Tra i trenta discendenti di italiani ad aver vestito la maglia della nazionale di calcio francese, Roger Piantoni e Michel Platini sono i più illustri. Sono entrambi nipoti di emigranti italiani stabilitisi in Lorena prima del 1914. Antonio Beneveti, nonno materno di Piantoni, era originario di Modena in Emilia-Romagna, che lasciò per lavorare, come tanti italiani, estraendo ferro in una delle miniere del bacino di Briey. Francesco Platini è piemontese ed è muratore. La loro promozione sociale prevede l’acquisizione di un’attività al ritorno dalla guerra trascorsa in divisa italiana: un negozio di alimentari a Piennes per Beneveti e un caffè a Jœuf per Platini. In questo arrondissement di Briey, dove ci sono molti italiani, si sta sviluppando una forma di autosegregazione, testimoniata in particolare da pratiche endogame nella seconda, ma anche nella terza generazione: nel 1953 Ruggero Piantoni sposò Gemma De Biasi, conosciuta in un caffè italiano, mentre Michel Platini sposa Christèle Bigoni, i cui genitori sono bergamaschi. Nelle loro memorie, i due calciatori raccontano che, in strada o nei club, i calciatori sono spesso polacchi o italiani.
Se entrambi sono stati talvolta trattati come “Ritals”, le loro carriere dissipano le stigmate delle loro origini, senza però che la loro italianità venga completamente cancellata. Piantoni si sente quindi in dovere di ricordare alla stampa che lui è proprio francese, come Kopa, come Glovacki, altri due giocatori della squadra francese, e che solo il suo nome è straniero.
Resta il fatto che il paese dei suoi nonni lo attrae, in particolare per la qualità del suo calcio e per l’entusiasmo che suscita. Non nasconde quindi il suo disappunto quando i vertici del Nancy si rifiutano di trasferirlo alla Juventus di Torino o all’Inter di Milano, due dei maggiori club italiani che manifestano il loro interesse per il “Puskás francese”, come spesso viene chiamato, in riferimento ai talentuosi giocatori ungheresi. È quindi nel più grande club francese, lo Stade Reims, che continua la sua carriera. La questione delle sue origini non si pone quasi più, nemmeno all’epoca delle partite tra Francia e Italia, elevate dalla stampa al rango di grandi eventi della stagione.
Per Michel Platini, ceduto nel 1982 alla Juventus di Torino dopo aver militato nel Nancy e nel Saint-Étienne, la questione è più complessa. Paris-Match ha scritto nel numero del 14 maggio che “ha reso il ritorno dei suoi genitori nel suo paese un affare sentimentale”. Il giocatore sembra davvero turbato. Poco prima dei Mondiali del 1982, a un giornalista che gli chiedeva se si sentiva italiano, rispose: “Non lo so. Prima di Francia-Italia, quando ascoltavo gli inni, mi commuovevo e pensavo tra me chi sei? Sono stato commosso da entrambi gli inni. Sono francese, senza dubbio, e c’è il cuore, ma c’è anche il sangue, la famiglia, il padre”.
La versatilità dei tifosi sugli spalti accompagna a volte dolorosamente le sue domande. Trattato come “bastardo francese” dai tifosi delle squadre avversarie, è, per quelli della Juventus, “Il Francese”. Il pubblico francese ha preso il sopravvento: lo ha acclamato con i colori della squadra francese e ha urlato a squarciagola ogni sorta di insulto quando è venuto a giocare a Parigi, in Coppa delle Coppe, con la Juventus. Profondamente ferito, Platini lasciò il Parco dei Principi quel giorno, 19 ottobre 1983, molto amareggiato.
Comunque sia, contribuendo largamente a issare la squadra francese alle semifinali del Mondiale, nel 1958 per Roger Piantoni, nel 1982 e nel 1986 per Michel Platini, i due italo-lorenesi hanno, a parere dell’opinione pubblica, risolto definitivamente la questione della loro identità a favore della piena assimilazione. Come altri atleti di genitori immigrati italiani, dal campione di ciclismo dagli anni ’30 all’inizio degli anni ’50, René Vietto, al pattinatore Philippe Candeloro negli anni ’90, passando per i fratelli Spanghero, rugbisti internazionali negli anni ’60 e ’70, Piantoni e Platini vengono per certi versi a confermare una rappresentazione socialmente condivisa della buona disposizione degli italiani ad integrarsi. Resta il fatto che la frequente evocazione delle origini ha contribuito anche a mantenere la memoria dell’immigrazione italiana divenuta “invisibile” dagli anni Sessanta di fronte ai nuovi flussi migratori extraeuropei.
Campionato 1982-’83. Favorita della competizione, la Juventus ha un bell’aspetto con ben sei giocatori presenti nell’Italia campione del mondo. Ma l’avvio di stagione è tutt’altro che idilliaco e i due stranieri, Boniek e Platini, sono le vittime espiatorie tutte ritrovate.
Preso in antipatia da una parte della stampa, molto esigente nei confronti degli stranieri, “Il francese” viene contestato anche all’interno della squadra. Considerato il pupillo e il beniamino del presidente, Tardelli dirà addirittura: “Siamo campioni del mondo… quindi tocca a Platini tirarci fuori dalla merda”.
Pagheranno però l’altruismo dei giocatori e i cambi tattici di Trapattoni, riposizionando Boniek e Platini. Dal gennaio 1983 la stampa d’oltralpe userà sempre meno il soprannome di Francese per soprannominarlo Re.
Il fuoriclasse viene eletto giocatore francese del secolo da “France Football”. Riceverà tre Palloni d’Oro (1983, 1984, 1985), sarà campione d’Italia, vincitore della Coppa delle Coppe, di quella dei Campioni e del trofeo intercontinentale. Poi a 32 anni, l’uomo con 41 gol in 72 presenze, il 17 maggio 1987, esce di scena dopo la vittoria casalinga contro il Brescia, già retrocesso. In quella stagione i bianconeri finiranno alle spalle del Napoli del grande Maradona. “A 32 anni non ce la facevo più, non potermi allenare, sudare, non avere più la grinta dei miei 17 anni” affermerà mentre i ripetuti intoppi fisici e la stanchezza dell’alto livello ne stavano segnando la fine di carriera.
Mario Bocchio
– continua –
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