Centravanti di razza, vecchio stile, è stato l’emblema del Palermo
Giu 20, 2023

È stato uno dei giocatori più rappresentativi della storia del Palermo, ma non solo. Perché Gaetano Troja, per tutti Tanino, in carriera ha vestito anche maglie importanti, tra Serie A e Serie B, come quella del Napoli e del Brescia e, da palermitano, pure quella del Catania per una stagione. Se n’è andato lasciando quell’aura di leggenda a una città che lo aveva sempre considerato tale anche da vivo. Troja aveva 78 anni, era ricoverato per complicazioni dovute a setticemia, diabete e problemi cardiaci: gli era stata amputata una gamba e aveva dovuto affrontare un’operazione quando è stato trasportato in terapia intensiva, dove è rimasto alcuni giorni.

Troja con il grande portiere sovietico Lev Jašin

Centravanti di razza, vecchio stile, è stato l’emblema del Palermo a cavallo degli anni ‘60 e ‘70, dal 1964 al 1966 nella sua prima esperienza, e dal 1968 al 1973 quando tornò a vestire il rosanero dopo due stagioni a Brescia dove venne ceduto per ragioni di cassa in un momento poco florido. Ancora oggi è tra i migliori marcatori di sempre del club rosanero, al sesto posto con 48 gol complessivi, uno in meno di Matteo Brunori che lo ha superato proprio nell’ultimo campionato di Serie B.

Ricordi palermitani

Tra i gol rimasti indelebili nella memoria dei tifosi rosanero che lo hanno visto giocare c’è quello segnato di testa in tuffo, praticamente da terra, contro il Cagliari di Gigi Riva alla Favorita che diede la vittoria ai rosanero nella stagione 1969-‘70. Nel 1973, dopo la retrocessione del Palermo in Serie B, si trasferì al Napoli dove non riuscì ad imporsi giocando 4 partite in campionato. A distanza di un anno giocò nel Bari, in Serie C. Nel 1976, cedette alla corte del tecnico Carmelo Di Bella, suo allenatore ai tempi del Palermo, che lo convinse a vestire la maglia del Catania per la stagione 1976-‘77, in Serie B.

“Tanino” Troja in azione

Non fu un’annata semplice per lui soprattutto in occasione dei derby, da palermitano e tifoso rosanero, nella partita di andata del giocata al Cibali si fece sostituire e in quella di ritorno giocata alla Favorita chiese a Di Bella di non scendere addirittura in campo.

L’indimenticabile e stilisticamente superba sforbiciata contro il Genoa

Tanino (gli eroi si chiamano per nome), negli ultimi anni, era appesantito dalle sue sofferenze fisiche ed emotive, straziato dalla morte del figlio. Ma restava l’immaginario in cui davvero gli eroi son tutti giovani e belli, come cantava Guccini. Il calcio in bianco e nero di Novantesimo, con i gol in diretta affidati alle voci di Ameri, Ciotti, Luzzi… Erano gli anni del pallone a rombi in cui i calciatori sembravano più grandi della loro età. Sfortunato chi non lo ha conosciuto, chi non ha conosciuto Tanino Troja. Quel tempo era raccontato da Gianni Brera, secondo gli estri di Eupalla. Lo leggevi con il vocabolario e la fantasia.

Il Napoli ai tempi di Troja

Era un uomo con delle insospettate timidezze, Tanino, che si scherniva, che si imbarazzava perfino. Era semplice, in un’età distante da miti di cartapesta, avvicinarlo, stringergli la mano, salutarlo. E lui assumeva l’aria di un bambino felice che arrossisce per i complimenti. “Tanino Troja è morto, ma resterà per sempre nella nostra storia. L’ha scritta con il suo cuore rosanero: da bomber, da prezioso osservatore per tanti allenatori e da tifoso”, ha scritto il giornalista Alessandro Amato.

Troja (accosciato, primo da destra) al Brescia nella stagione 1966-’67

Lo scrittore Roberto Alajmo ha commemorato una sforbiciata contro il Genoa: “Ancora oggi la metà dei bar di Palermo c’ha da qualche parte la fotografia di Tanino Troja a testa sotto e piedi in aria per raggiungere quel pallone che sembrava perduto…”.

E il maestro Benvenuto Caminiti: “Ciao Tanino, mi hanno appena informato che tu, d’improvviso, stufo di questa terra pesante e appiccicaticcia, che da troppo tempo ti si era accanita contro, hai piantato baracca e burattini e te ne sei volato lassù dove il cielo è più azzurro e basta un colpo di vento per cambiare veduta e prospettiva. Eri stanco di subire i colpi della malasorte: la gamba che cedeva, i reni che si bloccavano e, infine, il colpo più duro, infame e proditorio: due anni fa, la morte del tuo unico figlio, Salvo, a soli 28 anni…”. Ma niente si perde, in fondo. Tutti i palloni calciati e sognati sono finiti, sicuramente, da qualche parte. Un giorno, saranno ritrovati.

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