Una volta sulle figurine di alcuni calciatori invece del ruolo specifico c’era scritta una parola bellissima, almeno per l’epoca: jolly. Sostanzialmente uno che “dove lo mettevi stava”, in difesa o a centrocampo se non addirittura in attacco. Portiere naturalmente no, ma avere un jolly in squadra era indispensabile. Uno come Giorgio Morini, che ha fatto la fortuna di Roma e Milan, ad esempio, giocando di fatto ovunque.
Carrarese di nascita, la sua formazione calcistica avviene con l’Inter. Con la maglia nerazzurra però – come racconta Alessandro Ruta – non arriverà mai a giocare in Serie A. Cosa che invece succede col Varese, dove Morini milita dal 1968 al 1972: quattro stagioni di cui tre nella massima categoria. Una squadra molto giovane, forse inesperta per i palcoscenici più importanti, ma che ha in panchina l’allenatore che più di tutti crederà in Morini durante la sua carriera: Nils Liedholm.
Giorgio è un mediano che sembra avere un serbatoio di benzina infinito, ma se deve giocare all’ala non si tira indietro. Quando il Varese retrocede su di lui piomba la Roma, che anticipa altri club italiani interessati alle sue prestazioni. Se Cordova e De Sisti saranno le menti del centrocampo giallorosso, mentre cresce Di Bartolomei, Morini è il braccio, il recuperatore di palloni. Anche qua, un quadriennio, in cui è fondamentale, come a Varese, l’arrivo in panchina di Nils Liedholm, che sostituisce Scopigno dopo sei giornate del campionato 1973-‘74. Da titolare a semi-intoccabile, in una squadra che si arrabatta come può, il toscano è tra i più utilizzati dal tecnico svedese.
Di lui si accorge anche la nazionale italiana, che sta tentando una non facile ricostruzione dopo il disastroso Mondiale in Germania Ovest del 1974. Fulvio Bernardini comincia una lunghissima selezione tra i giovani e i meno giovani, alla ricerca dei migliori talenti ruolo per ruolo, anche a costo di qualche pesante sconfitta. Morini gioca tre partite appena in maglia azzurra, nel 1975, due delle quali valide per la qualificazione (fallita) alla fase finale dell’Europeo.
Quello è il miglior periodo per Giorgio alla Roma, che in quello stesso anno chiude sorprendentemente al terzo posto in campionato, trascinata dai gol di Pierino Prati, che rimarrà sempre molto legato a Morini. Quando l’attaccante morirà, nel 2020, il ricordo del compagno di squadra sarà commosso: “Ho perso un amico, un pezzo di vita di un calcio romantico pieno di storie umane, non dovuto solo a interessi economici e marketing televisivo”.
Nel 1976 Morini ha 29 anni e la Roma decide che è arrivato il momento di cederlo. Trova un accordo col Catanzaro per oltre 300 milioni di lire, Morini si impunta e ci prova il Napoli, ma alla fine si fa avanti il Milan, che lo riporta “al nord” al termine di una trattativa contorta durata una settimana. Stagione complessa comunque, quella, per i rossoneri, che iniziano con Marchioro in panchina prima di affidarsi a un Nereo Rocco richiamato alla bisogna come ultimo salvagente. E se in campionato il Milan va piuttosto male, rischiando addirittura la retrocessione, arriva l’exploit della Coppa Italia, vinta battendo 2-0 l’Inter in una finale dove Morini deve uscire per un problema fisico dopo un quarto d’ora. Stagione in cui segna ben 7 gol, suo record storico, compreso uno in Coppa Uefa all’Akademik Sofia e quello del raddoppio nel tesissimo 3-2 del Milan al Catanzaro, decisivo per la salvezza.
Non sarà quella Coppa Italia l’unico trofeo vinto da Morini in rossonero, visto che nel 1979 arriverà la conquista dello scudetto della Stella, il decimo nella storia del Diavolo. Giorgio ormai è il primo cambio in difesa o a centrocampo, le gerarchie sono cambiate e anche la carta d’identità comincia a farsi sentire. Tuttavia quando è chiamato in causa dall’allenatore si fa sempre trovare pronto. E chi è questo allenatore? Naturalmente Nils Liedholm, che per la terza volta Morini trova sul suo cammino.
La carriera del jolly di Carrara ha un brusco stop il 23 marzo del 1980, quando dopo Milan-Torino viene arrestato dalla Guardia di Finanza assieme al compagno di squadra Albertosi e al presidente Colombo: l’accusa, aver contribuito ad aggiustare alcune partite di Serie A.
Nello specifico, aver portato 20 milioni di lire avvolti in carta di giornale ai due “faccendieri” Trinca e Cruciani, grandi accusatori dello scandalo “Totonero”, per tappare loro la bocca. Squalificato per 10 mesi, non giocherà mai più in A, ripartendo invece dalle categorie inferiori (Pro Patria) e dal campionato svizzero (Chiasso). Al Milan tornerà come assistente di Óscar Tabárez nella disastrosa stagione 1996-‘97 e in seguito del suo ex compagno di squadra Fabio Capello.
Fonte Guerin Sportivo