della Roma e compagno di squadra di Monzeglio, festeggia il suo compleanno. Quel giorno però, al volante della sua auto, tampona l’auto di Benito Mussolini. Il calciatore non si ferma, ma il Duce lo riconosce e gli urla dal finestrino: “Sei un pazzo criminale”.
Quella sera, mentre Bernardini è a tavola con la sua famiglia, due poliziotti in borghese lo raggiungono a casa per ritirargli la patente. Per riaverla Bernardini si affida proprio a Eraldo Monzeglio. Monzeglio organizzò un doppio a tennis con Mussolini. Si racconta che i due lo lasciarono volutamente vincere in modo da firmare la pace e riavere la patente.
Il tennis era uno degli sport praticati da Mussolini a Villa Torlonia ed Eraldo, oltre al calcio, aveva anche la passione per la racchetta. Era soprannominato il tennista del Duce, in quanto suo maestro personale di tennis, e frequentava spesso Villa Torlonia. Nei diari di Claretta Petacci, amante di Mussolini fino all’epilogo di Salò, la donna racconta di un Mussolini a volte perplesso e meravigliato delle sue vittorie a tennis contro Monzeglio:
“Questo ragazzo non riesce a vincermi una partita, è inutile… Corro quanto lui, se non di più”
Circolava anche una barzelletta sul Duce tennista: Monzeglio, maestro del Duce, dopo le prime lezioni si accorge che l’allievo si ostina a usare solo il colpo diritto e viaggia in orizzontale vicino alla linea di fondo con scarso profitto. In pausa di gioco, chiede allora al capo del fascismo: Duce, credo che sarebbe ora che iniziaste a colpire la pallina anche con la mano sinistra, usando il rovescio. E Mussolini: E noi tireremo diritto!
Nel 1941-‘42, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, fu assunto come direttore tecnico della Roma (che avrebbe vinto quell’anno il suo primo scudetto). Nel 1942 partì volontario per la campagna di Russia. La conferma della sua partenza per il fronte russo proviene da Annamaria Mussolini (ultimogenita del Duce) che in una nota del suo diario del 1942 cita la partenza di Monzeglio per il fronte. Altra conferma proviene dalla pagina Facebook Armir, in cui è possibile vedere una foto di un gruppo di soldati in cui si evidenzia la presenza del calciatore. Dopo il ritorno in patria e lo sbarco di Anzio si trasferì a Villa Feltrinelli, sul lago di Garda, dove alloggiava Mussolini. A Villa Feltrinelli, oltre a riprendere gli incontri di tennis con Mussolini, era diventato uno degli uomini di fiducia di Donna Rachele. Uno dei suoi compiti era andare a Verona per procurarsi dell’olio e del burro.
Di lui è stato scritto che non era fascista, ma neanche antifascista. Sicuramente riteneva suo dovere ripagare, nell’ora della sconfitta, la fiducia riposta in lui negli anni del trionfo. Dopo la Liberazione rischiò la fucilazione. Prevalse alla fine il buonsenso. Monzeglio non aveva mai fatto del male a nessuno e poi era pur sempre un eroe del calcio nazionale. L’amicizia con la famiglia Mussolini proseguì anche nel dopoguerra, ma non volle mai raccontare ai rotocalchi o scrivere memoriali sui suoi ricordi a Villa Torlonia.
Sfogliando infatti i giornali del dopoguerra i riferimenti alla sua persona sono puramente calcistici (fu allenatore) e rari gli accenni al suo passato extra sportivo. In questi articoli si ripetono le solite informazioni: tennista del Duce, amico dei figli di Mussolini e tuttofare di Donna Rachele a Salò. Difficile trovare altro. Almeno fino alla pubblicazione, nel 2014, del libro dello storico Arrigo Petacco “La storia ci ha mentito”. Petacco racconta un episodio legato al Monzeglio che nessuno fino a quel momento aveva menzionato.
Gennaio 1944, Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e marito della figlia Edda, è condannato a morte dopo aver votato contro il suocero nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo (25 luglio 1943), riunione che decretò la fine del regime mussoliniano. Edda non si arrese alla condanna a morte del marito. Minacciò, urlò, implorò e ricattò il padre con i famosi Diari scritti del marito quando era il Ministro degli Esteri. Ma tutto è inutile. Tramite Frau Beetz, una spia tedesca che avrebbe dovuto carpire a Galeazzo Ciano informazioni preziose sul nascondiglio dei diari ma che alla fine si schierò dalla parte del prigioniero, Edda inviò al marito del cianuro. Il veleno però non fece effetto perchè era stato sostituito con una sostanza innocua. Edda pensò ad un tradimento della spia tedesca. In realtà, e qui entra in scena Monzeglio, le cose stavano in modo diverso:
“Cos’era accaduto? Edda pensò di essere stata ingannata […] Frau Beetz aveva sostituito il veleno con dell’acqua perchè, all’insaputa di Edda, era coinvolta in un piano, pare suggerito dallo stesso Mussolini, per liberare il prigioniero. […] Frau Beetz, d’accordo con un colonnello delle SS […] e di un ufficiale italiano di nome Piero (Edda ignorava il suo vero nome, ma lo incontrerà personalmente nel dopoguerra ed egli le confermerà la rivelazione) avrebbe provveduto a mettere in salvo il morituro”.
Piero era Eraldo Monzeglio. Il piano fallì e Galeazzo Ciano fu fucilato a Verona l’11 gennaio del 1944. Silvio Bertoldi, autore di numerosi testi sul fascismo, in una intervista del 2015 concessa al Corriere della Sera racconta:
“Molti hanno visto pochissimo di quel periodo e hanno raccontato tanto, lui che ha seguito tutto nei minimi dettagli praticamente non raccontò niente sino alla morte, avvenuta nel 1981”. Nel dopoguerra Monzeglio, con Giuseppe Meazza e Giovanni Ferrari, ebbe il titolo di commendatore (1971). Nel 2015, a Casale Monferrato, gli venne dedicata una via, a ricordo del campione e dell’uomo.