Il calcio è sempre stato uno dei campi in cui ha trovato maggior applicazione un noto concetto filosofico, quello dei corsi e ricorsi storici. La storia si ripete e soprattutto davanti ad un pallone che rotola è facile trovarsi davanti a situazioni già viste o molto simili ad altre che si sono verificate nel passato più o meno recente. È quello che devono aver pensato i tifosi del Toro, soprattutto quelli che sul finire degli anni ‘80 avevano già abbondantemente superato gli anta, quando nell’estate del 1989 furono costretti ad assistere alla seconda retrocessione in serie B nella più che ottuagenaria storia del club, a trent’anni esatti di distanza dalla prima, maturata a sua volta dieci anni dopo la Tragedia di Superga.
Quando si retrocede, si osserverà, il film in fondo è sempre lo stesso: mercato sbagliato, cambi di allenatori infruttuosi, torti arbitrali e così via. Ma i punti di contatto tra la prima e la seconda caduta in B dei granata sono davvero tanti. Nel 1989 come quarant’anni prima la retrocessione arrivò come naturale epilogo di lunghe stagioni di sofferenza: negli anni ‘50 c’era stato da assorbire il post-Superga, negli anni ‘80 invece solo il naturale ridimensionamento della grande squadra che aveva percorso tutti il decennio precedente. Il disimpegno di Pianelli, la tormentata presidenza di Sergio Rossi fino all’avvento di Mario Gerbi e del suo fedele ad Michele De Finis. Il lento ma inesorabile smantellamento della squadra e dopo qualche salvezza in extremis ed il bel campionato 1987-’88 con annessa vittoria in Coppa Italia svanita ai supplementari contro la Sampdoria, ecco arrivare il tracollo.
Durante la stagione della retrocessione, comunque, era arrivato il cambio della guardia alla presidenza: Gianmauro Borsano aveva rilevato Gerbi non riuscendo ad evitare la retrocessione ma promettendo immediato riscatto. Imprenditore e soprattutto grande tifoso del Toro, Borsano aveva in mente grandi cose per far tornare ad esultare i sostenitori granata: immediata risalita in A, grandi investimenti e sogni europei. Promesse mantenute ma a che prezzo: non è questa la sede per dilungarci su come sia finita la parabola personale di Borsano, basti qui ricordare che proprio mentre il suo Toro volava verso la A, nel 1990 falliva l’Ipifim, la finanziaria ceduta tra l’87 e l’88 da Borsano a Marco Sobrito e poi sommersa dai debiti, sinistro presagio dei futuri guai giudiziari del presidente. Come sommerso dai debiti finirà anche il Toro, quindici anni dopo: e tutto iniziò proprio con Borsano…
Ma almeno inizialmente – come racconta Davide Martini – le idee erano chiare: già sul finire della stagione 1988-’89 era noto a tutti che il nuovo allenatore del Toro sarebbe stato Eugenio Fascetti, mago delle promozioni. Per risalire il presidente ed il suo direttore sportivo Maurizio Casasco decidono di confermare quasi tutto il gruppo: Haris Skoro e Luis Müller sarebbero rimasti anche in B nonostante al termine del campionato li attendessero i Mondiali in Italia rispettivamente con Jugoslavia e Brasile. Fu poi richiamato dal prestito all’Ancona Gianluigi Lentini, le cui corse sulla fascia avrebbero dovuto dare freschezza al gioco granata.
Neppure in fatto di nuovi acquisti si andò per il sottile: a centrocampo giunse nientemeno che Francesco Romano, che solo tre anni prima aveva dato un contributo fondamentale per il secondo scudetto del Napoli maradoniano. Nella rosa del Toro entrarono anche Roberto Mussi, meteora nel Milan ma in predicato di diventare una colonna del Toro che verrà al pari di Roberto “Rambo” Policano. Capisaldi della squadra erano ovviamente le bandiere Cravero ed Ezio Rossi mentre per far legna a centrocampo arrivò Giorgio Enzo, prelevato proprio da quel Lecce che aveva decretato la retrocessione del Toro. Ma la vera forza dell’organico venne dai giovani del vivaio: tantissimi quelli che furono promossi in prima squadra, da chi giocò di fatto da titolare l’intera stagione come Sordo e Venturin, capaci poi di diventare cardini del Toro Europeo, fino a Fimognari, la cui carriera si rivelerà inferiore alle aspettative.
L’esordio fu uno scialbo 0-0 a Reggio Emilia: come non pensare all’identico risultato di San Benedetto del Tronto che aprì la storia del Toro in serie B trent’anni prima? Per chi ancora non crede ai parallelismi storici, ecco arrivare alla seconda giornata la prima vittoria: nel 1959 fu il 5-0 al Cagliari in cui si rivelò la stella di Giorgio Ferrini ora il 4-1 all’Ancona firmato dalla coppia gol Müller-Skoro.
Per carità, impossibile paragonare i due alla Bandiera granata ma quel successo fece capire di che pasta era fatto quel Toro che nei primi mesi di campionato confermò il trend del 1959: macchina da guerra in casa e formichina fuori, dove ci si accontenta del punticino.
Così il Toro del girone d’andata si trascina quasi interamente su questa falsa riga: saranno addirittura otto i pareggi esterni nelle altrettante prime trasferte di campionato, i granata non riusciranno a vincere neppure sui campi delle ultime in classifica, dal Como al Licata. In Sicilia anzi finisce 1-1, a Policano risponde Pasqualino Minuti con una splendida rovesciata ma si sfiora la tragedia quando i quasi 8.000 dello stadio “Liotta”, troppo assiepati, fanno precipitare una tribunetta il cui crollo provocherà un morto e una ventina di feriti. Per i gialloblù sarà comunque un giorno di festa mentre per il popolo granata quella trasferta entrerà nella storia attraverso uno slogan passato alla storia quando, pochi anni dopo, il Toro calcherà altri scenari: “Da Madrid a Licata fieri di essere granata“. In casa però non ce n’è per nessuno: otto vittorie e due pareggi al Comunale nel girone d’andata ma fu la seconda gara interna della stagione a far capire la forza della squadra. Il Pescara di Castagner, che alla vigilia doveva essere una delle più forti rivali dei ragazzi di Fascetti, viene spazzato via il 17 settembre 1989 per 7-0 grazie alle doppiette di Pacione e di Müller ed ai sigilli di Ezio Rossi, Skoro e Policano. In contropiede, di potenza, in acrobazia: il Toro quel giorno segna in tutti i modi, per chi c’era fu una giornata indimenticabile in quella che rimane a tutt’oggi la più larga vittoria ottenuta dai granata in serie B.
Per vedere il primo successo esterno bisognerà aspettare l’anno nuovo: il 28 gennaio ‘90 Ezio Rossi firma il blitz di Ancona ma intanto saranno stati superati i primi momenti difficili perchè la chiusura dell’anno solare sarà tutt’altro che felice. Alla vigilia di San Silvestro arriva la prima sconfitta stagionale: a Messina una doppietta di Igor Protti stende un Toro mai in partita che conferma il tabù per il “Celeste” dove il 23 agosto era arrivata la clamorosa eliminazione in Coppa Italia, capace di insinuare qualche dubbio sulle potenzialità del gruppo. Ma la breve pausa natalizia servirà a tutti per riprendere le forze così il 1990 si apre con un doppio 4-0 casalingo contro Monza e Reggiana alla prima di ritorno di un campionato che di fatto vede già il Toro con un piede in A.
Ma proprio mentre iniziano a diffondersi le prime voci su un possibile addio a fine stagione di Fascetti a favore di Emiliano Mondonico la squadra subisce il secondo passaggio a vuoto, a febbraio, quando arrivano addirittura due sconfitte consecutive in trasferta, ma se quella di Pescara poteva anche starci, il ko di Barletta fa drizzare le antenne a tutti: prima di progettare il futuro occorre mettere in cassaforte la promozione.
Ma Fascetti è un toscano verace, se lo pungi ti ferisci più tu di lui, così gli ultimi mesi di campionato passano con un allenatore virtualmente esonerato e visibilmente irritato. Da Barletta in poi però una cosa cambiò: fuori un mediano come Venturin e dentro in pianta stabile Gianluigi Lentini che sfrutta al meglio l’occasione facendo acuire i rimpianti di chi l’avrebbe voluto vedere anche la stagione precedente in serie A. Gigi segna sei gol pesanti nelle ultime dieci partite (splendido quello in rovesciata al Licata) e fornisce assist d’oro ma una delle vittorie-chiave è firmata, come nelle migliori favole, da un comprimario.
Foggia, 22 aprile 1990: di fronte ad un Toro lanciatissimo c’è il laboratorio delle meraviglie di Zdenek Zeman. Rambaudi-Signori-Baiano: il tridente che farà scuola nei primi anni ‘90 è al completo ma la gloria è tutta per Riccardo Fimognari, prodotto del Filadelfia che alla seconda da titolare (la prima fu la sconfitta di Messina) realizza il gol partita al 63′ al termine di una gara sofferta. È la vittoria che dà di fatto la serie A al Toro: il tempo di regolare i conti con il Licata, sconfitto 2-0 al Comunale ed il 6 maggio 1990 arriva la festa a Trieste dove il pirotecnico 3-3 regala la serie A con quattro giornate d’anticipo.
Accade di tutto tra un rigore fasullo alla Triestina e le doppiette dell’ex Lerda per l’alabarda e di Lentini per il Toro: la festa non poteva che materializzarsi allo stadio intitolato a Pino Grezar, cardine del Grande Torino. È il campionato dei record, chiuso con 53 punti sui 76 disponibili, 63 gol fatti, sedici vittorie in casa su diciannove partite.
Alla penultima giornata il 3-0 al Messina segna il congedo dal Comunale: comincia l’era dell’astronave “Delle Alpi“, al vecchio impianto il Toro sarebbe tornato solo sedici anni dopo. La cavalcata è completata, per la seconda volta su due il Toro torna subito in serie A: ma chi pensava all’inizio di una nuova era sarà presto smentito.